Cosa ci insegna la storia di Moreno tra Giubileo, GMG e Isola dei Famosi

 La musica, lo spettacolo ed il divertimento non sono degli accessori, ma parte integrante dei percorsi educativi alla fede

Non ce l’ho con Moreno anche se non sono un suo fancriteri che dovrebbero guidare le realtà ecclesiali che organizzano concerti ed eventi per i più giovani, a livello locale, nazionale o persino internazionale.

Anzitutto, ecco la storia. Prima tappa: il Giubileo dei Ragazzi. Lo scorso maggio, il nostro artista è tra i protagonisti dello spettacolo giubilare ufficiale, che si tiene allo stadio Olimpico di Roma; un evento che, nel programma, si trova dopo le confessioni in San Pietro e prima della Messa celebrata dal Papa. Seconda tappa: la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Lo scorso luglio, il rapper è invitato ad un altro concerto, “Live da Cracovia”, ovvero la festa dei giovani italiani giunti in Polonia per incontrare il Papa. Terza tappa: Le Iene. Lo scorso ottobre, a Moreno organizzano uno scherzo televisivo: gli fanno credere che una ragazza con cui ha avuto una fugace relazione aspetta un bambino da lui; tra commenti divertiti di sottofondo, l’artista dice “Io non voglio tenere questo bambino”, mostrandosi particolarmente preoccupato per i soldi che gli può chiedere “la tipa” di cui fatica a ricordare il nome. Quarta tappa: L’Isola dei Famosi. Da pochi giorni si è conclusa l’edizione annuale del programma, durante la quale ha tenuto banco una relazione, vera o costruita ad arte, tra la pornostar Malena e, appunto, Moreno: una vicenda pruriginosa narrata anche in prima serata ed in fascia protetta, quella che dovrebbe tutelare i bambini.

Questa vicenda porta ad evidenziare la necessità di un primo criterio generale: la musica, lo spettacolo ed il divertimento non sono degli accessori, ma parte integrante dei percorsi educativi alla fede. La sfida educativa esige un solido, costante e competente impegno cristiano in questi ambiti, perché è qui che si definiscono sia l’immaginario, sia l’universo simbolico delle nuove generazioni. Da questo nasce un secondo criterio: la coerenza è una virtù, anche nei processi di comunicazione. Prendiamo, ad esempio, lo spot di un’autovettura: se l’obiettivo è esaltarne la forza o la resistenza non vedremo una ballerina di danza classica o una farfalla, semmai un lottatore di sumo o un leone; se invece l’obiettivo è valorizzarne la velocità, non vedremo un sollevatore di pesi o un bradipo, semmai un centometrista o un ghepardo. Invece, salvo rarissime eccezioni che di norma restano fuori dagli eventi ecclesiali, il mondo rap e hip-hop porta una visione dell’uomo e della donna non coerente con quella cristiana: basterebbe vedere qualche videoclip, per rendersi conto di come le ragazze vengano usate  per il divertimento altrui o di come l’alcol sia un compagno inseparabile del ballo oppure di come la droga non sia condannata. Arriviamo così al terzo criterio: l’artista è il messaggio. È bene non essere ingenui pensando che il messaggio sia solo quello che un artista dice o canta quando sale su un palco. Un esempio? A nessuno verrebbe in mente di invitare un dittatore sanguinario a parlare dell’amore verso i suoi figli e la sua famiglia, per non accreditare agli occhi dei presenti tutto quello che fa. Infine, un ultimo criterio ci viene suggerito da chi sostiene che queste riflessioni non abbiano più significato, perché la Chiesa deve dialogare con tutti, anche con chi ha istanze culturali diverse; se è auto-evidente che la missione della Chiesa è di-per-sé aperta al dialogo con chi è lontano, tuttavia un palco dove ci si esibisce senza contraddittorio non è il luogo del dialogo, ma della rappresentazione di progetti artistici portatori di modelli di vita, che devono essere minimamente coerenti con la finalità dell’evento. Altrimenti, nel tentativo di attirare i più giovani, si finisce ad investire denaro per accreditare chi li allontana. E di questo, prima o poi, bisognerà rispondere.