Diocesi
Ecco l’omelia integrale pronunciata da mons. Nolè nella concattedrale di Bisignano
Domenica pomeriggio l'Arcivescovo ha celebrato l'Eucarestia nella vetusta e gloriosa cattedrale bisignanense. Proponiamo il testo integrale pronunciato a braccio.
“Ieri sera abbiamo ascoltato il vangelo dei discepoli di Emmaus perché volevo dare uno stile pastorale a questi anni che staremo insieme, di ascolto, uno stile di comunione e di missione. Questa sera vogliamo soffermarci su ciò che il Signore ci dona per il nostro nutrimento spirituale. Dalla prima lettura di Ezechiele, il profeta ci dice che “in quei giorni uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi, e io ascoltai colui che mi parlava”. Ancora una volta l’ascolto: e non è facile ascoltare. E’ più facile parlare, più difficile è ascoltare. Come sempre la via giusta sta nel mezzo, parlare e ascoltare, in dialogo. Ed è fondamentale oggi il dialogo, perché nel dialogo ci possiamo spiegare, accettare, possiamo comprenderci e, alla fine, dopo che ci siamo conosciuti, possiamo anche stimarci e amarci. Possiamo cioè collaborare. Ma attenti a non cadere sotto la maledizione del Signore che dice: “ai figli testardi e dal cuore indurito, cioè quelli che non vogliono proprio ascoltare, ascoltino o non ascoltino, dal momento che sono ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”. E questo lo dice a beneficio di chi è stato chiamato, costituito, inviato. E tutti i battezzati sono stati chiamati, costituiti, inviati, in modo particolare i sacerdoti, i religiosi, coloro che hanno un ministero nella Chiesa, ordinario oppure un ministero straordinario. Pensiamo ai catechisti, ai religiosi, alle religiose, sono chiamati ad essere testimoni e profeti. Cioè dice il Signore: “non ti preoccupare se ti criticano, se non ti accettano, se non ti accolgono, tu devi fare ciò che sei chiamato a fare, devi essere fedele alla tua vocazione. E come sempre la prima lettura si congiunge al nuovo testamento, al Vangelo. Ritroviamo che Gesù, di sabato – non c’era ancora domenica – non era Pasqua, va nella sinagoga a pregare e insegnare. E lo fa nella sua città. E non viene creduto. I pregiudizi: tante volte noi siamo prigionieri dei pregiudizi. Cos’è il pregiudizio? È giudicare l’altro non da quello che è ma da come appare, o da un giudizio che ci siamo formati noi attraverso l’esperienza positiva o negativa. Ma comunque è un giudizio previo che non tiene conto della persona, perché spesso il giudizio scade nel giudizio negativo, nella condanna. Quante volte ci sorprendiamo a dire: “quello? Non è possibile. Sappiamo a chi è figlio, sappiamo chi è, non poteva fare un’opera buona”. Invece magari l’ha fatta, magari si è convertito. Magari ha incontrato il Signore e sta facendo un cammino nuovo. E non si apprezza perché c’è il pregiudizio. “Noi conosciamo i suoi parenti, sappiamo a chi è figlio. Come può lui parlare in questo modo. E Gesù che dice la famosa frase: “nessuno è profeta nella sua casa”. Pensate per un momento se nella famiglia un figlio comincia ad obbedire, a pregare, comincia a dialogare con i genitori nel rispetto, rispetta le regole comuni, riesce finanche a perdonare chi gli ha fatto del male. Come verrà giudicato dai suoi? Speriamo bene, ma in genere non lo si giudica bene. Questo è il pregiudizio. Pensate se improvvisamente i genitori invece di dire “vai a messa” vanno a messa con i figli, sono rispettosi della legge, della legalità, aiutano i figli a crescere nelle virtù evangeliche, cominciano a insegnare loro i comandamenti, la legge del Signore, se improvvisamente i genitori a tavola dicono: “prima di mangiare ringraziamo colui che è Padre di tutti e provvede a tutti e quindi anche a noi, pensate cosa succederebbe: che rivoluzione sarebbe questa. Ma c’è il pregiudizio. Pensate se improvvisamente un bambino a casa invece di “dire mamma prendimi l’acqua” si alza e la va a prendere a prendere e la dona pure agli altri. Il problema è nostro, degli adulti, perché noi pensiamo che chiedere qualcosa ai ragazzi significa mortificarli, allontanarli, rompere il dialogo. È il contrario. Cosa abbiamo chiesto e cosa dato noi ai ragazzi e ai giovani? Siamo stati capaci di chiedere qualche sacrificio in più? Abbiamo avuto paura a farlo, e oggi ne paghiamo le conseguenze. Ricordate che ai giovani, ai ragazzi, più si chiede più danno perché sono nel pieno della loro esuberanza, delle loro energie, dell’entusiasmo. È che noi spesso ci limitiamo a chiedere cose molto basse, e i ragazzi invece sono vette altissime. San Paolo, ci dice che lui ha riscontrato nella sua vita una spina, una tentazione, una debolezza, perché non monti in superbia, perché lui convertiva allora la superbia, il superbo, il Diavolo insinua, quasi a dire sei stato tu a convertire. Allora San Paolo dice io non sono nessuno se non faccio operare il Signore nella mia vita. Non pensare di poter far a meno di Dio, quando in una famiglia non c’è Dio, quando in una vita non c’è Dio il primo che arriva diventa il padrone che ci rende schiavi mentre il Padre ci rende figli. A quante schiavitù assistiamo? Non abbiamo spiegato abbastanza ai giovani. I mezzi di comunicazione sono qualcosa di straordinario, ma non sono educativi. L’educazione devono darla la mamma e il papà, sono essi i veri educatori. E’ importante sentirsi figli di Dio e non schiavi di qualcuno, Gesù dice: “anche a casa tua troverai qualcuno che dirà male di te, ma non fermarti devi essere testimone e profeta”. San Paolo ci dice: “avrai sofferenza, avrai prova, avrai spine e ricordati che il Signore ti dona questo ma ti vuole purificare e la sofferenza fa crescere”. Nella sofferenza Cristo ci ha salvati, ed è l’unica strada che ci porta alla Salvezza.
* Arcivescovo Metropolita di Cosenza – Bisignano
La traduzione è stata curata da Francesca Barbieri