Territorio
Chiesa&Emergenza/11 – Essere sacerdote di provincia ai tempi del coronavirus
Il ministero di don Franco Spadafora nel Santuario Diocesano di Santa Liberata, a Santo Stefano di Rogliano, e a Mangone, nel centro storico, nella chiesa di San Giovanni Evangelista
Don Franco Spadafora, capelli grigi, sorriso rassicurante. Sacerdote di provincia. Cerca il contatto con i fedeli, scende dall’altare porgendo la mano ai giovani del catechismo. Comunica oltre l’omelia con quanti si siedono tra i banchi. Dice Messa in due chiese. Nel Santuario Diocesano di Santa Liberata, a Santo Stefano di Rogliano, e a Mangone, nel centro storico, nella chiesa di San Giovanni Evangelista. Due sagrati che dominano dall’alto i due centri abitati del Savuto. Silenziosi osservatori del quotidiano, di quanti, bambini, anziani, lavoratori, operai ed imprenditori giorno dopo giorno vivono le loro vite. Ora è tutto fermo. Al tempo del Coronavirus anche nei piccoli borghi la vita “rimanere chiusa in casa”. Pochi strilli a chiamar la palla nel cortile, poche auto in giro, nessun anziano davanti all’uscio di porta a Santo Stefano, a Mangone, come nella totalità degli altri abitati del Savuto. Da qualche balcone scorgi da dietro i vetri una mano che ti saluta, da lontano, senza far rumore, dignitosamente, nel rispetto che sempre ha contraddistinto questi luoghi. Il vicino, quanto lo straniero desta curiosità ma, è sempre ben accolto. Don Franco è lì anche oggi, in parrocchia. Lo chiamo, mi risponde. Mi dice di aver celebrato Messa in streaming, si apre a me senza filtri, da buon pastore. Parliamo un po’. Don Franco mi permetta – chiedo interrompendo il racconto: la paura più grande della sua Comunità? “Il panico caro Massimiliano” – risponde senza indugio -. “Il panico non è generato dal pensiero costante della fame, della povertà, ma dal non conoscere il domani, dopo questa pandemia. Sai quanti dei miei giovani vivono alla giornata? Quanti vivono la propria indigenza con molta dignità, rimanendo sul filo di lana, in bilico. Questo virus potrebbe essere il colpo di vento che li farà barcollare e cadere, non dobbiamo permettere tutto ciò”. Rimane con me al telefono, piacevolmente, don Franco, quasi a voler dare voce alle persone che incontra giornalmente. “Mando delle preghiere tramite whatsApp, cerco il contatto con tutti”. Vuole spiegarmi come anche un sacerdote della sua età si avvicina agli strumenti di comunicazione di uso quotidiano per entrare nelle case, dare conforto, assistere con l’ascolto. “Per fortuna non abbiamo nessun senza tetto nella nostra Comunità. Avrei aperto le nostre chiese. Alcuni alloggi li abbiamo, questo si chiede alla Chiesa: saper accogliere”. Altro aspetto è la Caritas. Ne sentivo parlare durante le sue omelie ma non mi ero spinto mai oltre. Ora chiedo al sacerdote cosa sta facendo il gruppo caritatevole. “Ci siamo mossi in tempo, appena avvertiti i primi disagi, le prime parole di aiuto, verso quanti non aveva soldi per pagare le bollette. Per il latte, per portar qualcosa a tavola”. “ E’ un momento difficile caro mio – mi sussurra affievolendo la voce – devo ringraziare quanti mi stanno vicino, mi danno una mano, catechisti, volontari, giovani dell’Azione Cattolica, coro polifonico, consiglio pastorale. Ai bambini che partecipato ai nostri momenti di riflessione inviandomi disegni colorati, arcobaleni. Proprio gli arcobaleni vedremo domani, quando la paura si allontanerà dalle nostre strade, dai nostri cuori. Uscirà il sole in grazia di Dio e tra cielo e terra scorgeremo i tanti colori dell’arcobaleno”. Don Franco è stato un piacere poter dialogare con lei, uomo e sacerdote. “Le auguro una serena Settimana di Pasqua e, mi permetta: preghi insieme a noi perché tutto questa abbia fine”.