Cultura
Don Giovanni Barbareschi L’ultima Aquila Randagia
L'intervista al prete scout, eroe della resistenza italianaHa compiuto 95 anni lo scorso 11 febbraio. Durante il fascismo collaborò alla fondazione de "Il Ribelle" e alle attività dell'OSCAR
Quella di Don Giovanni Barbareschi è la storia di “uno scout diventato prete”, come egli stesso ama definirsi. La storia di un sacerdote che ha rischiato la sua vita per la nostra libertà durante gli anni durissimi della resistenza; di un uomo celebrato come un eroe “Giusto tra le Nazioni” e medaglia d’argento della resistenza. Noi l’abbiamo intervistato in occasione del suo novantacinquesimo compleanno (11 febbraio) per continuare a raccontare e far conoscere la sua eroica testimonianza di vita e di fede. Don Giovanni, partiamo dalla sua missione pastorale. Pensa che il suo ministero sia stato importante in quei periodi così bui. Le persone avevano bisogno di “rifugiarsi” nella fede oppure si faceva fatica a parlare di Dio?Non mi pare fosse difficile, in quegli anni, parlare di Dio, ed io ho seguito con molto entusiasmo la mia vocazione. Il fatto è che più che parlare io e i miei amici dell’OSCAR (Opera Scautistica Cattolica Aiuto Ricercati) ci davamo da fare per salvare persone in pericolo. Inoltre attraverso il giornale “Il Ribelle” cercavamo di diffondere le nostre idee.Restiamo ancora sul giornale. Lei ne è stato uno dei fondatori. Cosa significava fare giornalismo in quel periodo? Che importanza aveva dare le notizie non filtrate dal regime? Sempre con amici, sia delle Aquile Randagie che altri, abbiamo fondato il giornale clandestino “Il Ribelle” che nella sua testata porta queste parole : “esce come e quando può”.Tante persone, anche con grave rischio, hanno contribuito alla redazione, alla stampa e alla distribuzione de “Il Ribelle”. Cercavamo in queste modo di diffondere le nostre idee di libertà, di democrazia, preparando il futuro dell’Italia. Una frase di Giuseppe Mazzini ricorreva molto spesso: “Più che la schiavitù temo la libertà portata in dono”.È stato per qualche tempo in contatto con le aquile randagie. Cosa ricorda di loro?Ho pronunciato la mia promessa scout nelle mani di “Kelly”, Giulio Uccellini, il 27 dicembre 1943. Sono stato una delle ultime Aquile Randagie a pronunciare la promessa. Con le Aquile Randagie non ho svolto attività scout, ma con alcuni di loro, primo fra tutti don Andrea Ghetti – “Baden”- abbiamo fondato l’OSCAR, che aveva come scopo salvare ebrei, persone ricercate, renitenti alla leva, militari alleati in fuga. Avevamo un ufficio documenti falsi e organizzavamo l’espatrio di queste persone verso la Svizzera.Sono passati tanti anni da allora e lei è uno dei tanti eroi che ha contribuito a liberare l’Italia dal fascismo e dal nazismo. Che paese sognavate? Siamo sulla strada giusta?Certo il paese che sognavamo non lo pensavamo così… In questa luce mi chiedo: ci siamo liberati o abbiamo abbattuto un faraone e abbiamo assistito alla comparsa di altri faraoni? Il fascismo è un modo di vivere sempre in agguato, nel quale ci si arrende per amore di quieto vivere o di carriera; il fascismo è una mentalità. A liberarci non sono gli altri, non sono le strutture o le ideologie. Come abbiamo scritto ne “Il Ribelle” : “Non ci sono liberatori, ma solo uomini che si liberano”.Le Aquile Randagie sono ricordate dagli scout, e non solo, come un gruppo eroico di resistenza al regime. Un modo per continuare a vivere nonostante la dittatura. Quanto pensa che lo scoutismo sia importante nella formazione dei ragazzi?Ritengo che lo scoutismo sia molto importante nella formazione dei ragazzi: il contatto con la natura, lo spirito di servizio e la forza di una comunità per vivere insieme la vita di ogni giorno.
