Don Marco: la mia vita sogno di Dio ad occhi aperti

Don Marco Pozza, a Cosenza per una testimonianza, racconta a Parola di Vita il suo impegno con i giovani e tra i carcerati

“Per un po’ di anni di sacerdozio ho viaggiato seguendo i mie sogni, poi il Signore mi ha portato dentro al deserto per parlare al mio cuore facendomi capire che dovevo vivere la mia vita inseguendo i suoi sogni. Non potevo infatti immaginare che la mia vita si sarebbe giocata in un carcere. Questa è l’astuzia di Dio”.

Ha esordito così don Marco Pozza, classe 1979, parroco del carcere di Padova, coautore insieme a papa Francesco dei libri intervista “Padre Nostro” e Ave Maria”, giornalista e conduttore di alcuni programmi televisivi su Rai1 e TV2000. A Cosenza per una catechesi all’interno dei festeggiamenti per il SS. Crocifisso. Lo abbiamo intervistao per il nostro settimanale.Prima del carcere la sua storia è iniziata con i giovani. Cosa ha significato per lei?Il mio sacerdozio è nato con il mondo dei giovani per due motivi semplicissimi. Prima di tutto per la mia età anagrafica che mi legava a loro, e poi perchè sono andato alla ricerca di quel bacino con cui potevo interfacciarmi considerato il mio linguaggio e il mio modo di fare. Come iniziò l’avventura che le valse l’appellativo di “don spritz”?Facevo il vice parroco in una parrocchia del centro di Padova dove c’era il rito dello spritz e le piazze erano piene di ragazzi. Visto che ho sempre avuto un carattere strafottente e non mi dispiaceva fare brutte figure e visto che non mi vergogno di dire che ho incontrato Cristo nella mia vita, ho voluto accettare la sfida di capire se la gente è disinteressata alla figura di Cristo o se si è disaffezionata a una certa immagine di Chiesa che lungo il tempo si è andata barricando nelle sagrestie. Poi, da un punto di vista più pratico, la mia era una parrocchia centralissima e con strutture bellissime ma vuote. Così, dato che dentro di me batteva forte il desiderio di lavorare con i ragazzi non fornendo loro risposte alle domande che si pongono, ribaltando il vizio di un certo modo di fare che ci voleva come distributori di risposte automatiche, mi sono lanciato. Questo mi è servito per applicare il concetto di incarnazione nel mio sacerdozio in una città che non era la mia e nella quale ero chiamato a operare. Poi ci furono gli anni di studio a Roma e la prima esperienza in carcere?A Roma andai a fare il dottorato in Teologia Fondamentale e durante quell’esperienza per sbaglio sono scivolato dentro il carcere di Roma Regina Coeli. Lì mi sono reso conto che quello che conoscevo di questa realtà non corrispondeva con quello che avevo visto. Questa cosa mi mandò in crisi intellettuale. Alla gente chiedo di poter avere una chance per presentarmi prima di essere giudicato, ma non l’avevo fatto con questa categoria di persone. Allora andai dal mio Vescovo per chiedere di donare 10 anni del mio sacerdozio a questa gente che per un decennio avevo giudicato senza conoscere.Inizia così l’esperienza nel carcere di Padova.Sono lì dal 2011 e non la cambierei con nessun’altra forma di pastorale. In carcere ho trovato un posto dove il mio modo di fare e la mia personalità ha trovato il suo libero sfogo. Oggi riconosco che è stato più difficile lavorare fuori dal carcere che dentro. Nel carcere incontri persone in un momento molto particolare della loro vita. Quando a un uomo o una donna togli la libertà si viene a creare una situazione che non può vivere in nessun altro posto. Vedere come la Parola mette radici e come le parole di papa Francesco vengano ascoltate con la loro potenza e autorevolezza è sbalorditivo. Come si svolge il suo ministero nel carcere?In questi ultimi otto anni insieme ad un gruppo di 15 persone abbiamo messo in piedi una parrocchia in un posto dove vivono 700 persone divise in quattro comunità a seconda delle tipologie di reati commessi. Lì dentro cerchiamo di testimoniare la parola di Dio. Non ci interessa perché sia finita in carcere, ma perché ad un certo punto della propria vita ha fatto quel gesto che l’ha portata ad essere lì. Abbiamo la possibilità di incontrare chi vuole rinascere e chi invece continuare a morire. Il carcere diventa così una sala radiografie dove si vede il bene e il male.Cosa ti colpisce di più di papa Francesco?Di lui mi colpisce l’umanità. Un’umanità trasbordante, imbarazzante e in certi versi sconvolgente. Un Papa così umano, che accetta una sfida di fare cose insolite e che ti porta nel cuore. Sono infatti un ragazzo cresciuto con rapporto bestiale con l’autorità e non avrei mai pensato che la massima autorità della Chiesa avrebbe potuto toccare il mio cuore in questo modo. Questo però non è un privilegio, ma una grazia di Dio, che opera con logiche diverse dalle nostre e non per merito. Sento infatti di essere più peccatore di altri preti, ma siccome la mia storia sta particolarmente a cuore a Dio mi ha fatto questo ulteriore dono. La sua storia ha dovuto anche fare i conti con il successo. Come si fa a gestire il suo impegno pastorale con la notorietà?Per me è un dramma. Perchè mi sembra di rivivere quello che Ezechiele racconta nel capitolo 16. Non è questa la fama che avevo cercato nella vita. Questa è la forma di protezione che Dio sta usando con me oggi. Mi dice: tu non puoi più scherzare con la tua faccia perché la gente la vede e non vede più solo la tua faccia ma quella di un Papa e quella di Dio. Si tratta di una prigione dorata. Comunque, visto che questi talenti me li ha dati Dio, cerco di usarli nel modo migliore.Stasera è a Cosenza per parlare del Crocifisso in una terra segnata da tante croci.Per me è imbarazzante parlare della croce in Calabria perché nel mio carcere vivono persone che hanno messo una croce sulle spalle di questa terra e sulle spalle di tante persone ammazzando i loro figli. Quindi la riflessione sarà basata sul fatto di non adorare una croce, ma un crocifisso. Perché la differenza tra una croce e un crocifisso la fa Cristo. Sono però estremamente convinto che il grande scandalo del cristianesimo non è la croce ma la risurrezione. In carcere le croci sappiamo come si fanno e quanto pesano, ma abbiamo bisogno di sapere che dietro questa croce c’è un sepolcro che si apre se uno accetta di lasciarsi guardare da Dio.