Editoriali
Comunicare con uno stile che si nutre della memoria
I millecolori che danno sapore alla vita rilucono nel binomio fecondo che unisce comunicazione e misericordia. Più che opera di navigatori solitari, questa tensione è missione della Chiesa intera, così che nel suo dire e nel suo fare, nei suoi contenuti e nelle sue forme, viva un preciso “tratto distintivo”
Mario Calabresi, nel primo editoriale come direttore di Repubblica (16 gennaio), scrive di “un mondo estremamente complesso e difficile da spiegare”; un mondo attraversato da una “crisi profondissima”, in cui dilaga il populismo e prendono il sopravvento “la rabbia, il disincanto, un fastidio quasi insanabile verso ogni cosa pubblica”.A fronte di tale situazione, osserva, “la reazione più sconcertante è la ‘grande banalizzazione’ in cui viviamo”, “fenomeno che semplifica tutto e spinge ognuno di noi a essere attratti dalle tesi più congeniali e comode”, che – anche quando risultassero verosimili – non sono necessariamente vere. L’alternativa a tanto grigiore richiede l’abilità a recuperare e valorizzare quelli che Calabresi chiama “i mille colori che danno sapore alla vita”.Questi colori nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, rilucono nel binomio fecondo che unisce comunicazione e misericordia. Più che opera di navigatori solitari, questa tensione è missione della Chiesa intera, così che nel suo dire e nel suo fare, nei suoi contenuti e nelle sue forme, viva un preciso “tratto distintivo”.È uno stile – lascia intuire Papa Francesco – che si nutre della memoria di quanto uno ha respirato in famiglia, dove si è amati e apprezzati non in proporzione alle proprie capacità e successi, ma semplicemente per quello che si è. A propria volta, richiede – anche nell’ambiente digitale – quella disponibilità all’ascolto che, per essere tale, sa farsi vicinanza, prossimità, condivisione delle domande e dei dubbi.
Coinvolge, quindi, il cuore; evita la pretesa di voler separare prima del tempo il grano dalla zizzania; alimenta la fiducia che porta a non dar “mai nulla per perduto” e, perciò, a “non spezzare mai la relazione”. Nella comunicazione la misericordia porta non solo a “scegliere con cura parole e gesti”, ma anche a custodire nello stesso modo quelli altrui. È balsamo che mitiga “le avversità della vita”, favorisce l’incontro e l’inclusione, crea ponti. Domanda di considerare il mistero dell’altro come la terra santa, per entrare nella quale – richiama il Papa – serve togliersi i sandali, come Mosè davanti al roveto ardente. Radicati in questa verità – che ha il volto di Gesù Cristo, il Misericordioso – anche la nostra comunicazione riuscirà a vincere la sfida additata da Calabresi: “offrire ciò che è portatore di senso e stimolare non la pancia, ma l’intelligenza”.