C’era una volta… Sergio Leone

Nel museo dell’Ara Pacis a Roma una mostra che racconta il maestro del cinema

Forse per tanti, durante questi giorni, il cinema e la lettura sono diventati dei “posti” nei quali rifugiarsi per distogliere per un po’ gli occhi e la mente dal continuo, esasperato ed esasperante rincorrersi di notizie (comprese le tantissime fake news) che riempiono da più di un mese giornali, e tv. Allora, complice la visita alla mostra fatta qualche settimana fa al Museo dell’Ara Pacis a Roma (sarà possibile visitarla fin al 3 maggio), vogliamo presentarvi uno dei registi più amati al mondo: Sergio Leone, che con i suoi film ha riscritto il modo di fare il Western e rivoluzionato il cinema.  

Sergio Leone nasce a Roma il 3 gennaio 1929. È figlio d’arte. Suo padre, Vincenzo Leone assume lo pseudonimo di Roberto Roberti per nascondere la sua attività alla famiglia: diventa un attore e regista importante del cinema muto. La madre, Edvige Valcarenghi, in arte Bice Waleran, è una famosa attrice del cinema degli anni Dieci. Dal 1947 al 1961 Leone comincia un lungo apprendistato professionale presso amici e colleghi del padre e dei registi: Steno, Soldati, Fabrizi ma anche per grandi registi americani invitati a girare a Roma. Nel 1947, ancora liceale, è assistente volontario di Vittorio De Sica in “Ladri di biciclette” recitando, in una scena del film riproposta tra i tanti video presenti nel percorso museale, il ruolo di un seminarista. Leone firmerà il suo primo western “Per un pugno di dollari” (1964) con lo pseudonimo inglese Bob Robertson, che significa “figlio di Roberto Roberti”. È una dichiarazione d’amore e un gesto di riconoscenza nei confronti del padre, ma anche la fine del suo apprendistato e l’inizio di un mito.

Percorrendo tra le foto e i pannelli della mostra si riesce a capire e ricostruire il lungo apprendistato grazie al quale Leone acquisisce una conoscenza tecnica e una maturità stilistica che gli permetteranno di dirigere con sicurezza, a 32 anni, il suo primo lungometraggio: “Il Colosso di Rodi” (1961) e ottenere risultati interessanti con mezzi limitati. 

Un punto di svolta della sua carriera sarà la visione, nell’estate del 1963, del film di Akira kurosawa “La sfida dei Samurai”. Ne rimane folgorato e ha subito l’idea di trasformarlo in un western. Malgrado alcune reticenze, la “Jolly film” decide di investire sul progetto. “Per un pugno di dollari” – prima pellicola di quella che diventerà la leggendaria trilogia insieme “Qualche dollaro in più” (1964) e “Il buono, il brutto e il cattivo” (1965) – uscirà in sordina il 12 settembre 1964 a Firenze. Il passaparola ne fa uno dei più grandi successi della storia del cinema italiano. 

Ma l’avventura cinematografica che farà di Leone un vero mito del cinema mondiale è solo all’inizio. Il famoso regista romano fa parte di una generazione il cui immaginario è fortemente segnato dal cinema, e soprattutto dai film dell’età d’oro di Hollywood. Le sue opere si nutrono dei film che ha amato e contengono un insieme complesso di significati che Leone ha la capacità di reinventare in un nuovo linguaggio cinematografico. La rivoluzione portata da Leone nel mito del west è, infatti, totale: narrativa, visiva e sonora. Per la prima volta gli spettatori vedono un Western realistico, multietnico, sporco, povero, popolato di personaggi violenti. Clint Eastwood, Henry Fonda, Gian Maria Volontè, Eli Wallach, Jason Roberts, James Coburn, Lee Van Cleef, Charles Bronson, Rod Steiger, Claudia Cardinale non sono mai stati così luminosi o luciferini come quando recitavano per lui. Leone non ha trasformato sono gli attori, ma anche i luoghi in cui ha girato. La Spagna di Franco, vista con i suoi occhi, diventa un West sognato. Con i suoi western è riuscito a creare un nuovo linguaggio cinematografico fondato sulla dilatazione temporale, l’esplorazione dei limiti dell’inquadratura e del montaggio. Nelle sue pellicole il parlato è ridotto all’osso e la musica acquista un valore narrativo ed emozionale di primo piano grazie anche e soprattutto alla collaborazione del compositore e direttore d’orchestra Ennio Morricone con il quale avevano fatto le elementari insieme. Con lui nascerà così una delle più felici collaborazioni della storia del cinema. Morricone arricchisce di un ulteriore livello narrativo i film di Leone: ogni personaggio ha un suo tema, la musica ne completa la caratterizzazione, arrivando persino a commentare talvolta con ironia il suo comportamento. 

A chiudere il percorso museale una sala dedicata ad uno dei suoi massimi capolavori. Dopo l’uscita di “C’era una volta il West” (1968) Leone si appassiona un romanzo di 400 pagine sui gangster ebrei newyorkesi intitolato “Mano armata”. Capisce subito che questo libro gli avrebbe permesso di lavorare non solo su personaggi mitici, ma anche sul mito stesso del cinema di cui Hollywood è l’emblema, in una sorta di ricerca del tempo perduto. “C’era una volta in America” (1984) rappresenta il fluire della vita in un uomo (Noodles, interpretato da Robert De Niro) che per trant’anni non ha fatto che pensare e ripensare la propria esistenza, ripercorrendo incessantemente frasi, gesti e suoni del proprio passato.

Quel passato che, grazie i suoi capolavori, ha reso Sergio Leone uno dei più amati registi della storia del cinema.