Territorio
Da San Giovanni in Fiore a Bologna col “naso rosso”
Gianni Bitonti dopo l’esperienza in Africa ha trovato la sua strada
Curiosando tra gli archivi di Parola di Vita degli anni scorsi, abbiamo riscoperto una bella testimonianza raccontata in un articolo scritto da Roberta Rocca, pubblicato sul nostro giornale il 23 aprile del 2008. Si tratta della storia di Gianni Bitonti, allora giovane studente di medicina, originario di San Giovanni in Fiore, che si era recato da volontario, per due mesi, in Mozambico, regalando gioia e sorrisi ai bambini, vestendo i panni di un allegro clown dal tipico naso rosso.
Vi raccontiamo, dieci anni dopo, come quel “viaggio” in Africa ha segnato la vita di Gianni Bitonti.
Raccontaci un po’ di questi 10 anni…
Allora, dove eravamo rimasti… Dopo l’esperienza in Africa, mi sono recato in Albania per ben due volte. Arrivato al V anno di Medicina, decido di dare una svolta alla mia vita. Lascio gli studi, mi trasferisco a Bologna e qui inizio una nuova vita. Oggi, mi occupo di marketing e comunicazione per il terzo settore: la mia specialità è la raccolta fondi. Di fatto sono un fundraiser.
Di quella esperienza africana che cosa ti è rimasto nel cuore.
Tornato dall’Africa, continuo a fare il volontario all’Ospedale di Pediatria di Bologna e, con altri volontari, abbiamo progettato un nuovo modo di stare accanto ai bambini, con l’iniziativa “Ospedale creativo”. Consolidata quest’esperienza, abbiamo deciso di fondare il primo gruppo clown del Sant’Orsola. Nascono così i “Clown di Corsia”. Da allora, nel tempo, abbiamo fondato una ONLUS tutta nostra, di cui io sono il presidente, che si chiama “Clown 2.0”, in cui formiamo volontari alla “clownsofia”.
In che cosa differisce rispetto alla “clownterapia”?
Mentre per gli altri gruppi il sorriso può aiutare a curare, nel nostro caso riconosciamo l’importanza del sorriso e del “naso rosso” che ci rappresenta, ma crediamo che non abbia senso arrivare da un bimbo se ha bisogno di cure mediche: la priorità deve essere sostenere le cure mediche di cui hanno bisogno i piccoli pazienti. Dobbiamo abbracciare i loro bisogni in modo concreto e poi non stiamo con i bambini solo pochi minuti: ogni coppia di clown, infatti, si relaziona con loro almeno un’ora, ogni giovedì. Oggi siamo sessanta soci. I “volontari clown” vengono formati gratuitamente, secondo il metodo da noi “sperimentato” e, nel tempo, ci è stata riconosciuta l’efficacia della “clownsofia”. Per chi lo volesse, siamo disponibili a venire anche a Cosenza per spiegare il nostro metodo.
Se non sbaglio, non vi siete fermati ai “colli bolognesi”…
No, infatti. Negli anni, siamo andati in Romania e in Albania e, adesso, pensiamo di portare la “clownsofia” anche a Kiev. In queste realtà, abbiamo visto che la corsia d’ospedale ci stava stretta e così, qualche anno fa, a Bologna, abbiamo incontrato una suora che assisteva una bambina ricoverata in Ospedale. Abbiamo scoperto che erano in molti i bambini che avevano bisogno del nostro aiuto: la bimba, infatti, proveniva da un orfanotrofio con 170 bambini gestito da dieci suore. Li abbiamo raggiunti con i nostri “nasi rossi” e con viveri, medicine e con del denaro raccolto apposta per supportare le religiose che vivevano di carità. Inoltre, abbiamo formato in loco un gruppo di “clown”. Naturalmente, tutti i nostri progetti sono no-profit.
Che cosa ti hanno insegnato questa esperienze e qual è il tuo rapporto con la fede?
In ogni parte del mondo in cui sono andato, laddove le organizzazioni mondiali “pubblicizzano” aiuti umanitari, in realtà nei posti più dimenticati, c’è sempre e solo una presenza di cristiani, laddove nessuno vuole andare a prendersi carico dei bambini. Per quanto riguarda il mio rapporto con la fede, è stato caratterizzato da alti e bassi. Dopo il corso prematrimoniale, con mia moglie Lisa – conosciuta proprio durante l’esperienza di volontariato – ci siamo resi conto che la fede rende il nostro matrimonio ancora più solido e che è un aspetto importante della nostra vita. Così, lo scorso 24 giugno, nel giorno dedicato a san Giovanni, ci siamo sposati in chiesa.