Scoutismo clandestino: gli anni della “Giungla Silente”
Dallo scioglimento dei Riparti Scout alla nascita dei gruppi clandestini delle Aquile Randagie
Con la legge n. 5 art. 3 del 9 gennaio 1927 venne decretato lo scioglimento dei Riparti Scout nei centri inferiori a 20.000 abitanti e si obbligava ad apporre, ai restanti, le iniziali ONB (Opea Nazionale Balilla) sulle proprie insegne. Nello stesso anno, il 24 gennaio, il Santo Padre Pio XI con suo chirografo sciolse i Riparti ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani). L’anno dopo, esattamente il 9 aprile 1928, il Consiglio dei Ministri modificò la legge ONB che, col decreto n. 696, firmato dal capo del Governo Mussolini e dal Re, dichiarò soppresso lo Scautismo. Fu da quel momento in poi che, alcuni Capi decisi a mantenere fede alla “Promessa” e alla “Legge”, come a Milano Giulio Cesare Uccellini, che prenderà il nome di Kelly durante la resistenza e Andrea Ghetti, detto Baden, fondarono il movimento clandestino delle “Aquile randagie”. Nacque così il primo gruppo cattolico antifascista che inizia il periodo della cosiddetta “Giungla Silente”.Questo movimento, composto mediamente da 20-25 iscritti, privo di sede per ragioni di sicurezza (da qui il nome “randagie”), ma in contatto con scouts stranieri, aveva un duplice scopo: difendere quei valori di libertà, personalità, autonomia e fraternità, perché crescendo come radici nel terreno di una rinnovata umanità, potessero un domani produrre frutti di Pace; lavorare assieme agli altri gruppi clandestini sparsi per l’Italia, per preparare con uomini e idee il momento della ricostruzione.Per comunicare tra di loro i membri delle aquile randagie utilizzarono la rivista “Il Club dei Ceffi” che verrà sostituita da “Estote Parati” fino al 1940.Nel 1933, superando grandi difficoltà, una delegazione di cinque aquile randagie, aggregata al contingente svizzero, partecipa al Jamboree di Gödöllo (Ungheria) ed incontrano Baden-Powell per la prima volta.Il 9 agosto Kelly, Baden e suo fratello Vittorio incontrano Baden-Powell che concede a Kelly il riconoscimento di Capo e l’autorizzazione a ricevere le Promesse anche al di fuori di ogni forma associativa.Nel 1943 le aquile fondarono e parteciparono alle attività dell’ Oscar (Opera Scautistica Cattolica Aiuto Ricercati) per favorire l’espatrio di ricercati dalle forze tedesche, prigionieri di guerra, renitenti alla leva ed ebrei, oltre che per sottrarre fascisti e nazisti alla vendetta dei vincitori, dopo la fine della guerra. La loro attiivtà si riassume in 2.166 espatri clandestini, 500 preallarmi, 3.000 mila documenti di identità falsi e una spesa di circa 10 milioni di lire.
Il Ribelle: il giornale che esce quando può
Il Ribelle è stato l’organo di stampa delle Brigate Fiamme Verdi, formazioni partigiane di orientamento cattolico. Don Giovanni Barbareschi dopo l’8 settembre 1943, assieme a Teresio Olivelli, oggi Venerabile, Carlo Bianchi, David Maria Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo, partecipò agli incontri che porteranno alla fondazione del giornale che “esce quando può” per 26 numeri, facendo correre ai suoi sostenitori grandi rischi sia per stamparlo sia poi per distribuirlo: infatti uno dei tipografi, Franco Rovida, e lo stesso Teresio Olivelli finiranno la loro esistenza in un campo di concentramento.
