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Donald Trump è il 47esimo Presidente degli Stati Uniti: ai Repubblicani anche il voto popolare
I seggi non sono ancora tutti chiusi, ma le proiezioni non lasciano margini a stravolgimenti del verdetto: Donald J. Trump è il 47° presidente degli Stati Uniti e il Senato è tornato a guida repubblicana. Sulla Camera i margini di vittoria per il Grand Old Party (altro nome dei repubblicani) non sono ancora netti, ma un’eventuale sconfitta sarebbe marginale, rispetto ad un partito che ha in mano il potere giudiziario, potendo contare su una maggioranza conservatrice alla Corte Suprema, il potere esecutivo e una parte rilevante di quello legislativo
“Make America Red Again. Renderemo l’America nuovamente rossa”. Lo aveva promesso ad uno dei suoi comizi, Donald Trump, ricevendo poca credibilità dai media e dagli analisti, mentre i suoi elettori e non solo loro ci hanno creduto sul serio e oggi gli riconsegnano la guida del Paese per altri quattro anni. I seggi non sono ancora tutti chiusi, ma le proiezioni non lasciano margini a stravolgimenti del verdetto: Donald J. Trump è il 47° presidente degli Stati Uniti e il Senato è tornato a guida repubblicana. Sulla Camera i margini di vittoria per il Grand Old Party (altro nome dei repubblicani) non sono ancora netti, ma un’eventuale sconfitta sarebbe marginale, rispetto ad un partito che ha in mano il potere giudiziario, potendo contare su una maggioranza conservatrice alla Corte Suprema, il potere esecutivo e una parte rilevante di quello legislativo.
Donald Trump vince a man bassa anche il voto popolare, a prova che a vincere sono “i dimenticati d’America”, a cui molte piattaforme del suo partito hanno dedicato pagine, gadget, incontri sul territorio, parole impronunciabili nei salotti della politica buona eppure ormai comuni sulle strade dell’America rurale, ma anche nelle avenue dei quartieri marginalizzati delle metropoli, dove i democratici continuano a perdere consensi e attrattiva. A destra si sono spostati gli elettori di colore, i latinos, i giovani uomini bianchi, gli americani di origine araba che non hanno perdonato alla presidenza Biden il bagno di sangue a Gaza. A vincere sono stati anche Elon Musk, il fondatore di Tesla, le imprese di criptovalute, i magnati del petrolio e quella parte di Wall Street che continua a credere in un mercato che si autoregola.
I tre grandi temi elettorali di questa campagna sono stati l’inflazione, l’aborto e l’immigrazione: la narrativa di Trump è stata più convincente di quella di Kamala Harris, che non è riuscita, pur sostenuta da milioni di donazioni e dal dorato mondo di Hollywood a raccogliere quella coalizione che aveva portato alla vittoria di Joe Biden nel 2020. Quanto abbia pesato sull’esito delle urne il suo essere donna di colore pochi sono disposti ad ammetterlo eppure quel soffitto di cristallo resta ancora una volta infrangibile, come lo fu per Hillary Clinton nel 2016.
I democratici dovranno comunque spiegare perché il loro progetto di Paese non ha funzionato e questo nonostante Donald Trump, proprio grazie a Biden, erediterà un’economia straordinaria, secondo il Wall Street Journal, con tasso di disoccupazione tra i più bassi della storia, una forte crescita economica, che ha fatto registrare un +2,8% nel terzo trimestre ed un’inflazione vicina al 2%.
La buona notizia di questa notte elettorale riguarda il processo di voto: gli Stati Uniti hanno avuto delle elezioni libere che non hanno impedito agli elettori di recarsi alle urne, di scegliere i loro candidati, di votare anche a distanza e per posta, nonostante i tanti dubbi sull’integrità del processo, seminati proprio da chi oggi è stato premiato da quel processo e da una democrazia che si prepara ora ad un suo secondo mandato. L’America che esce dalle urne di martedì notte, non è più solo quella polarizzata che abbiamo provato a raccontare e analizzare in questi anni: mercoledì l’America è tornata ad essere unita, sotto un solo colore, sotto una stessa politica e, contraddittoriamente, sotto uno dei presidenti più divisivi della sua storia.