Da Roma a Mosul: violenza cieca

Tifosi olandesi contro la Barcaccia e terroristi dell’Isis contro l’arte assira

“C’era una volta…” Così iniziano le favole, e spesso hanno un lieto fine. Oggi invece quel “c’era una volta” ha il senso del passato che non torna, di un ricordo triste e lontano. Due episodi tra loro distanti geograficamente, ma vicini per rabbia e ferocia, sono uniti dal perfido piacere nichilista di annientare ogni cosa e sono balzati in questi giorni alle cronache. Alla violenza barbarica e insensata di un gruppo di tifosi olandesi, che a Roma hanno deturpato il centro della città e recato numerosi danni alla Fontana della Barcaccia, si accompagnano le immagini provenienti dal Medio Oriente, dove abbiamo assistito alla distruzione di statue e reperti dell’antica arte assira, caduti sotto la furia iconoclasta dei terroristi dell’Isis nel Museo di Mosul.

Quando si distrugge un’opera d’arte non si cancella solo l’oggetto in sé, ma si distrugge la storia di un popolo, la sua civiltà, il bagaglio dei suoi simboli. Gli antichi latini utilizzavano la locuzione “damnatio memoriae”, per indicare la pena riservata ai nemici di cancellare la memoria, dannata e con-dannata all’oblio.

E pensare che non poche furono le difficoltà tecniche e le preoccupazioni che dovette superare il buon Pietro Bernini, per soddisfare le richieste del pontefice Urbano VIII, realizzando così nel 1629, la stupenda e famosa Fontana della Barcaccia, che oggi ammiriamo ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti.

Ancora più sconvolgente è però quello che sta succedendo in Iraq, un evento che ricorda le violenze troppe volte ricorrenti nella storia dei conflitti mondiali: ottomila sono i volumi sottratti e dati alle fiamme nella Biblioteca centrale di Mosul. Tra i testi c’erano manoscritti rari, esemplari che tramandavano la tradizione della stessa civiltà araba. Ed è paradossale pensare che a divenire teatro di questo oltraggio, sono proprio i luoghi dove nacque una delle prime e più importanti biblioteche dell’antichità, quella del re assiro Assurbanipal.

All’amarezza di oggi, fa eco il ricordo di quello che era un tempo il mondo di Assur, specchio di una civiltà militare dove la conquista era effimera perché accompagnata dal senso della caducità dell’impresa. Una civiltà grandiosa a cominciare dai palazzi, per continuare con le statue e le lastre istoriate. La produzione artistica fu per i monarchi il mezzo per rendere una testimonianza viva delle loro imprese. Negli enormi blocchi di pietra le scene belliche e le vicende di Assurnazipal, Assurbanipal, di Salmanassar vengono rappresentate in composizioni rigidamente bilanciate, poiché tutto doveva soggiacere ad un canone artistico-matematico di equilibrio e simmetria. Anche nelle statue a tutto tondo assistiamo ad una ripetizione ossessiva della figura: i re assiri venivano rappresentati come uomini maestosi, ieratici, dalle lunghe barbe, dall’espressione severa e dalla gestualità imperativa. Il corpo è sovrastato da una lunga veste, appena vivacizzata da brevi colpi di cesello che disegnano qua e là qualche ciocca di lana. Il monarca è un essere duro, spietato, dai cui occhi trapela una volontà inflessibile e sembra attendere il verdetto della posterità. Eppure questi uomini vivevano anche sotto l’ossessione della morte, e così nei portali dei palazzi comparivano gli enormi tori androcefali che montavano fedelmente la guardia, e sui muri dei cortili e delle sale i geni alati e le potenze celesti erano a sostegno dei soldati del re. “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, queste sono le parole pronunciate dall’eroe omerico Ulisse, che di città distrutte ne sapeva qualcosa.