Chiese di Calabria
Figlio di San Francesco, dal carattere silenzioso ma ricco di umanità
Il profilo biografico di padre Rocco Benvenuto. ha dato tanto all'Ordine dei Minimi.
Tanti dei sociologi che si pongono davanti alla società contemporanea per tracciarne i confini e per disegnarne un’identità s’imbattono in immagini diafane, dai confini labili, sfilacciati, difficili da definire. Questa constatazione, che rimbalza costantemente sui giornali e sugli interventi di attualità, non naviga solo all’interno del pensiero degli studiosi ma invade con insistenza le strade della nostra quotidianità. Ci si trova ormai sempre più in situazioni inconsistenti, ci si sente lentamente più immersi in un mare grande, in cui mancano punti di riferimento solidi, in cui diventano rari gli uomini che sanno suscitare un positivo interesse, che instillano un sano senso del dovere. P. Rocco Benvenuto nel percorso di molte persone, attraverso il suo acume, la sua cultura e l’esercizio del suo ministero, si è inserito come uno degli argini che impediscono questo fluire cieco della vita. Cercando di andare con la mente indietro nel tempo, riaffiorano numerosi episodi che ho vissuto in sua compagnia o che ho sentito narrare dalla sua bocca. Ciascuna esperienza porta con sé sfumature e toni diversi. La vita di ogni uomo è così: poliedrica e misteriosa, costellata da tanti eventi, conosciuta da punti prospettici differenti, a volte anche contrastanti, ma sempre unificati da alcune realtà che si impongono come evidenti, non eludibili. Pur percependo l’inadeguatezza di ogni possibile ritratto e la ristrettezza di ogni singolo punto di vista, tra le numerose qualità e attitudini di p. Rocco mi sembra che ce ne siano almeno tre in grado di riannodare bene i fili della sua esistenza: la fiducia, la dedizione e l’educazione.
In primo luogo la fiducia nel Signore: grande, con tratti decisi, che riuscivano a creare sempre ordine all’interno delle sue giornate. Mi è capitato più volte di trovarlo seduto alla scrivania del suo studio con il breviario tra le mani. Dal suo atteggiamento era facile cogliere l’attività che stava portando avanti: non era animato dallo stesso ritmo che viveva nel tempo della ricerca o delle attività di apostolato. Il tempo della preghiera era da lui vissuto evidentemente in maniera diversa: si trattava dello stesso scrutare, che gli era proprio, ma vissuto con un’intensità del tutto particolare. La preghiera era per lui come un atollo, posto nel mezzo delle numerose attività della giornata. Lo si vedeva con i suoi soliti occhiali consumati a fermarsi sui salmi, con lo sguardo sempre vispo, ma rasserenato, lontano dalla fretta che per forza di cose accompagnava il suo ministero, soprattutto negli anni in cui ha servito l’Ordine dei Minimi come Correttore Provinciale e superiore del Santuario di Paola. In quei momenti di preghiera si toccava la sua profonda verità: un uomo, affascinato dalla vita evangelica di s. Francesco di Paola, sempre più consapevole che ogni cosa trova il suo senso solo se toccata dalla Grazia.
Poi la dedizione: l’ho sempre visto intento a coordinare il battito del suo cuore con quello dell’Ordine, soprattutto nei momenti in cui le difficoltà si facevano pressanti e la fatica cominciava a diventare evidente sul volto. Raramente si fermava, cercando di compiere al meglio gli impegni cui era chiamato. Durante il ministero di parroco che ha svolto a Cosenza ha potuto raccogliere belle soddisfazioni pastorali. Sono state il frutto prodotto dal grande entusiasmo, capace di farlo saltare giù dal letto e portarlo a compiere le attività pastorali sotto la pioggia anche se ammalato, tra la sorpresa e lo sguardo preoccupato dei parrocchiani. La stanchezza non aveva la meglio nemmeno a fine giornata, quando si concedeva solo di cambiare gli strumenti di lavoro. Prendeva tra le mani la pesante lente d’ingrandimento, che era sempre posizionata sulla scrivania, vicino al portapenne, e cominciava a dedicarsi all’analisi di alcuni antichi manoscritti. Sembrava quasi divertito: la ricca produzione scientifica che ha pubblicato negli anni non è altro che l’espressione di questa grande passione per la ricerca. Come ogni saggio studioso, era solito utilizzare i dati scoperti delle epoche passate per cercare di rendere contemporaneo all’oggetto della ricerca chi a lui si rivolgeva per ricevere informazioni. Non amava i monologhi: la narrazione che proponeva era incalzante, personalizzata, suscitava curiosità e il suo sopracciglio alzato attendeva sempre un riscontro da parte dell’interlocutore.
Infine l’impegno educativo: era la sua “vocazione nella vocazione”, si inseriva in ogni tappa del suo ministero. Da docente e direttore del nascente Istituto Teologico Cosentino si è dedicato alla formazione dei seminaristi. Preciso, esigente, a tratti severo. È riuscito a costruire una solida alleanza educativa tra le mura dell’Istituto. Anche dopo diversi anni dalla conclusione del suo mandato, nei corridoi è possibile trovare studenti e docenti che si confrontano sul suo stile, sulle sue proposte e sulla sua caparbietà. Insegnante quindi, ma non solo di storia. Da buon educatore cercava in ogni circostanza di tirare fuori il meglio da chi gli stava vicino. Ricordo il suo modo di starmi accanto nel periodo in cui l’interrogativo della ricerca vocazionale si imponeva in me con forza ed evidenza: la sua presenza era molto discreta, non mi ha mai proposto soluzioni preconfezionate o espresso desideri che potessero vincolarmi. Per via di alcune sfaccettature un po’ spigolose del suo carattere a volte poteva apparire provocatorio, ma era il modo in cui lui cercava di mettere in moto processi che non si coglievano in pienezza, ma che si intuivano dal sorriso compiaciuto che aveva sul volto.
Una delle ultime immagini che conservo è quella di una visita a sorpresa che gli ho fatto insieme ad alcuni amici a Pizzo. Ci trovavamo nei pressi del convento dei Minimi, vicino al belvedere della cittadina. Mi indicava la vivacità delle attività marittime di quei luoghi e la bellezza della storia del paese: parlava come al solito veloce, “mangiando” la finale di qualche parola, ma trasmetteva la sensazione del compagno di viaggio che vuole farsi prossimo nei ragionamenti e nella vita, che ha la premura di condurre ma che poi lascia andare, anche all’improvviso. In quella circostanza interruppe, infatti, repentinamente il flusso veloce del suo parlare per salutarmi, perché alcuni lo stavano aspettando per un impegno già preso. È esattamente questa l’immagine che la sua morte ci mette davanti agli occhi: un discorso bello ma fugace, in cui tanto viene detto, ma che viene interrotto all’improvviso, quando proprio non te lo aspetti.
Una forte pacca sulla spalla, una strizzata d’occhio e un saluto con la mano.