Primo Piano
Egitto (3). I progetti finanziati con l’8xmille della Chiesa cattolica
Il viaggio organizzato dalla Fisc, in Egitto, per conoscere le opere dell’8xmille e portare un segno di vicinanza alle chiese locali che si muovono in un mare di carità, offrendo servizi e aiuti umani a tutti senza alcuna distinzione di fede e di etnia.
AUEED. Un programma di alfabetizzazione in 28 villaggi
Appena arrivati in Egitto, come da programma, andiamo a conoscere la prima realtà finanziata con i fondi dell’8xmille della Chiesa cattolica. Si tratta dell’associazione dell’Alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo (AUEED) che iniziò a fornire servizi alla comunità egiziana già nel 1940, quando i padri gesuiti istituirono l’AUEED e richiesero a padre Henry Ayrout, un prominente sociologo egiziano, per gestirlo. Lo scopo principale dei servizi forniti è l’educazione. Con l’aiuto della Conferenza Episcopale Italiana, l’ong egiziana ha avviato nelle sue 35 scuole sparse nei Governatorati di Minya, Assiut, Qena, Luxor e Sohag, dove la dispersione scolastica è altissima, un programma di istruzione formale che ha raggiunto lo scorso anno 12.500 alunni, grazie all’impegno di 950 docenti e 1.900 volontari. La vice presidente Dina Raouf Khalil, nell’incontro avvenuto nelle sede dell’Associazione a Il Cairo, ci ha spiegato che le loro attività e i loro programmi “sono rivolti principalmente ai più piccoli, perchè attraverso loro cerchiamo di arrivare alle famiglie. I genitori, la maggior parte analfabeti, preferiscono far lavorare i figli anziché mandarli a scuola”. Per queste persone l’AUEED ha messo in campo dei programmi di istruzione “non formale” avvalendosi della collaborazione di 220 operatori. Le lezioni e le attività mirano alla promozione dei diritti umani, al diritto alla salute, la lotta alla povertà, alla discriminazione. Lo scorso anno hanno frequentato il programma oltre 765 beneficiari, per il 96% donne, suddivisi in 63 classi in 28 villaggi.
Le opere dei Carmelitani a Shubra e ad Alessandria Una presenza cristiana piccola, ma piena di fede
Presente in Egitto da 90 anni, il Carmelo teresiano esplora nuovi cammini di crescita, di formazione e di servizi che puntano all’educazione dei piccoli e alla cura della persona, in particolare dei poveri e dei più bisognosi. E lo fanno attraverso due ospedali e una scuola. A Shubra, un quartiere nel cuore de Il Cairo, tra i più poveri, dove vivono circa sei milioni di abitanti, si trova la basilica di Santa Teresa del Bambino Gesù e l’ospedale di Santa Teresina, adiacente la casa dove vivono i padri Carmelitani Scalzi. Lo stesso ad Alessandria, città che ha avuto tanto significato nella storia del cristianesimo, dove esistono altre due strutture: una scuola e un ospedale. Padre Patricio Sciadini, carmelitano scalzo nato ad Arezzo e missionario per quarant’anni in Brasile, oggi si trova a Il Cairo come delegato generale della piccola comunità carmelitana. Accompagnandoci nella visita all’ospedale tra le corsie dei reparti dice: “la CEI ci aiuta nelle opere. Grazie ai progetti finanziati con l’8xmille degli italiani siamo riusciti a realizzare le costruzioni dei nostri edifici e ad acquistare apparecchiature mediche. E’ un aiuto molto prezioso per noi qui in Egitto che non abbiamo parrocchie e chiese e nemmeno tanti fedeli ”, afferma padre Patricio. Un altro carmelitano, nato in Armenia, padre Jacques Artignon, responsabile dell’ospedale di Santa Teresina di Shubra, racconta che tutto è “iniziato come un piccolo progetto, attraverso un ambulatorio, ma con il passare degli anni è diventato un ospedale di 4 piani. Il sistema sanitario egiziano è a pagamento, – spiega – per questo abbiamo realizzato questo ospedale che aiuta i poveri che non possono pagare o che contribuiscono in minima parte alle spese e al resto ci pensiamo noi”. L’ospedale di Santa Teresina ogni mese registra un’utenza di 20mila persone, tra operazioni e visite. “Abbiamo cento dottori che lavorano in ospedale e altri 80 che utilizzano la nostra struttura per casi speciali” aggiunge padre Jacques. Insieme ai padri carmelitani ci sono tre suore carmelitane che danno una grande mano nell’ospedale.
Ismailia. A Port Said inaugurata la Terapia intensiva neonatale con sei incubatrici
Un lungo tragitto in pulmino, scortati da un mezzo dell’esercito e da una volante della polizia egiziana, per arrivare ad Ismailia dove abbiamo incontrato il vescovo Makarios Tewfik. Un incontro interessante che ci ha offerto uno spaccato reale su quello che vivono oggi i cristiani copti in Egitto, perseguitati dall’Isis. Dopo questa visita ci siamo diretti a Port Said, costeggiando il canale di Suez. Qui la diocesi, grazie ai fondi stanziati dall’8xmille, ha potuto acquistare sei incubatrici per il reparto di Terapia intensiva neonatale, che il responsabile dell’ospedale “Notre Dame de la Delivrande” padre Hanna Tawfik ha inaugurato, in occasione della nostra visita, approfittando della presenza di don Leonardo di Mauro, responsabile dell’SPSE della Cei. A dare un grande aiuto a padre Tawfik nella struttura ospedaliera di Port Said ci sono cinque suore di Maria Bambina. Una struttura molto apprezzata quella della diocesi di Ismailia, che quotidianamente registra 50 visite al giorno e 40 parti al mese. Qui la maggioranza degli utenti sono musulmani, compresi medici ed infermieri, ma per padre Tawfik “non c’è alcuna differenza. Prestiamo cure a tutti; curando insegniamo a convivere”.
Il Cairo. Centri e scuole per i rifugiati
I padri Comboniani della comunità religiosa de Il Cairo si prendono cura dei rifugiati sudanesi e sud sudanesi che arrivano in Egitto. Per loro non è semplice convivere col popolo egiziano a causa del colore della loro pelle. Padre Jonh Richard Kyankaaga, provinciale dei missionari comboniani d’Egitto, ci racconta che lui stesso per diverso tempo è stato chiamato dagli egiziani con l’appellativo di “sammara”, che significa cioccolato, ma in senso dispregiativo. I comboniani de Il Cairo per il popolo sudanese, che arriva in questa Nazione in condizioni estreme, tanti con disturbi e traumi psicologici, soprattutto i bambini, hanno realizzato 4 centri di accoglienza e 3 scuole (più un doposcuola pomeridiano per bambini eritrei). Sono 1.300 gli studenti sudanesi e sud sudanesi che frequentano le aule delle scuole. Con il progetto finanziato dalla CEI con i fondi dell’8xmille hanno potuto acquistare un terreno dove sorge la scuola “Santa Bakita”, con un ampio cortile dove i bambini possono giocare e svolgere le loro attività. Per questi rifugiati il governo egiziano non fa tanto, anzi cerca di allontanarli, tant’è che non possono frequentare le scuole statali, “nessuno li vuole – dice padre John – anzi non ci sono posti, la priorità sono gli egiziani”. Solo dopo il diploma riescono ad inserirsi nelle università locali, grazie ad un accordo tra i governi egiziano e sud sudanese, ma solo dopo aver superato un esame, l’ennesimo.