Dante, l’amicizia e l’amore per Dio

Il viaggio immaginario del Sommo Poeta con i suoi due amici è una separazione dal reale e dalla quotidianità

Quaggiù non c’è nulla di più santo da desiderare, nulla di più utile da cercare, nulla più difficile da trovare, niente più dolce da provare, niente più fruttuoso da conservare dell’amicizia”. Così scrive Aelredo di Rievaulx, abbate dell’abbazia cistercense di Rievaulx in Inghilterra vissuto tra il 1109 e il 1167, famoso per il suo trattato sull’amicizia umana, intesa come strada verso l’amicizia divina e verso la pienezza dell’amore cristiano. L’amicizia è la sorprendente scoperta di un sentimento intimo che porta a non sentirsi mai soli, avendo accanto a sé qualcuno con cui condividere gusti simili e con cui scavare nell’abisso del cuore umano.

Le Sacre Scritture ci offrono la testimonianza più bella e veritiera di Dio che si fa amico degli uomini. Nella Genesi, per esempio, il Signore crea e pone la donna accanto all’uomo che non è destinato a rimanere solo (Genesi 2, 18-25), mentre nel Vangelo di Giovanni Gesù si presenta come amico quando dice “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Egli, donandoci la sua grazia, ci eleva al rango di amici, non ci lascia mai e resta sempre al nostro fianco. Il tema dell’amicizia è trasversale un po’ a tutte le epoche, anche a quelle pre-cristiane. Cicerone, nel dialogo De Amicitia, scrive che questo sentimento è superiore a tutte le cose perché dona speranza e non fa piegare l’uomo dinnanzi al destino. Guardare un amico – suggerisce il grande retore romano – è come rimirare sé stessi e anche la morte sembra piacevole, perché accompagnata dal ricordo. La società inevitabilmente si basa sull’amicizia, senza la quale niente starebbe in piedi e niente funzionerebbe. In un tempo di profonda crisi delle relazioni autentiche è bene andare a ripescare i versi di grandi autori che, attingendo alla cultura laica e cristiana, ci hanno offerto alti esempi di amicizia. Le loro parole, oggi più che mai, tornano utili in quanto ci fanno riscoprire il valore di donare noi stessi e di guardare al prossimo. Il Sommo Poeta è forse tra i riferimenti più importanti anche in questi casi. Nel corso della sua vita Dante nutre rapporti di amicizia veri e sinceri, dandone evidenza in tanti suoi testi poetici. Primo fra tutti il legame con Guido Cavalcanti, poeta stilnovista a cui dedica la Vita Nova, il primo dei suoi amici con cui intrattiene una corrispondenza da cui nasce un fecondo legame di solidarietà intellettuale, e di dichiarata stima reciproca. Tra le Rime dantesche spicca un sonetto, databile intorno al 1283, con cui il Sommo Poeta elogia l’amicizia con Cavalcanti. I versi recitano:

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento /e messi in un vasel, ch’ad ogni vento /per mare andasse al voler vostro e mio; / sì che fortuna od altro tempo rio /non ci potesse dare impedimento, / anzi, vivendo sempre in un talento, / di stare insieme crescesse ’l disio. / E monna Vanna e monna Lagia poi / con quella ch’è sul numer de le trenta / con noi ponesse il buono incantatore: / e quivi ragionar sempre d’amore, / e ciascuna di lor fosse contenta, / sì come i’ credo che saremmo noi.

