Documentario tra i banchi di “squola”

Cinema.  In una classe di giovani immigrati in Francia

Il grande critico cattolico francese Andre Bazin diceva che il cinema è la realtà: cioè che il cinema, inscrivendo il movimento all’interno dei suoi fotogrammi, non riproduce solamente lo spazio esatto del mondo, come già faceva di fatto la fotografia, ma vi aggiunge anche il tempo e, dunque, è uno schermo perfetto attraverso cui la realtà trova il modo di esprimersi e di essere. Usava una bella metafora: ogni film è come la Sacra Sindone, un velo assolutamente uguale alla verità originale che rappresenta. Naturalmente, come sappiamo, ci sono film più o meno realistici e nella storia del cinema si è prediletto ora un cinema più di finzione ora un cinema più veritiero. Ma nulla cambia il carattere ontologicamente riproduttivo del mezzo cinematografico, di cui appunto Bazin parlava negli anni Cinquanta. Dopo di lui, un altro francese, il filosofo Gilles Deleuze arriverà addirittura a dire che il cinema è una forma di pensiero, un cervello che pensa e si esprime esattamente come quello umano. E che, perciò, il cinema è la realtà assoluta del nostro essere.Senza addentrarci più a fondo in disquisizioni filosofiche, che si fanno molto complicate, è chiaro a tutti che ogni film sia specchio del proprio tempo e che sappia raccontarci la realtà. Ancora di più se il film in questione è un documentario: cioè uno spaccato realistico di un gruppo di persone o di un evento, non basato su una sceneggiatura di finzione. Sta per uscire nelle nostre sale proprio un prodotto filmico di questo tipo, che ci descrive molto bene la nostra società multiculturale e multirazziale: si tratta di “La squola di Babele” di Julie Bertuccelli. Il titolo storpia volutamente il sostantivo “scuola” perché il racconto è ambientato all’interno di una classe d’inserimento parigina dove giovani immigrati stanno imparando il francese per poi essere inseriti in una classe “normale”. Il film inizia, infatti, con il primo giorno in una classe d’inserimento di una scuola media di un gruppo di ragazzi dagli 11 ai 16 anni che sono appena arrivati in Francia. La narrazione segue questa classe per tutto l’anno scolastico in questo istituto di Parigi, dove gli alunni provenienti da Serbia, Cina, Venezuela, Senegal e tanti altri Paesi si ritrovano non solo ad imparare il francese ma a cercare di essere dei francesi, migliorando e imparando con la speranza di integrarsi con gli altri che, in un età di pre-adolescenza, non sono per nulla aperti ad accogliere “il nuovo”.In questa classe multietnica gli studenti, che più diversi tra loro non potrebbero essere, si ritrovano a fraternizzare e a darsi spalla, uniti dalle stesse difficoltà di ricominciare una vita, che anche se in giovane età, non è cosa semplice. Ognuno con i propri problemi, per i quali sono scappati o sono stati attirati in Francia e tutti con un bagaglio culturale e di classiche inquietudini adolescenziali, tra cui la totale perdita di punti di riferimento, spessi dovuti all’assenza dei genitori, la classe messa insieme da Julie Bertuccelli è un perfetto ritratto dell’integrazione difficile dei giovani nelle scuole e nella società. Con tanto entusiasmo, pochi preconcetti e un’infinità di domande sulla natura stessa della vita, “La Cour de Babel” (questo il bel titolo originale) è un documentario innocente e sincero che lancia un messaggio di speranza in un periodo non proprio facile. La cosa che più colpisce e stupisce è la verità di questo racconto: Julie Bertuccelli ha incontrato la classe dell’istituto Grange-aux-Belles di Parigi mentre presiedeva la giuria di un concorso di cinema per ragazzi ed è rimasta affascinata da questo microcosmo di emozioni e obbiettivi comuni, che non poteva non raccontarlo. E la regista si è messa al servizio di questo bellissimo “materiale” umano che aveva tra le mani, nascondendosi silenziosamente (lei e la sua videocamera) all’interno della classe, in maniera tale da far emergere tutta la verità e la realtà della vicenda narrata. Un film emozionate e toccante che lancia messaggio sull’importanza delle classi di accoglienza e sul ruolo fondamentale della scuola e dell’educazione nell’integrazione in un mondo sempre più multiculturale e multirazziale.