Cultura
Epistole del Poverello d’Assisi

La Chartula e la Lettera a Frate Leone contengono messaggi di fratellanza e di amore cristiano
San Francesco d’Assisi ci ha lasciato Poesie, Regole, Esortazioni, Lettere e Preghiere, che testimoniano la sua ricca esperienza spirituale. L’autore del Cantico di Frate Sole, di cui quest’anno ricorre l’VIII centenario della stesura, pur essendo annoverato dalla Chiesa tra le massime personalità investite di un’alta moralità e di un senso di religiosità profondo e concreto, è stato anche etichettato come ignorante e ingenuo dall’immaginario collettivo. Per molto tempo si è ritenuto che il Poverello non sapesse scrivere o che scrivesse solo in volgare. Il professor Attilio Bartoli Langeli, esperto di Paleografia e di diplomatica, studioso del rapporto tra scrittura e lettura nel mondo medievale, nonché tra i principali conoscitori del francescanesimo, è convinto che quella di Francesco fosse una personalità “molto sensibile, ma nello stesso tempo anche estremamente creativa, originale nel suo pensiero, nelle sue relazioni con le persone e nei suoi progetti di vita”. Con una semplice e rudimentale penna d’oca, Francesco riusciva a trascrivere su carta le emozioni proprie e quelle altrui sotto la guida della grazia divina, come sosteneva l’inventore della grafologia italiana, Padre Girolamo Moretti. La mano del santo, tra le altre cose, redasse in latino degli autografi, tra cui due lettere che rappresentano un caso più unico che raro nel Medioevo. Ci riferiamo alla Chartula, cioè a quel foglietto-reliquia oggi custodito nella Basilica Inferiore di Assisi, e alla Lettera Spoletina, una pergamena conservata presso il Duomo di Spoleto. Queste due missive, destinata a Frate Leone, recano la calligrafia originale di San Francesco. Sono rimaste nella storia delle letteratura cristiana grazie alla cura che ne ha avuto lo stesso Leone, tra i religiosi più vicini al maestro nei momenti principali della sua esistenza terrena. La Chartula è un umile frammento giunto a noi in discrete condizioni, redatto con inchiostro nero a base di ferro da Francesco sul Monte de La Verna (a loco Alverna nominatur), due anni prima di morire, nel settembre 1224, quando si avvicinava la festività dell’Esaltazione della Santa Croce. Ritiratosi su quest’altura, il santo ebbe una visione in cui gli apparve un uomo in forma di Serafino con sei ali, che si librava sopra di lui, con le mani distese e i piedi uniti, appeso ad una croce. Francesco ebbe modo così di assaporare le sofferenze della morte di Gesù Cristo, dopo l’esperienza della povertà del Natale, chiudendosi alle cose materiali del mondo e abbandonandosi alla preghiera. La visione della croce si allontanò un po’ alla volta, lasciando su di lui due ferite alle mani, due ai piedi e come un colpo di lancia al costato. Sono le note stimmate del frate, attestanti l’immane dolore provato da Gesù per l’espiazione dei peccati dell’umanità. La piccola Chartula riporta da un lato il testo delle “Lodi di Dio Altissimo” e dall’altro la “Benedizione a Frate Leone”, la pecorella di Dio, persona colta e dotata di capacità calligrafiche a cui il santo lasciò vedere e toccare le sue piaghe. “Tu sei santo, o Signore, solo Dio, che compi cose meravigliose. Tu sei forte, tu sei grande, tu sei altissimo” sono alcune delle parole usate da Francesco in questa pergamena per parlare del Padre Eterno, che è l’Onnipotente, l’Uno e il Trino, il Sommo Bene, l’Amore, la Carità, la Sapienza, l’Umiltà, la Letizia, la Bellezza, la Speranza per l’umanità intera, la Fede e la Misericordia. Al compagno Leone si rivolge dicendo: “Il Signore ti benedica e ti custodisca. Mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te. Volga a te il suo sguardo e ti dia pace. Il Signore ti benedica, frate Leone”. L’alter Christus disegnò una “Tau-croce” su questo testo come simbolo della sua firma e segno di salvezza. Il compagno appuntò poi: “il beato Francesco scrisse di sua mano questa benedizione a me, frate Leone. / Allo stesso modo fece segno thau col capo, di sua mano”. Dobbiamo quindi supporre – come spiega Langeli – che in quei giorni piovigginosi e ventosi di settembre, il maestro e i suoi seguaci portarono con loro sulla Verna carta e panna, che servirono al santo subito dopo l’episodio delle stimmate. La scrittura doveva essere per Francesco una consuetudine a cui concedeva parte del suo tempo, per annotare i suoi pensieri anche in situazioni di estrema sofferenza fisica. Molti gli rimproveravano una cultura modesta, ma la sua formazione era illuminata dalla parola divina. Langeli decostruisce l’antico stereotipo secondo cui San Francesco doveva essere ignorante, considerando l’alto livello spirituale delle espressioni, delle frasi e dei vocaboli che usava. La sua produzione letteraria attesta il possesso, da parte sua, di una grande e consistente cultura biblica e cristiana. “La sua è una scrittura densa, mai banale, di grande spessore. Una cultura che