Cento anni con Karol Wojtyla, il Papa che ha solcato la storia

Intervista allo scrittore vaticanista Svidercoschi per ripercorrere alcune tappe della vita del Papa polacco. 

Cento anni fa, il 18 maggio 1920, nasceva San Giovanni Paolo II. Le fondamenta della vita del papa polacco si sono formate in una piccola cittadina della Polonia: Wadowice. Qui Karol trascorse gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Il piccolo Lolek, così come lo chiavano i suoi familiari e amici, nacque in un edificio in via Koscielna 7, oggi è divenatata una casa museo che come redazione nel 2014 abbiamo visitato, il cui proprietario ebreo, gestiva un negozio a piano terra. Il “respiro della città”, il “respiro della terra”, aiutarono il giovane Karol a sviluppare i suoi talenti. A Wadowice visse una vita di famiglia, prima che la mamma Emilia e il fratello Edmund morissero. Qui strinse le sue prime amicizie. Nella Chiesa della Presentazione della Beata Vergine Maria il 20 giugno del 1920 venne battezzato, il 25 maggio 1929 ricevette la Prima Comunione e come chierichetto serviva ogni giorno la santa messa. Il 3 maggio 1938 nella stessa chiesetta ricevette il Sacramento della Cresima. Come studente frequentò le scuole ordinarie, recitava nel Teatro Drammatico del neoclassico Ginnasio Statale Wadowita, interpretando i personaggi delle opere dei più grandi drammaturghi polacchi. Dall’esperienza vissuta a Wadowice con la vicinanza tra polacchi ed ebrei, scaturì il dialogo interreligioso del Papa Santo. A Wadowice situato ai piedi della catena montuosa di Beskid Maly, iniziò anche l’amore per la montagna, al quale rimase sempre fedele fino alla fine della vita. Proprio come l’amore per la sua piccola patria e la Polonia che papa Wojtyla visitò otto volte durante il suo Pontificato. Insieme allo scrittore vaticanista Gianfranco Svidercoschi, ripercorriamo la vita di Karol Wojtyla, il gigante del nostro tempo.

Dott. Svidercoschi, lei che conosceva molto bene Giovanni Paolo II, era suo amico, sin da ragazzo ha dovuto affrontare delle prove molto dure come la perdita della cara mamma. Questa grave mancanza ha influito la sua fede?

La morte della madre, a soli nove anni, ha avuto un grosso effetto sul piccolo Lolek, soltanto anni dopo capì il motivo della perdita quando scrisse quella bellissima poesia “Sulla tua bianca tomba”. Il padre d’altra parte non gli ha fatto mai mancare l’affetto, gli ha fatto anche da madre. La madre aveva avuto il tempo di insegnargli il segno della croce e qualche preghiere, lui invece lo ha portato avanti nella vita di fede. È stata una formazione cristiana molto particolare la sua. A forgiarlo nella fede sono stati due laici, il papà e il sarto, amico di famiglia, che faceva il catechista, Jan Tyranowski. La sua vocazione sacerdotale sbocciò tra molteplici esperienze, sofferenze e tragedie della Polonia. 

Un altro momento duro, quasi di smarrimento, è stato quando è morto il papà?

Karol era il respiro del papà, Ci troviamo nella seconda guerra mondiale, i due li vediamo uno accanto all’altro insieme a quella lunga fila di persone che hanno percorso duecento chilometri a piedi sotto i bombardamenti, arrivando al fiume San dove pensavano di essere arrivati alla salvezza ma una volta arrivati i soldati polacchi dissero di tornare indietro perché dall’altra parte stanno arrivando i sovietici. Questo ragazzo di vent’anni ha vissuto sulla sua pelle il famoso patto Molotov-Ribbentrop. Mi piace ricordare questo ragazzo per salvare il padre sotto le bombe si buttò giù nel fosso. Oppure nel 1944 mentre era in casa, ci fu una famosa retata a Cracovia, i tedeschi arrivarono davanti la sua porta. Si fermarono proprio li, lui era dietro la porta con il batticuore, si sedette a terra a croce e aspettò che i tedeschi se ne andarono, e si salvò. Quando il papà è morto, lui è rimasto sulla sua salma un’intera notte a ripetere continuamente “sono rimasto solo… mi avete lasciato solo…” probabilmente questo ha accelerato la sua decisione di dedicarsi al Signore. In quel momento anziché prendere le armi per difendere la Nazione da buon patriota com’era, tra l’altro aveva avuto il coraggio di dire agli amici che si poteva difendere il Paese anche con la parola, ma non gli bastava più, aveva bisogno di qualcosa di più profondo da dedicare la sua vita. Perciò una mattina con tuta e zoccoli ai piedi attraversò Cracovia per andare al seminario clandestino per incontrare il rettore e comunicargli che voleva diventare sacerdote di Cristo.

