Gli Arazzi della Cattedrale a Koinè

Alla Fiera del Sacro di Vicenza spazio alla diocesi di Cosenza

Contesto

La Cattedrale di Cosenza il 30 gennaio 2022 ha celebrato gli ottocento anni della sua dedicazione. Tale importante anniversario ha coinciso con l’apertura di uno speciale anno giubilare per l’Arcidiocesi di Cosenza – Bisignano che, com’è naturale, ha nella Cattedrale non solo la sede del suo Vescovo ma anche un luogo identificativo della sua storia religiosa e civile. Nel programmare questo anno di grazia ricevuto come dono prezioso del Signore per riprendere il passo di un cammino diocesano forzatamente interrotto dalla pandemia, la comunità diocesana ha inteso non solo programmare una serie di celebrazioni  commemorative dell’evento attraverso il coinvolgimento di tutte le sue componenti ma soprattutto risvegliare in tutti i suoi membri un senso di rinnovata appartenenza ad una storia ricca di passato ma ancora tutta da scrivere nel presente. Partendo dalle trasformazioni a cui è stata sottoposta in otto secoli la Cattedrale bruzia si è costruita la narrazione di un cantiere ecclesiale che ha bisogno non solo di restauro/conversione costante ma anche di un impegno che vede le pietre vive (cf  2Pt 2,4-5) impiegate dallo Spirito per la realizzazione di un progetto donato dall’Alto non pienamente compiuto nella storia. Cosi anche i pellegrinaggi in Cattedrale che le comunità e le varie aggregazioni sono state invitate a compiere si sono costruiti come stimolo ad una più consapevole  professione di fede nella natura misterica della Chiesa e della sua missione da compiere nella sinfonia delle vocazioni e dei carismi. Questa idea di una costruzione collettiva propria della nascita e dello sviluppo di ogni Cattedrale  europea, almeno di quelle medioevali, che non sono mai opera di un singolo ma di una comunità, ha guidato la Diocesi nel chiedere la collaborazione di tutte le realtà associative, ecclesiali e non, perché l’anniversario della Cattedrale venisse vissuto da tutti  come riappropriazione di una storia e un’identità comuni per un nuovo e appassionato  impegno nella trasformazione del presente con le sue potenzialità e i suoi limiti, con le sue luci e le sue ombre: insomma un sano sguardo al passato per un positivo impegno nell’assunzione e trasformazione del presente.

 

Progetto dell’opera.

Nel solco di questo duplice sguardo al passato e al presente è nata, in collaborazione con la Fondazione Misasi “Ereditare la terra“, l’idea di riprendere l’antica prassi degli arazzi utilizzati non solo per conferire all’aula liturgica la veste della festa ma anche soprattutto come mezzo di catechesi visiva per la comunità riunita per la celebrazione dei Divini Misteri. Esempi mirabili in Italia sono gli arazzi con la vita di San Carlo esposti nel Duomo di Milano per la festa del grande vescovo, esemplare nell’attuazione del Concilio di Trento, o anche quelli esposti nella Cattedrale di Cremona per la festa del patrono Sant’Omobono, per non parlare degli splendidi arazzi commissionati al grande Raffaello Sanzio da papa Leone X per ornare la Cappella Sistina nella zona inferiore delle pareti dipinta a finti tendaggi, quasi a completare idealmente  la mirabile e stupefacente narrazione dell’intero edificio.  Certo si aveva bene la consapevolezza nel pensare ad un’opera per certi versi inusuale, almeno per i nostri tempi, che non si poteva e non si doveva competere con questi giganti della storia artistica e liturgica del panorama italiano. Di una cosa però si era sicuri: non si trattava di progettare l’allestimento di una mostra ne tanto meno di dare vita ad una semplice decorazione per solennizzare la celebrazione in corso ma di un opera nata nella e per la Liturgia, in grado cioè di ridare alla navata della Cattedrale la sua natura di vero e proprio luogo liturgico e non semplice spazio destinato alle sedute di uno “spettacolo” che si svolge sul “palco” di fronte. A ciò si aggiunge la soluzione da dare a quel dilemma che spesso tanto agita le acque intra ed extra ecclesiali se ricopiare il passato nobile e maestoso con la sua espressività quasi canonizzata oppure intercettare un linguaggio contemporaneo in grado di dialogare con una storia solenne e austera plasticamente manifestata nello stile cistercense della Cattedrale cosentina. Dopo un momento di riflessione e di confronto si è giunti alla conclusione che, nel rispetto della storia dell’edificio all’interno del quale ogni epoca ha lasciato la sua traccia, e soprattutto in linea con il magistero della Chiesa che chiede alla comunità cristiana, nella fedeltà al grande mistero dell’Incarnazione del Signore, di assumere il linguaggio contemporaneo anche nel vivere e dare forma all’atto di culto, si doveva procedere con la scelta di sedici artisti contemporanei che con il proprio estro artistico potessero dare forma alla Parola annunciata. Infatti il primo atto di questa avventura, rivelatasi poi affascinante e sorprendente come solo lo Spirito sa realizzare, è stato quello di costruire il percorso biblico- liturgico da affidare poi agli artisti, giacché il fine dell’opera doveva essere quello di manifestare il senso più profondo e vero della Tradizione della Chiesa Cattolica cioè la capacità di narrare una storia antica ma viva con un linguaggio anch’esso vivo e attuale per gli uomini e le donne di oggi. Naturalmente tutto questo non sarebbe stato possibile senza l’intelligente apertura di mente e di cuore dei singoli artisti che si sono messi in ascolto di un brano dato loro dalla committenza ecclesiastica e con entusiasmo hanno offerto il lavoro delle proprie mani alla lettura di una comunità che contemporaneamente ha dovuto anche essa porsi in ascolto di un parlare nuovo, forse a prima vista un po’ lontano dal quotidiano alfabetò visivo religioso, ma poi rivelatosi foriero di spunti e riflessioni personali e comunitari.