Profilo biografico
Don Giovanni Barbareschi non operò solo, ebbe rapporti con altri uomini e donne che hanno segnato la storia del novecento e della chiesa. Proprio dopo l’8 settembre 1943, assieme a Teresio Olivelli, oggi Veneabile, Carlo Bianchi, David Maria Turoldo, Mario Apollonio, Dino Del Bo, partecipò agli incontri che porteranno alla fondazione del giornale Il Ribelle. Il giornale delle Brigate Fiamme Verdi esce quando può per 26 numeri, facendo correre ai suoi sostenitori grandi rischi sia per stamparlo sia poi per distribuirlo: infatti uno dei tipografi, Franco Rovida, e lo stesso Teresio Olivelli finiranno la loro esistenza in un campo di concentramento. Sarà lui il 10 agosto 1944 a sollecitare dal Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, oggi beato, pregandolo di andare ad impartire la benedizione ai partigiani uccisi in piazzale Loreto. Il Cardinale gli ordinerà di andare lui stesso, benché ancora diaconoSS, mentre si sta preparando per accompagnare in Svizzera degli ebrei fuggitivi. Incarcerato a San Vittore, sarà sottoposto a durissimi interrogatori (da uno dei quali uscirà col braccio spezzato); ma anche in quel drammatico frangente non rivelerà il nome dei suoi compagni di lotta.«Al raggio V ci eravamo accordati che, se durante l’interrogatorio uno non aveva parlato, non aveva rivelato nomi pericolosi, al ritorno in cella avrebbe alzato il braccio destro – rievoca commosso l’anziano sacerdote –. Suor Enrichetta Alfieri, l’”angelo di san Vittore” oggi beata, riaccompagnandomi in cella si era accorta che non potevo alzare il braccio perché era spezzato. Con prontezza di spirito alzò lei il suo braccio facendo un ampio segno della croce. I miei compagni capirono e dalle celle si alzò in risposta il rumore delle forchette battute contro le gavette. Per questo gesto di solidarietà, tutto il V raggio per punizione fu costretto a saltare la cena». Resta in prigione fino a quando il cardinale non ne ottiene la liberazione, e quando in seguito si presenta a lui, il cardinale si inginocchia e gli dice: “Così la Chiesa primitiva onorava i suoi martiri. Ti hanno fatto molto male gli Alemanni?”.
Il 9 settembre 1943 andai dal cardinale Schuster con il mio amico don Carlo Gnocchi. Dissi a Schuster che ero venuto da lui per comunicargli che entravo nella Resistenza, e senza chiedere alcun permesso. Schuster si inginocchiò: “Fate quello che dice la vostra coscienza”. La libertà non si dimostra, ci si crede».
Don Gnocchi, oggi beato, lo aveva conosciuto pochi mesi prima, tornava dalla Russia. Divenne suo amico e poi il suo curatore testamentario. Tempi duri, per persone vere: «Quando penso se ho conosciuto tante “persone”, dico che in realtà sono pochissime». Eppure, è importante che la testimonianza del passato passi attraverso le parole di chi ha vissuto quell’epoca tragica: «Ma questo Paese ha la tradizione di sé stesso, non la memoria. Quando consacro alla Messa, Dio dice: “Fate questo in memoria di me”, invitandoci tutti a ripetere e rivivere quella situazione». Lo dice don Barbareschi, uno che afferma, con orgoglio: «Il primo atto di fede non è in Dio, ma nella libertà».
Passa qualche giorno e don Barbareschi parte per la Valcamonica, dove si aggrega alle Brigate Fiamme Verdi e diventa cappellano dei partigiani. Dopo essere stato arrestato viene portato nel campo di concentramento di Gries vicino a Bolzano, da dove riesce a fuggire prima di essere trasferito in Germania; ritornato a Milano diventa il “corriere di fiducia” tra il comando alleato ed il comando Tedesco durante le trattative per risparmiare da rappresaglie le infrastrutture milanesi. Dal 25 aprile 1945, su mandato del cardinale Schuster, si adopera per evitare rappresaglie contro i vinti e con l’avallo dei comandi partigiani e alleati opera per salvare il maresciallo Koch, il generale Wolff e il colonnello Dollmann (il quale il 4 marzo 1948 gli offrirà il suo diario personale come ringraziamento per avergli salvato la vita). Il cardinale Carlo Maria Martini, per la ricorrenza del 50º anniversario dall’apertura del Concilio Vaticano II ebbe a dire di lui: “Mi pare che don Barbareschi che stimo e apprezzo da tanti anni come patriarca sia in diocesi rappresentante della tradizione e questa sia un’occasione per rendergli omaggio”.