Cultura
Contro l’improvvisazione: i raduni ecclesiali non sono un gioco da ragazzi
Non c’è alcuna differenza tra le cose da fare per una festa parrocchiale e quelle da attuare per un raduno oceanico: non esiste cioè una differenza di organizzazione, ma solo di misura organizzativa
Molte realtà ecclesiali hanno spesso a che fare con l’organizzazione di raduni di piccole o grandi dimensioni: dalla festa oratoriana a quella diocesana, dalla festa patronale alle rassegne musicali o teatrali, dai musical ai grandi meeting nazionali o internazionali. Sembra strano a dirsi, ma non c’è alcuna differenza tra le cose da fare per una festa parrocchiale e quelle da attuare per un raduno oceanico: non esiste cioè una differenza di organizzazione, ma solo di misura organizzativa. Come nel grande raduno, anche nella festa parrocchiale occorre scegliere chi sale sul palco, cosa deve fare, in quanto tempo, così come occorre sapere come arriva e parte, dove dorme e mangia, quali strumenti tecnici servono e quali costi ha il tutto. Occorre, quindi, fare le cose per bene, non tanto perché una comunità cristiana si debba trasformare in una struttura di organizzazione, ma perché un raduno ecclesiale ha come finalità ultima quella di comunicare il Vangelo sia attraverso i contenuti, sia attraverso la stessa esperienza organizzativa. E comunicare il Vangelo significa fare in modo che il raduno non diventi una pietra d’inciampo nel percorso di formazione cristiana, ma sia un’esperienza coerente e privilegiata di incontro, confronto, relazione, comunione ed evangelizzazione; purtroppo capita non di rado che, invitando un certo personaggio, usando alcune canzoni, oppure affidando l’organizzazione a persone bisognose di visibilità o poco competenti, si finisca per asservire l’ideologia dominante che diffonde, per esempio, un’ipertrofica idea di libertà (faccio quello che voglio), l’isolamento individualistico (tutto gira attorno a me), la ri-creazione dell’essere umano secondo le categorie gender-fluid (maschio e femmina sono idee superate), la cultura dello scarto (conti per quel che sai fare) o la riduzione utilitaristica dell’essere umano a mero soggetto produttivo (conti per quel che vendi). Occorre rendersi conto, a tutti i livelli, che anche il raduno ecclesiale è divenuto uno specifico processo di comunicazione dei contenuti, acquisendo lo status di linguaggio proprio, con la stessa dignità e valenza del linguaggio televisivo, radiofonico o dei social network
*Direttore Associazione Hope