Nello strutturare il percorso ci si è lasciati guidare dal rapporto tipologico della storia della Salvezza nel quale l’Antico Testamento nella sua funzione di annuncio si compie nel Nuovo, frutto di quel compimento che continua oggi nella vita della comunità cristiana. A guidare questo cammino di memoria e annuncio c’è l’idea e il concetto del Tempio che dalla materialità dell’antica costruzione salomonica passa alla novità sorprendente e rivoluzionaria del suo darsi definitivamente nel corpo del Crocifisso – Risorto aprendosi alla visione apocalittica di una comunione sponsale tra Dio e l’umanità.

Sviluppo dell’opera

Il percorso, articolato in otto temi, ha dunque la finalità di favorire i fedeli, e anche i visitatori, a comprendere il senso genuino ed originale del Tempio cristiano visto nella sua verità spirituale e fisica, in modo da rileggere il luogo nel quale la comunità si raduna, nel caso specifico la Cattedrale, come spazio sacro nel quale, quanto prefigurato nell’antica alleanza, e portato a pienezza nel mistero di Cristo, oggi si compie nella storia concreta di una comunità.

Il primo tema riguarda il desiderio e la volontà da parte dell’uomo di costruire il tempio, per cui il percorso inizia con la Profezia di Nathan  (2 Sam 7,8-14) nella quale il desiderio di Davide di costruire una casa al suo Signore viene orientato da Dio al compimento delle sue promesse: sarà Dio ad edificare una casa a Davide ed alla sua discendenza, profezia che si compie nell’Annunciazione (Lc 1,26-38)  , momento nel quale Dio costruisce la sua casa. Questo dono salvifico trova la sua naturale prosecuzione nella descrizione della costruzione della Cattedrale di Cosenza , avvenuta agli inizi del XIII secolo.

Il percorso prosegue, dalla costruzione alla consacrazione del Tempio, con il momento solenne della preghiera di Salomone (1 Re 8, 27-30) , che nell’invocare la benedizione di Dio sul nuovo tempio è tuttavia cosciente della sua incapacità ad ospitare compiutamente la divina presenza. Questa idea della relatività del Tempio, rispetto all’essere infinito di Dio, si realizza nella cacciata dei mercanti dal Tempio (Gv 2,13-25)  episodio nel quale Gesù annuncia il suo corpo come autentico luogo di incontro tra Dio e l’uomo, e così questa novità del culto cristiano si prolunga  nella consacrazione della Cattedrale avvenuta il 30 gennaio del 1222 .

Momento centrale della vita del Tempio è il sacrificio in tutte le sue forme che, fin dalle origini, esprime il bisogno di comunione tra gli uomini e Dio, così Melchisedek nell’ offrire pane e vino (Gn 14,18-20)  annuncia profeticamente la realizzazione dell’unico e perfetto sacrificio, quello pasquale di Cristo, che nell’Ultima Cena (Lc 22, 15-20 )  è consegnato come memoriale perenne alla Chiesa sua sposa; tale dono, motivo fondante di ogni luogo di culto cristiano, è simbolicamente rappresentato nella consegna della stauroteca da parte di Federico II alla cattedrale di Cosenza , reliquiario di un frammento della vera croce, in grado di esprimere iconograficamente la morte e la resurrezione del Signore.

Se Cristo è il vero tempio, la Beata Vergine Maria, di conseguenza ne è l’immagine purissima, e la sua perfetta realizzazione.

