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Franco Florio conquista l’America
L’ex calciatore di Cosenza, Rende e Roma, ora allena gli Under 23 del Miami. Un’esperienza personale e professionale accanto ai giovani di un calcio emergente.
Al di là delle acque dell’Atlantico c’è un continente che continua a straripare di speranze per persone ambiziose. Come 200 anni a questa parte, Zio Sam continua a puntare, occhi e dito, verso i volti di tanti che vogliono cercar fortuna in un pezzo, ampio, di mondo dove molti aspetti sono allo stato embrionale. Magari questi qualcuno o qualcuna, possono contribuire significativamente allo sviluppo statunitense. Franco Florio, una volta calciatore di Cosenza, Rende, Monza, Treviso, Foggia, Roma (con una parentesi nella Nazionale under 18) cinque anni fa, dopo una brevissima esperienza sulla panchina del Cosenza, vice nel 2011-2012, e poi alla guida delle giovanili, ha deciso di cambiare totalmente prospettive approdando nello Stato delle 50 stelline. Ad oggi guida la squadra di calcio del Miami United under 23 ed è in corsa per il ruolo di allenatore in seconda della prima squadra floridiana.
Florio, come sei approdato al Miami? Raccontaci il tuo viaggio negli Stati Uniti.
Sono arrivato in America nel 2015. Andai a Seattle, dove allenavo squadre giovanili, ma anche privatamente alcuni calciatori. Qui è la norma allenare i ragazzi privatamente. Fino al 2017, sempre a Seattle, ho seguito varie squadre preparando, anche, allenatori che erano alle prime armi. Abbiamo mandato una squadra di venti ragazzi dello stato di Washington a Coverciano a fare una settimana d’esperienza giocando contro una selezione della Fiorentina. Poi mi sono trasferito a Miami (che dista da Seattle 4396,72 km!, ndr) allenando, prima, la Miami Soccer Academy, una squadra semiprofessionistica, disputando un torneo statale senza perdere una partita. Da qui il mio approdo allo United. Contemporaneamente, sto, anche, lavorando con il Paris Saint Germain, che dispone di una Academy (Florio guida la under 14) in Florida, dove alleno 40 ragazzi.
Da dov’è nata l’idea di allenare oltreoceano?
Penso che qui il calcio si stia sviluppando in modo molto forte. Sono arrivato perché spinto dalla curiosità. Ho vissuto in America tempo fa. Dunque, ho deciso di provare questa esperienza per comprendere il funzionamento del calcio estero e americano. Rispetto a quello italiano, ci sono margini in cui poter lavorare e venendo dall’Europa si possono dare tanti consigli. Agli americani difficilmente si possono dare lumi nello sport, ma ancora nel calcio ciò è possibile.
Com’è strutturato il calcio americano?
Io alleno nella Serie C americana, la loro A è la Mls. Il loro sistema ha molte lacune. Hanno molti più calciatori delle nostre società, però, non riescono a farli emergere a certi livelli, anche perché solo la Mls dà loro la possibilità di giocare a un certo livello. Tutti gli altri campionati non sono strutturati come i nostri. Se non arrivi lì, nella serie A statunitense, generalmente ti perdi. Inoltre, c’è il sistema del calcio universitario, ma è un discorso a parte che meriterebbe almeno tre ore per poterlo spiegare completamente. L’organizzazione del calcio è molto complessa, molte cose non vanno bene e questo porta alla perdita di tanti talenti. Ci ho messo un po’ per capire lo status quo. E loro di calciatori ne hanno tanti. Qui, davvero, il calcio è uno sport per ricchi, perché si paga tanto per stare dentro una scuola calcio.
Negli Usa vanno forti altri sport…
Si ci sono il basket, il baseball, l’hockey, il football americano, sport che portano più soldi. Prima del calcio ci sono 4-5 altre professioni sportive. Tutti quelli che fanno questi sport, a livello economico guadagnano dieci volte più di un calciatore. Non guardiamo i vari Ibrahimovic… perché un giocatore al suo primo anno in NBA prende 400-500mila dollari, mentre un calciatore in Mls (Serie A calcistica) ha uno stipendio di circa 40-50mila dollari. Poi nel caso di Ibra, club come il Los Angeles Galaxy danno tanti soldi solo ai calciatori designati, massimo 3, il resto è nelle norma.
Molti calciatori, soprattutto quelli a fine carriera, vanno a giocare nel continente americano, Ibrahimovic’ e Nesta su tutti. E’ utile portarli in MIs?
E’ un modo per dare visibilità alla loro Lega. Così come la Juventus ha portato Ronaldo in Italia, ora il calcio tricolore sta risalendo. Quando hai calciatori di riferimento, che fanno parlare della Lega, anche se la squadra nella quale militano non va benissimo, le cose cambiano e molto. Si parla di Ibra, del Los Angeles e cresce l’attenzione nei confronti del calcio negli Stati Uniti.
Com’è cambiata la tua vita, a livello quotidiano, negli Usa?
Dipende sempre da dove vivi. Nel mio caso ho vissuto un po’ dappertutto, sperimentando posti dissimili gli uni dagli altri. L’America è molto diversa dall’Italia per quanto riguarda le relazioni con le persone. Qua i luoghi d’incontro sono molti di meno rispetto ai nostri. Non si trovano tante cose, che si trovano in Italia a partire dal cibo, il quale costa molto di più. Fino ad arrivare al problema delle distanze. Nel corso della settimana alleno su quattro campi differenti, tralasciando quelli privati. Per raggiungere alcune strutture devo fare un’ora di macchina, quindi cambia un po’ tutto. Questo ti può capitare pure a Milano e Roma. A Miami, però, fa troppo caldo quasi tutto l’anno.
Gli Stati Uniti sono interessati dal voto di metà mandato (il 6 novembre prossimo). Come stai vivendo l’evoluzione politica attuale degli Usa?
E’ una situazione molto complessa. Tanta gente parla dell’America senza conoscerla. E’ chiaro che il nuovo presidente non è ben visto in tanti ambiti. Non voglio fare un discorso pro e contro Trump, però l’America dal punto di vista economico funziona. Per altri aspetti no. Qui il sistema capitalistico è puro. Non è come da noi. Qui paghi tutto, non esistono servizi pubblici: paghi tutto e caro, dall’istruzione alla sanità. Inoltre, questo sistema è molto flessibile, può assumere e licenziare persone nel giro di tre secondi. Chiunque, se ha voglia di lavorare, può lavorare, ma deve farlo perché ogni cosa ha un suo costo.
Ti manca Cosenza? I Lupi sono tornati, dopo tanti anni, in Serie B.
Sono felicissimo che la mia squadra sia tornata in questa serie. Spero che un giorno arrivi in Serie A. Quando sei a livelli importanti entri nei radar di tutt’Italia. Ora tutti gli sportivi sanno dov’è ubicata la città. Nelle categorie inferiori, non tutti se ne ricordano. Ora dici Cosenza e tutti sanno che si trova in Calabria e gioca contro questa e quell’altra squadra. Non è aspetto, assolutamente, marginale. Questo ti dà la possibilità di farti conoscere in ogni luogo. Ora esistiamo di nuovo. Chiaramente Cosenza mi manca e non poco, perché la mia famiglia si trova lì. Ora è un anno che non torno. Tra poco farò visita per due settimane per poi rientrare a Miami, perché a gennaio inizia il campionato. Per quel che mi riguarda, penso al mio presente qui in America sperando di diventare vice allenatore della prima squadra del Miami e poi chissà