Il sonetto presenta una sorta di proiezione in sogno in cui Dante, rivolgendosi allo scrittore di “Donna me prega”, immagina di compiere un viaggio insieme a quest’ultimo e ad un altro compagno, Lapo Gianni, notaio e poeta. In questa suggestione onirica le parole danno sfogo ad un moto interiore che pone, al centro di tutto, le sensazioni di affetto. La fuga dal reale e dalla società dei mercanti e delle lotte politiche cittadine si converte letteralmente in un estatico momento di pura amicizia, che intrappola i tre personaggi in uno straordinario incantesimo. È come se i tre venissero trascinati, per mezzo di un sortilegio, su una nave (“vasel”) che vaga per mare secondo il loro volere e seguendo la legge dell’amore. La poesia trae spunto dal ciclo epico bretone e carolingio per il tema della magia e dell’incanto (la navicella si rifà alla nave magica di mago Merlino), e riprende il modello del plazer, un componimento tipico francese che è un elenco di cose piacevoli e desideri. Alla base di questo viaggio immaginario c’è il forte desiderio (“disio”) che i tre geni hanno di stare insieme, di condividere le esperienze stilnoviste e di godere della compagnia delle “donne gentili”: Monna Vanna o Giovanna e Monna Lagia o Alagia, amate rispettivamente da Guido e Lapo e, in più, una donna schermo (“quella che è sul numer de le trenta”) menzionata da Dante al 30° posto in un sirventense perduto, contenente l’elenco delle sessanta donne più belle di Firenze (presumibilmente non si tratta di Beatrice che occupa la posizione 9, numero-simbolo della Trinità con valore sacrale e mistico). Nella “rarefatta inconsistenza” di questi versi i tre personaggi si staccano momentaneamente dalla routine quotidiana e dalle fatiche, che spesso portano a smarrire la rotta nella vita. È tutto tranquillo sul loro “vasel”, che non conosce “fortuna” (intesa come tempesta) né “tempo rio” (avverso) ma solo una piacevole intima navigazione, che culla i tre amici desiderosi di passare del tempo insieme in nome dell’affetto che li unisce. Condividere del tempo non significa necessariamente assumere gli stessi punti di vista e avere le stesse opinioni. Amano la presenza reciproca e il confronto ma mantengono le proprie posizioni (ad esempio Cavalcanti è filosoficamente averroista mentre Dante è cristiano di fede francescana, il primo crede nell’amore inteso come una passione travolgente che sfugge alla ragione, mentre il secondo lo vede come il suo signore di nobile virtù, che procede dal basso verso l’alto, dai sensi allo spirito, spingendolo a intraprendere il viaggio ultraterreno). Il rispetto del Sommo Poeta per l’amicizia si spinge a tal punto da accettare la separazione dalle persone amate, specie quando si tratta di combattere per un bene più grande. Cavalcanti, infatti, viene esiliato da Firenze nel 1300 perché membro della fazione dei Guelfi Bianchi in lotta contro i Guelfi Neri. Per far trionfare la pace a Firenze i priori della città decidono di esiliare i capi delle due fazioni, tra cui Guido. Dante è uno di questi priori che, nel far bandire il suo amico, prova un immenso dolore. Questo testimonia il fatto che il vero amico è sempre vicino, dà aiuto, rispetta, tollera, accetta le opinioni altrui, tira fuori il meglio di sé e dell’altro, ma non sacrifica mai l’etica che richiede scelte coraggiose. I tre scrittori sono tenuti insieme da quel “talento” che è apertura alla vita e ad altre relazioni, è desiderio di lasciare memoria nel mondo, è un continuo donare qualcosa di sé e una perenne ricerca del bello. L’amicizia è un tendere insieme e in piena libertà all’amore di Dio, “l’Amor che muove il Sole e l’altre stelle”, principio e fine di ogni cosa. Il sonetto non fa riferimento al dolore, ha una struttura a rima piana ed è contraddistinto da una certa leggerezza stilistica. Il soccorso divino per l’amico si palesa chiaramente nella Commedia, là dove Beatrice si svela a Virgilio come una donna bellissima, dagli occhi lucenti come una stella e con voce soave, e lo invia in aiuto a Dante, smarrito nella selva oscura, nel secondo canto dell’Inferno. La donna, che dice di venire dal paradiso, pronuncia al poeta latino queste parole: “l’amico mio, e non de la ventura, / ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, / che volt’è per paura”.La creatura angelica sta dicendo che colui che l’ha amata disinteressatamente in vita, senza ambire ad alcuna ricompensa, è a sua volta amato da lei stessa anche se la mala sorte lo perseguita. Lo definisce “amico”, un amico eterno che non è presente solo per convenienza e che, quindi, non viene abbandonato. Tanti altri sono i riferimenti all’amicizia nella Commedia, come quella tra Sordello, Goito e Virgilio citata nel VI canto del Purgatorio, ma anche l’affetto che il Sommo poeta nutre per Casella, cantante e musicista, ricordato nel II canto del Purgatorio, o quella con Nino Visconti nel canto VIII, o quella con Forese Donati, cittadino fiorentino citato nel canto XXIII. È questo valore che oggi va recuperato dalle nebbie di una contemporaneità che ci pone tutti nella condizione di essere “homo homini lupus”. L’uomo ha bisogno di conforto e di serenità e necessita di sane presenze, che gli facciano affrontare la durezza della vita. Amico è chi è pronto a dare la vita per te, è colui che prende con te i tuoi pesi e ti aiuta a portarli, rendendoli più leggeri. Come diceva William Shakespeare nel Riccardo II: “In nulla mi considero felice se non nel ricordarmi dei miei buoni amici”.