Da Bangkok a Roma con una certezza: collegialità nell’amore

Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, è stato creato cardinale da papa Francesco all’ultimo Concistoro. Nel suo orizzonte ai dialoghi con le Chiese cristiane, le grandi religioni, gli uomini e le donne di buona volontà. Perché "dobbiamo collaborare tutti al bene per l’umanità. Tutti siamo chiamati ad essere una speranza per una società futura, più bella, più buona".

Prove di collegialità. È quanto si è vissuto al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo dove un gruppo di vescovi, provenienti da tutto il mondo, e legati alla spiritualità del Movimento dei Focolari, si è dato appuntamento per una settimana all’insegna della preghiera, della riflessione e dello scambio reciproco. Un piccolo squarcio di mondo che va dall’Asia con Corea e Thailandia ai Paesi del Medio Oriente con Libano, Siria, Iraq fino alle estreme periferie dell’Europa con la Moldavia e l’Ucraina. Un piccolo mosaico di quell’umanità alle prese con conflitti, persecuzioni, crisi economiche. Ma anche ricca di potenzialità e speranze. “Eucaristia, mistero di Comunione”: è il tema che fa da filo conduttore quest’anno al convegno con una frase del Vangelo che l’accompagna: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8, 34). Tra loro c’è il cardinale Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok, creato da papa Francesco all’ultimo Concistoro. Per conoscerlo a fondo, bisogna partire da qui, da Castel Gandolfo, dai suoi “amici confratelli vescovi” con i quali da anni condivide un’esperienza di unità che ora è chiamato a vivere nel cuore della Chiesa. Nel suo orizzonte di pensiero, ci sono continuamente i riferimenti ai dialoghi con le Chiese cristiane, le grandi religioni, gli uomini e le donne di buona volontà. Perché – dice – “dobbiamo collaborare tutti al bene per l’umanità. Tutti siamo chiamati ad essere una speranza per una società futura, più bella, più buona”. La notizia del cardinalato gli è arrivata dall’amico vescovo coreano di Dajeon, monsignor Lazzaro You che l’aveva appena sentita annunciare da papa Francesco all’Angelus. “Sono rimasto senza parole – ricorda il cardinale -. Terminata la telefonata sono entrato in cappella e di fronte a Gesù Eucaristia, nel silenzio, gli ho detto: questo è un lavoro tuo. Tu fai pure. Io metterò tutta la mia vita ma tu devi darmi lo Spirito perché non mi sento pronto, degno, preparato. Ricordo che quella notte non ho dormito”. Reduce dal suo primo Concistoro, il cardinale tailandese parla di giorni impegnativi duranti i quali si è parlato della riforma della curia romana. “Attraverso questa riforma – dice – il Papa lavora per il bene della Chiesa e tramite la Chiesa, per il bene della società”. Il “mondo”: è questo l’orizzonte a cui guarda il Papa e verso cui la riforma in atto è rivolta. Francesco “fa riferimento ai suoi 9 più stretti collaboratori” e le linee presentate al Concistoro hanno generato una viva discussione da parte di tutti i cardinali presenti e “ciascuno – racconta l’arcivescovo – ha dato il suo contributo, valido e con spirito costruttivo”. È un po’ l’esperienza che si sta vivendo al Sinodo sulla famiglia. Lo spazio temporale di un anno tra un Sinodo e l’altro, è “una novità” per la Chiesa che consente da una parte di “ascoltare tutti” e dall’altra di “prendere una decisione che possa essere una risposta alle attese della società ma anche conforme alla nostra fede”. “Ascoltare tutti – dice il cardinale – è una cosa buona. Le idee sono diverse. Nessuno ha tra le sue mani la verità. La realtà, per essere compresa, deve essere vista da vari punti di osservazione e le varie sfumature arricchiscono la sua comprensione”. I media hanno sottolineato al Sinodo la diversità delle opinioni. Come si fa ad arrivare all’unità di pensiero? “Ci vuole l’amore – risponde il cardinale, amico di Chiara Lubich -. Il cristiano è colui che crede nell’amore di Dio e per questo lascia spazio a coloro che hanno la grazia di prendere l’ultima decisione dopo aver ascoltato tutti. Nel Vangelo si dice: chi ascolta Voi, ascolta Me”. Ma per vivere una collegialità così, occorre vincere gli attaccamenti alle proprie idee, le resistenze di vario genere, piccoli e grandi egoismi. “Non è facile – ammette il cardinale -. Però è possibile. Basta avere il coraggio di cominciare. E poi noi crediamo che non lavoriamo da soli. Lavoriamo con Dio e per Dio per il bene della Chiesa e per il bene dell’umanità”. È questa la grande sfida che la Chiesa sta vivendo con papa Francesco e dalla quale dipende “la sua credibilità”. Tutto sta – racconta il cardinale che qui a Castel Gandolfo tutti chiamano “Francis” – nel “mettere in pratica ciò che diciamo, ciò che annunciamo vivendolo prima noi stessi”. È la grande lezione lasciata ai vescovi dalla fondatrice del Movimento dei focolari Chiara Lubich e dal vescovo di Aquisgrana Klaus Hemmerle che con lei ha iniziato, nel 1977, questa esperienza di comunione vissuta dai vescovi nel cuore della Chiesa. “Occorre far vedere – dice il cardinale thailandese – la bellezza che Dio ha operato nell’umanità. Far vedere e sperimentare al mondo l’amore, raccontare la storia dell’amore che Dio ha generato in noi. Tutti siamo cellule vive che costruiscono la civiltà dell’amore e la rendono possibile”.