Giovani protagonisti del mondo del lavoro

Verso Cagliari. L'intervista a mons. Fabiano Longoni direttore dell'Ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro

Lo scorso luglio 2017 l’Istat stimava un aumento degli occupati pari allo 0,3%. Tuttavia il tasso di disoccupazione giovanile continua a crescere: sempre a luglio si attestava al 35,5%, secondo la stessa fonte, in crescita del solo 0,3 punti da giugno. Abbiamo chiesto al direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, mons. Fabiano Longoni, di commentarci questi dati alla luce della 48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani intitolata “Il Lavoro che vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale”, che si svolgeranno a Cagliari dal 26 al 29 ottobre.

Aumenta il tasso di disoccupazione giovanile, nonostante Istat di recente abbia «confermato la persistenza della fase di espansione occupazionale». Cosa ne pensa?

Di sicuro oggi più che mai, quando si parla di occupazione giovanile il puro dato statistico che, di volta in volta può cambiare e noi speriamo in meglio, non è confortante. Al di là delle statistiche però è necessario cambiare prospettive entrando in una più ampia, questa è la finalità che le settimane sociali si propongono: non fermarsi al puro dato statistico. L’occupazione dei giovani non può essere legata soltanto ai numeri, che possono subire un regresso, ma soprattutto alla qualità del lavoro come scritto nella nostra costituzione. I giovani cercano un certo tipo di lavoro che sia adatto a loro e alle loro competenze, ma in un senso di prospettiva più ampia questo significa anche viverlo come “libero, creativo e partecipativo e solidale”, questo è il concetto fondamentale di cui si discuterà nelle giornate cagliaritane. Il lavoro in termini di qualità presuppone che non solo lo Stato deve garantirlo, ma spetta a ciascuno di noi a far sì che questa crescita del lavoro sia il più possibile adeguata al cambiamento dei tempi. A mio avviso, la grande necessità giovanile è quella di sentirsi favoriti e sostenuti nelle modalità di ricerca di questo tipo di lavoro, laddove invece questo processo di ricerca non è immediato.

Ci può anticipare qualcosa sul documento che verrà presentato a Cagliari?

Il documento s’intitolerà Istrumentum Laboris e affronta il lavoro secondo le caratteristiche sopra dette, fornendo punti di vista concreti: io credo che dobbiamo fare i conti con quello che è il grande problema dell’investimento, favorendo chi vuole costruirsi un nuovo lavoro. La Chiesa italiana ha risposto già con uno strumento valido che è “Policoro”: nell’arco dell’ultimo ventennio questo progetto ha dato nuova linfa, favorendo la nascita di aziende anche in aree periferiche del nostro Paese, attraverso finanziamenti agevolati e attraverso un cammino di affiancamento nella crescita della nuova impresa, sostenendole anche nei momenti di difficoltà legati a fenomeni ambientali-territoriali specifici legati alla criminalità organizzata. In questo documento quindi ci sono molto idee innovative fondate sulla “dignità del lavoro”, in un’ottica in cui si passi dalla centralità dei consumi alla centralità del lavoro: è finita l’era in cui dagli anni ’60 in poi esso era legato a consumi massivi, adesso bisogna ripensare il lavoro in termini di sostenibilità economico-ambientale e di crescita in quei settori centrali legati ai nuovi stili di vita.

Di fatto le parrocchie potrebbero fungere da ‘agenzie’ in questo processo di cambiamento?

Sì e nel documento cagliaritano verrà affrontato questo punto nella parte finale in si riprende un’idea che il nostro Ufficio lanciò a Salerno nell’incontro con il Ministro Poletti, in cui sottolineammo come le parrocchie, tradizionalmente luoghi d’aggregazione sociale, possano diventare da ludocentriche a punti in cui costruire e incentivare la nascita di questa mentalità basata su equilibrio e sostenibilità. Le nostre chiese quindi possono dare una forte spinta al cambiamento di tradizionali mentalità legate a modelli sociali e lavorativi passati.

Prima delle oramai prossime settimane sociali che cosa si sente di dire ai giovani?

I giovani devono essere sempre più capaci di sentirsi dei soggetti, parte attiva di questi processi di creazione del lavoro. Le politiche che si faranno non devono essere pensate solo ‘per’ loro ma devono avere loro come protagonisti: questa è e sarà una grande sfida. Noi vediamo una crescita degli occupati soltanto grazie a benefici fiscali. Già dal 2018 però non ci saranno più questi stessi incentivi, quindi resteremo a mezz’aria nel processo di cambiamento? Forse dovremmo investire sul promuovere e mettere in luce la capacità creative e di autoimpiego giovanile, a partire dal valorizzare le nostre vocazioni territoriali. Qualcosa pare che si stia muovendo in tal senso, viste le imponenti ‘fughe di cervelli’ degli ultimi anni: speriamo che quest’orientamento delle politiche si riveli continuativo.