Sport
Cento anni di sogni e speranze
Continueremo a sognare, come fa un bambino, che, rivolto al papà, dice: “io vedrò il Cosenza in serie A”. A volte son sogni che s’avverano.
Non si smette di sognare a cento anni. Neanche quando la vita ti ha regalato forti emozioni, giornate memorabili, neanche quando ne hai viste tante. Perché tante ancora ne vorrai vedere, e ogni successo te ne farà desiderare un altro, e ogni caduta aspetta sperante una nuova gloria. Il calcio è un fenomeno così penetrante, così dentro la società che non ha età, né limiti. Cento anni di calcio a Cosenza, cento anni di generazioni diverse e vicine, nonni, genitori e figli, di società mutate nel tempo, nei costumi e nel pensiero, di una città che pian piano ha cambiato il suo volto. Ne è passata di acqua sotto i ponti del Crati e del Busento da quando Cosenza si ciba di calcio. Ne sono successi fatti che hanno arricchito la sua antichissima storia: le guerre mondiali, i bombardamenti, l’università, l’autostrada, i nuovi complessi urbani, con la vita che, dal borgo del centro storico, pian piano è fiorita nella città nuova. La domenica, però, la gente era sempre lì, a riempire le gradinate dei campi dove la squadra bruzia giocava. Sono cambiate le mode, dai cappelli a cilindro e baffoni si è passati ai jeans e alle magliette firmate, larghe o strette, ma il calcio è sempre lì, pronto ad accogliere ogni tipo di società. Cento anni in rossoblù, tra salite e discese, tra speranze e illusioni. Perché certe prodezze, certi gol, certi ricordi, non hanno età, e rimangono nel pensiero e nel patrimonio del tifoso. Perché il calcio è anche lo scrigno della memoria di una vita. Della memoria di un anziano che si commuove a rileggere sul giornale diocesano la storia del genio di Renato Campanini, che vedeva giocare nella sua gioventù. Della memoria di un giovane adulto che ricorda il gol di Zampagna, sotto la pioggia, in curva, e quella gioia è segnalibro del suo amore in rossoblù. Della memoria di un papà ormai grande che ripensa alla cavalcata e all’approdo in serie B dopo venticinque anni, e ricorda via Macallè addobbata a festa, via degli Stadi che espone lo striscione del secolo rossoblù: “mai più prigionieri di un sogno”. E poi ricorda i fuochi d’artificio, il figlioletto, quattro anni, che si rifugia in chiesa per paura di quei botti. Cento anni di memoria. Di un bambino che da pochi anni frequenta lo stadio, e non gli importa se è serie D o serie B, tanto esultare è lo stesso. È un braccio al cielo. Ed è gioia pura. Quel palo di Lombardo, “che ancora trema”; “quel tifo in tribuna B”; quel dovere di “uscire la domenica, a mezzogiorno, senza neanche pranzare, per andare allo stadio a sistemare lo striscione”. Gli striscioni di una provincia intera tinta di rossoblù, di chi per anni, ogni domenica, si è messo in macchina per sostenere il proprio sogno. Da lontano, da cento chilometri. Le partite memorabili, la prima assoluta, col Catanzaro, i derby, le gare promozione, lo spareggio di Salerno. I gol di Marulla e Uxa, le parate di Zunico e Milan, la simpatia di Di Marzio e la praticità di Toscano, le tristi note di Bergamini e Catena, i presidenti della storia rossoblù. Abbiamo cercato di fare un viaggio dentro la gloriosa squadra della città di Cosenza. Continueremo a sognare, come fa un bambino, che, rivolto al papà, dice: “io vedrò il Cosenza in serie A”. A volte son sogni che s’avverano.