Karol Wojtyla non ebbe la possibilità di frequentare il seminario. E’ andato controcorrente?

Karol aveva cominciato a frequentare di nascosto i corsi di teologia. Il regime comunista in quegli anni aveva chiuso e imposto ai vescovi di non accogliere più candidati. Ma il giovane Lolek mentre lavorare di giorno in una cava, aiutava un operaio a far saltare le mine, quando rientrava a casa studiava da solo. Fu così che portò a compimento il suo percorso spirituale, nell’avvicinamento all’Assoluto. Anche dopo negli anni successivi, il suo essere ministro di Dio, da sacerdote e da vescovo, aveva avuto sempre connotazioni singolari, speciali. Un andare avanti con dentro la forza della fede, senza paure, spesso controcorrente. Questa sua formazione singolare dovrebbe oggi aiutarci a pensare ad una maggiore utilizzazione del laicato nella formazione dei futuri sacerdoti. I seminaristi non devono formarsi necessariamente al chiuso, tra le stanze di un seminario, ma all’interno di una comunità cristiana per una maturazione più completa.

Don Karol ha vissuto il suo sacerdozio sull’esperienza del nazismo prima e comunismo poi…

Queste vicende storiche hanno fatto nascere in don Karol il desiderio e il coraggio di battersi per la difesa della persona umana e dei suoi diritti.

Don Karol Wojtyla, è stato un prete con gli scarponi, amava i giovani.  Da qui nasce il suo legame privilegiato con la gioventù?

Le giornate della gioventù sono nate dall’esperienza che lui ha fatto con i giovani. Lui capì che l’adolescenza non è uno stato ma è un momento di crescita. Lui non solto aiutava i ragazzi e le ragazze a diventare maturi ma li coinvolgeva in un percorso di formazione, di maturazione, di futuro. Lui è stato sempre legato ai giovani. C’erano i gruppi del rosario, dei ragazzi che si portava dietro in canoa o in campeggio. I giovani avevano subito percepito che quel prete non era come tanti altri; parlava di Dio, della religione, della Chiesa, ma anche dei loro problemi esistenziali: l’amore, il lavoro, il matrimonio. Il prete polacco aveva scoperto il valore profondo della giovinezza. Lui sapeva conquistarli, così come fece a Tor Vergata, nel 2000, quando disse “chi sta con i giovani impara ad essere giovane”, con loro aveva un rapporto immediato.

Il vescovo Wojtyla cambiò la storia di una nazionale, come la Polonia. Famoso è l’episodio avvenuto a Nowa Huta…

Negli anni cinquanta Karol cominciò a dare più forza ai concetti di difesa dei diritti dell’uomo prima ancora dei diritti della Chiesa. È in questo modo che conquistò le masse. A Nowa Huta, quartiere simbolo del socialismo, una città con case, ospedali, scuole, ma non una chiesa, è nata una battaglia per la croce con protagonista anche Karol Wojtyła.La città senza Dio è stata salvata da Monsignor Wojtyla che andò sul posto per tenere a bada le truppe che erano lì per fermare i manifestanti che volevano innalzare una croce. Aveva una maniera tutta sua di fare.

Il Vescovo Wojtyla si aspettava di diventare Papa?

