Ezio Vanoni, il ministro cattolico che non aveva paura delle tasse

Il 16 febbraio l'economista e politico valtellinese viene ricordato in Senato. Autore della riforma tributaria improntata al principio di giustizia sociale, è noto anche per il Piano che mirava alla piena occupazione. Un credente che non esibiva la sua fede, molto legato alla famiglia, amico di De Gasperi e Mattei. Un identikit tracciato dalla figlia Marina e dal conterraneo Mauro Dal Barba

“Nostro padre aveva un altissimo senso della giustizia sociale, che ne guidava le decisioni e l’azione politica”: Marina Vanoni vive a Roma, dove si trasferì con la famiglia “dopo l’8 settembre del ‘43”. Nel suo racconto attraversa, con estrema chiarezza e semplicità, alcuni passaggi fondamentali della storia d’Italia del ‘900, tra fascismo, guerra, Assemblea costituente, ricostruzione politica e morale, governi “centristi” a guida degasperiana. Il papà di cui parla è Ezio Vanoni, indimenticato ministro delle Finanze e del Tesoro nell’immediato dopoguerra, che sarà ricordato martedì 16 febbraio, nel 60° anniversario della scomparsa, con un convegno e una commemorazione ufficiale nella sede del Senato, che lo vide lucido e battagliero protagonista.

Dall’università al Codice di Camaldoli. “Papà aveva avuto un’educazione piuttosto severa” nella sua Morbegno, in Valtellina, dove era nato nel 1903. Il padre segretario comunale, la madre maestra, attiva nell’Azione cattolica e nella San Vincenzo. “Con noi ragazze”, afferma Marina Vanoni, anche a nome della sorella Lucia, “era invece piuttosto indulgente, pur richiamandoci agli impegni scolastici”. Dalle montagne di uno splendido angolo di Lombardia, Ezio Vanoni era partito subito dopo il diploma, per laurearsi a Pavia, a 22 anni, con una tesi sulla “Natura e interpretazione delle leggi tributarie”. Gli anni universitari furono anche quelli dell’opposizione ideale al fascismo, tanto da sottoscrivere per qualche tempo la tessera del Partito socialista; la successiva carriera universitaria fu, non a caso, ostacolata dal regime.Negli anni ’30 ebbe un incarico universitario a Roma che gli permise di entrare in contatto, attraverso Sergio Paronetto (anch’egli di Morbegno), con il gruppo romano dei laureati cattolici e con l’ambiente vicino ad Alcide De Gasperi, consentendogli di stringere legami e di avviare impegni che lo porteranno nel gruppo di estensori del Codice di Camaldoli e, subito dopo la guerra, in Parlamento e al governo con incarichi nel settore economico, finanziario e tributario.

La famiglia, gli amici. “A casa – prosegue il racconto di Marina Vanoni – papà non parlava mai di politica. La famiglia era il suo rifugio!”. “E pensi – confida – che solo un paio di volte lo abbiamo visto parlare in pubblico. Una volta in Senato, nel ’54, dove, preoccupate per la sua salute, ci recammo con la mamma, ad assistere al suo intervento in sede di discussione di bilancio dopo che, nell’autunno precedente, era stato colpito dal primo infarto. E un’altra volta, a Morbegno, assistemmo dal retro del palcoscenico a un suo comizio elettorale”. La figlia, sollecitata dalle domande, aggiunge: “Con la mamma costituivano una bella coppia affiatata. C’era un clima sereno in famiglia. Di tanto in tanto venivano a trovarci alcuni amici”, fra cui Pasquale Saraceno (cognato di Vanoni, pure lui di Morbegno), altra figura di spicco del pensiero economico cattolico.

“Fede profonda, mai esibita”. Vanoni è ricordato ancora oggi anzitutto per la riforma tributaria intesa a dar corso ai principi costituzionali di giustizia e progressività delle imposte con l’introduzione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, e inoltre per lo “Schema decennale per la piena occupazione”, ispirato a tre grandi obiettivi: dare un lavoro a tutti gli italiani, riequilibrare economicamente nord e sud del Paese, perseguire una sana politica di bilancio. “Papà aveva una grande ammirazione per De Gasperi: fra loro correva un rapporto di stima e di amicizia che però non assunse mai i toni confidenziali che sono in uso oggi. Era anche molto amico di Enrico Mattei: trascorrevamo insieme le vacanze in Alto Adige, dove papà e Mattei amavano andare a pesca di trote lungo i torrenti”. Infine un’annotazione sulla fede: “Papà ci teneva che fossimo educati religiosamente, ci invitava a leggere la Bibbia, e la domenica andavamo sempre a messa tutti insieme, con la mamma. La sua era una fede profonda, ma mai esibita. Ed era molto legato all’allora mons. Giovanni Battista Montini”, futuro Papa Paolo VI.

Un messaggio educativo. Vanoni, dunque, studioso di materie giuridico-economiche “prestato” alla politica, sostenuto dai principi trasmessi dalla Dottrina sociale della Chiesa, uomo di governo che non aveva paura a parlare di tasse. Nella Sala Koch del Senato, il 16 febbraio (data della morte avvenuta per un infarto proprio a Palazzo Madama, dopo un vibrante discorso improntato su una politica a favore degli ultimi e del bene comune) si svolgerà il convegno dal titolo “Politica ed economia in Ezio Vanoni. Riflessioni a 60 anni dalla morte”. L’introduzione sarà tenuta dal promotore dell’iniziativa, il senatore Mauro Del Barba, a sua volta di Morbegno: tra gli interventi quello di Giorgio Napolitano, Presidente emerito della Repubblica. Mauro Del Barba, interrogato sull’attualità del pensiero vanoniano, afferma: “Credo che Vanoni trasmettaun messaggio pedagogico riguardante il rapporto tra i cittadini e lo Stato, improntato alla partecipazione, al senso civico, alla responsabilità. Anche l’impianto della sua riforma tributaria si muoveva in questa direzione: l’idea di fondo era che ciascuno potesse contribuire al bene comune in ragione delle proprie possibilità”. Inoltre il ministro valtellinese “ci ha trasmesso – prosegue Dal Barba – la capacità di pensare a grandi riforme, in grado di modellare la nuova Italia”, uscita dal fascismo e dalla guerra, “seguendone poi la fase applicativa fin nei minimi particolari”. Una politica progettuale e al contempo “concreta”, secondo lo “stile Vanoni”.