egli si è certamente fatto da adulto, dopo aver maturato il proposito di rispondere alla chiamata religiosa, leggendo e meditando di continuo la Bibbia” sostiene il paleografo. Con la Lettera Spoletina, risalente al periodo tra il 1225 e il 1226,il Poverello ribadì il suo affetto per il fraticello prediletto che, in crisi di vocazione, chiese di incontrarlo. Rinvenuta nel 1878, quest’epistola è scritta in latino solo sul retto, presenta quattro correzioni, una cancellazione e un’aggiunta. “A Frate Leone, frate Francesco tuo, salute e pace. Così ti dico, figlio mio, come una madre, che tutte le cose che ci siamo detti brevemente, in una parola, te le riassumo, dispongo e consiglio, e non serve che per avere consiglio tu venga a me. Per cui ti consiglio: in qualunque modo ti sembri meglio piacere al Signore Dio e seguirne le orme e la povertà, fatelo, con la benedizione del Signore Dio e della obbedienza a me. Ma se ti è necessario, per la tua nima, e per tua ulteriore consolazione e forza, tornare da me: vieni” scrive Francesco. Rispetto alla Chartula redatta un po’ prima, l’autografo conservato a Spoleto presenta una grafia, un tratteggio e un allineamento insicuro dei segni, oltre ad essere contraddistinto da un’esecuzione difficoltosa. Questo sforzo è da ricondurre, con molta probabilità, al male che debilitò Francesco negli ultimi anni della sua vita, rendendolo pressoché cieco. Stette vicino ugualmente al confratello, dimostrandogli quell’amore paterno e quel calore che traspaiono nei versi scritti. Lo stato di deterioramento della pergamena non ha impedito una buona lettura e la comprensione di quello che è lo scopo dell’autore: suggerire a Leone di fare la volontà del Signore nel modo che ritiene più opportuno per coscienza. Questo testo esprime da un lato la profondità della relazione che Francesco vive con Cristo, dall’altro trasmette la bellezza e la tenerezza di un’amicizia evangelica, quella tra il santo e Leone che, ancora oggi, dopo 800 anni, è fonte di ispirazione per la vita di fraternità. Un altro testo francescano, da sempre sottovalutato dai ricercatori e dai filologi, è Lettera a un ministro, scritta con molta probabilità fra la Regola non bollata del 1221 e la stesura della Regola bollata del 1223. In questo breve ma intenso elaborato suddiviso in due parti, Francesco si rivolge ad un ministro provinciale, che si sente impedito a condurre una vita religiosa regolare, per i doveri derivanti dalla sua carica. Il frate in questione, forse, era intenzionato a lasciare la sua posizione e a ritirarsi in un eremo, per via di tensioni presenti nella comunità. Il Poverello, tuttavia, è in disaccordo con lui e, con questa missiva, compie un grande sforzo per ammonirlo spiritualmente, indicandogli come possa pervenire al vero amore di Dio senza lasciare la sua posizione. “A frate N… ministro. Il Signore ti benedica! Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia (L Min 1-2; FF 234)” scrive il santo. Solo Francesco, che aveva meditato a lungo su Cristo, poteva offrire i saggi consigli riportati in questa lettera: “considerare tutto e tutti come fonte di grazia divina”, “vivere in piena obbedienza ai fratelli”, “porgere sempre uno sguardo misericordioso verso chi sbaglia e verso chi commette peccati mortali”. La lettera, risalente agli anni successivi alle dimissioni di Francesco, descrive la vita della fraternità di quegli anni e funge da esempio di discernimento, dinnanzi ad una situazione problematica vissuta da un frate ministro. La capacità di Francesco, ancora una volta, è quella di penetrare nell’interiorità del suo compagno, aiutandolo a sciogliere i nodi della sua anima mediante la “Grazia di Dio”, e spronandolo a cogliere le difficoltà relazionali, come opportunità e non come difficoltà, ispirato dall’obbedienza al Signore. Nell’epistola c’è poi l’esortazione a chiedere l’amore per chi vive momenti complicati, così da ottenere da Dio grandi doni. Francesco dice al ministro: “non preoccuparti che diventino cristiani migliori”. Alcuni editori hanno eliminato la negazione diffondendo un messaggio contrario rispetto a quello inteso dal Poverello, per il quale, invece, bisogna preoccuparsi che ognuno trovi la propria strada per seguire Cristo. Il filologo tedesco Erich Auerbach apprezzò molto questo breve testo, ancora emendato in molte sue parti, lodando l’autentica spiritualità di chi l’ha redatto e ritenendolo un pezzo fondamentale della letteratura cristiana. È la pagina più rivelatrice della comprensione che il santo ha avuto di Dio come Padre di quella Misericordia, che è pietra miliare del Vangelo, cuore della vita di comunità, vero antidoto ai mali dell’animo umano. Le concrete parole di Francesco nei suoi scritti sono “divine” perché derivano dall’alto. Se ne può comprendere la carica affettiva senza mai stancarsi di leggere quello che il religioso ci ha lasciato, che è specchio della sua esistenza, veicolo della cultura medievale, desiderio di saggezza.