Infatti il trasporto dell’Arca dell’Alleanza (1Cr,15 )  prezioso scrigno della presenza itinerante di Dio in mezzo al suo popolo si compie, nella pienezza dei tempi, nella Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta (Lc 1, 39-56)  in cui la Madre di Dio, vera arca dell’alleanza, porta all’attesa dell’antico Israele e dell’umanità intera la presenza tangibile di Dio. La disponibilità di Maria ad assumere nel suo grembo la parola eterna di Dio, che in Lei si fa carne, fa si che ella nella sua divina assunzione, porti in dio l’umanità intera, divenendo segno di consolazione e di sicura speranza .

In tal modo Maria manifesta, lungo i secoli, la sollecitudine divina verso le gioie e soprattutto i dolori del suo popolo. Se Naaman il siro (2Re, 5)  ha sperimentato la forza purificatrice dell’obbedienza alla parola del Signore, il lebbroso del vangelo (Mt 8, 1-4)  ha potuto sentire nel tocco della mano di Gesù la potenza sanante e vivificante dell’amore di Dio, che si piega sull’umanità ferita.  Allo stesso modo, nel lontano 1576 la Vergine Maria, venerata nella Cattedrale di Cosenza sotto il titolo di Madonna del Pilerio, si è manifestata ancora una volta segno e strumento della sollecitudine divina,  facendo apparire miracolosamente sulla guancia sinistra del volto dipinto il bubbone della peste: una madre che si fa carico della sofferenza dei suoi figli. 

La conclusione naturale di questo percorso non può che essere lo sguardo alla Gerusalemme del cielo, meta ultima di ogni umana attesa e piena realizzazione della comunione tra Dio e uomini, nella quale non ci sarà la mediazione del tempio perché Dio sarà tutto in tutti in un abbraccio infinito d’amore che è il Paradiso.

Realizzazione dell’opera e sua fruizione

Nel procedere alla tessitura degli arazzi, la cui realizzazione è avvenuta negli stabilimenti catanzaresi dell’ industria calabrese di arte sacra “Desta”, venendo così a collegare idealmente queste nuove opere alla rinomata tradizione di produzione e tessitura della seta catanzarese che tanto aveva prodotto nel settecento, ci si è trovati davanti alla difficolta di tradurre su stoffa mediante la trama e l’ordito quanto realizzato nel bozzetto con il pennello, la matita o la penna. Il timore che la trasposizione su un materiale diverso dalla tela classica potesse depotenziare la forza dei colori e soprattuto delle sfumature è stato superato magistralmente dall’uso sapiente di fili di varia natura, sia per la materialità che per il colore, e la realizzazione di nuovi telai in grado di supportare anche misure di gran lunga superiori ai tradizionali arazzi devozionali fino a quel momento prodotti dalla ditta “Desta”. Ma ciò che preoccupava maggiormente era la capacità degli arazzi di entrare in dialogo non solo con lo stile dell’edificio quanto soprattutto con la spiritualità dei fruitori, credenti e non. Fin dalle prime collocazioni tra gli archi della navata centrale ci si è resi conto di come queste opere andassero a cucire insieme in modo mirabile i vari interventi realizzati negli ultimi due secoli in Cattedrale che in questo modo venivano a trovare una nuova armonia ma maggiormente è stato ed è ancora bello cogliere la reazione dei fedeli. Si passa infatti dalla immediata titubanza e perplessità circa un significato profondo da dare a queste strane figure alla meraviglia compiaciuta quando accompagnati nella lettura ci si trova davanti ad un universo simbolico in grado non solo di comunicare un messaggio o una storia ma di solleticare anche una serie di riverberi interiori che permettono a quella storia di entrare in dialogo fecondo con la propria vita. Si è sperimentato come l’arte contemporanea sia capace di comunicare non concettualmente ma provocando un positivo cammino verso la verità con le sue mille sfumature e soprattutto, citando il grande Romano Guardini, sia in grado di risvegliare quell’uomo simbolico di cui la vitalità e la fecondità della Liturgia hanno estremamente bisogno. Certo non mancano anche delle resistenze un po’ preconcette o dettate da una superficialità di lettura, tuttavia alla fine del percorso emerge nei lettori dell’opera, e volutamente si definiscono così trattandosi di un percorso legato alla Parola annunciata e celebrata, anche lo stupore di trovarsi avvolti in un racconto, quasi fisicamente immersi in esso, sensazione generata soprattutto quando durante l’omelia capita di invitare l’assemblea ad alzare lo sguardo per contemplare in quell’opera quanto si è appena ascoltato. Si può dire che certamente con tutti i limiti di ogni opera umana si è riusciti però a realizzare l’intento iniziale quello cioè di lasciare che la Liturgia, arte per natura, continuasse a plasmare la materia coinvolgendola nella celebrazione del Mistero rivelato in grado di collocare l’uomo, così massicciamente dominato dall’individualismo contemporaneo, nel flusso di una storia comunitaria che ancora lo vede capace di costruire e sognare.