Tutto è nato con il pontificato di Giovanni Paolo I, molti si soffermano sui 33 giorni, ma ritengo che quel brevissimo pontificato sia stato provvidenziale per far eleggere per la prima volta un papa non italiano. I candidati a diventare Vescovo di Roma erano i due cardinali italiani Giovanni Benelli e Giuseppe Siri. Ma fra loro non si riusciva a raggiungere la maggioranza da una parte e dall’altra. Fu il cardinale Franz König di Vienna a fare pubblicità a Karol Wojtyla. Il primate polacco, il card. Stefano Wyszynski, era andato nella sua cella, a confortarlo, a sostenerlo. “Se ti eleggono – gli aveva detto – ti prego: non rifiutare. Devi accompagnare la Chiesa al terzo millennio”. Non solo, ma Wyszynski gli aveva chiesto di assumere lo stesso nome di papa Luciani, in memoria del pontefice defunto e, aveva aggiunto, per rispetto del popolo italiano che gà tanto amava Giovanni Paolo I. E comunque, Wojtyla era ritornato nella Cappella Sistina con il volto sereno, più disteso, ma con il cuore in tumulto. Se da un lato, quell’invito del primate, così forte, accorato, lo aveva spinto ad accettare, dall’ altro lo aveva messo ancor più in agitazione. Immaginava, senza andar troppo lontano dal vero, che la sua provenienza, il suo venire da “fuori”, avrebbe messo in allarme non pochi ambienti del mondo vaticano.

Giovanni Paolo II, ha impiegato poco tempo a entrare nel cuore della gente…

Esatto. Ha colpito tutti dalla prima frase che ha pronunciato davanti al mondo: quel famoso “Se sbaglio, mi corrigirete”. E poi la sua forza durante la malattia, il parkinson che l’ha iniziato a colpire dal 1991: non ha abbandonato la Croce, e la gente l’ha sentito. È stato un Papa che ha portato molte novità nella Chiesa. Come non ricordare la prima volta di un Papa che è andato in una sinagoga ed in una moschea; il primo Papa che ha riunito ad Assisi i rappresentati di tutte le Chiese e le religioni del mondo. Il primo Pontefice che ha stabilito un rapporto con i giovani, decidendo di organizzare le giornate mondiali della gioventù. Un Papa che ha insegnato veramente cos’è il perdono.

A proposito di malattia e attentato, è stata una bella testimonianza di fede quella di Giovanni Paolo II?

Nessuno ricorda che è un Papa che hanno cercato di uccidere cpon tre colpi di pistola il 13 maggio 1981. Lui ha perdonato il turco, ma uno dei crucci che si è portato nella tomba è stato quello di non aver sentito una richiesta di perdono da parte sua. Perché il Papa nel 1983, due anni dopo, andò a trovare il suo attentatore in carcere e la prima cosa che il attentatore gli disse stringendogli la mano con quella mano destra con cui gli aveva sparato fu: “Ma lei perché non è morto? Io ho sparato come dovevo!”. “Una mano mi ha salvato”, gli ha risposto Wojtyla.“Quella di Fatima –aggiunse l’attentatore – la figlia di Maometto?” E il papa rispose: sì ma Fatima è anche una Madonna”. Quell’incontro che tutti noi ricordiamo terminò con nessuna parola di perdono.

È stato un uomo di Misericordia ma con tanta forza di vivere nonostante la croce della malattia?

Poco prima di morire, già gravemente malato, ha chiamato Franco, l’uomo che tutte le mattine faceva le pulizie nel suo appartamento. Gli ha posto una mano sulla testa e l’ha benedetto. Si è ricordato di salutare e ringraziare una persona umile. Franco mi confidò che per due settimane non si lavò la testa. Giovanni paolo II era un Uomo. Un uomo con la grande fede e di preghiera. Ti guardava in faccia. E il rapporto che aveva con Dio era incredibile.

A lei cosa le ha lasciato?

Lui mi ha sempre dato l’impressione di un uomo, sicuramente di Dio, ma un uomo senza la patina clericale. Quando gli stringevi la mano, stringevi la mano ad una persona come te. E quando è morto ho avuto la sensazione, la stessa di quando è morto mio padre. Ho sentito la mancanza di quella mano poggiata sulla spalla, atteggiamento tipico di un padre.