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I misteriosi “Gen-Z”, la generazione post-millennials che prende in contropiede sociologi e ricercatori.
Attenti a quei ragazzini. Fra pochi anni questi bambini saranno adulti e avranno, nei soli Usa, una capacità complessiva di spesa di 3 miliardi di dollari.
Arrivano i ragazzini che hanno imparato a usare un tablet prima ancora di parlare e che sono stati “condivisi” fin dal primo vagito. Una generazione dal nome incerto ma che rappresenta la prima vera comunità di autentici nativi digitali, abituata a essere sempre online e condividere ogni aspetto della vita sui social network. Oggi incarnano un significativo punto di svolta nella società e mettono in crisi ricercatori e sociologi, impegnati a decifrarne orientamenti politici e, soprattutto, economici. Una nuova generazione misteriosa affolla le scuole e i giardini dei parchi estivi. Non è quella dei famigerati “millennials” (un’età compresa fra i 18 e i 35 anni). E’ la generazione successiva, quella dei loro fratelli più piccoli, con un’età fra i 10 e i 18 anni. I ricercatori in tutto il mondo stanno impazzendo nel tentativo di capirci qualcosa. Fra pochi anni questi bambini saranno adulti e avranno, nei soli Usa, una capacità complessiva di spesa di 3 miliardi di dollari. Le fabbriche di tutto il mondo vorrebbero avere la sfera di cristallo e sapere già adesso come e perché prenderanno alcune decisioni di acquisto invece di altre. Anche la politica comincia ad interrogarsi su questa misteriosissima generazione. I più grandi di loro saranno chiamati ad esprimere un giudizio e un voto già a partire dal prossimo anno (e solo uno su quattro dice di fidarsi dei politici). Si tratta di una questione complicata, un vero rompicapo, per sociologi e ricercatori. E’ una generazione che non ha ancora neanche un nome. Alcuni l’hanno definita “IGen”, altri invece “Gen-Z”.
Sono però tutti d’accordo che questa è la vera comunità degli autentici “nativi digitali”.Sono i primi esseri umani ad aver imparato a navigare su un tablet prima di iniziare a parlare. Sono anche i primi bambini della storia dell’umanità ad avere fatto amicizia via online prima che nei giardini sotto casa o a scuola. Sono esseri umani che, fin dal loro primo vagito (o dalla prima recita di fine anno), sono stati “condivisi” sui social. Famosi sui network del web 2.0 prima ancora di avere abbandonato pannolini e culla.“Sono veramente i primi nativi digitali”,dicono al “Center for Generational Kinetics” di Austin, una sofisticata società di consulenza marketing per le più grandi aziende di prodotti di massa del mercato americano e globale. Per voler semplificare, spiegano, “il fatto di essere veri nativi digitali, porta profonde implicazioni per la vita sociale e la salute emotiva. Alcuni studi dimostrano che l’esposizione costante alle schermate di tablet e smartphone cambia i circuiti neurali e lo sviluppo del cervello.
I risultati sono sotto gli occhi degli educatori nelle scuole e dei genitori: questi bambini hanno capacità di attenzione molto limitate nel tempo, scarse abilità sociali e, in compenso, una inedita capacità di multitasking. A differenza di altre generazioni inoltre, a causa della prematura esposizione online sui social, questa generazione misteriosa non si fa alcuno scrupolo di parlare di se stessa”. Ma le cose non sono affatto così semplici da etichettare. “Potrebbe sembrare lo stesso dilemma di sempre, gli adulti che non capiscono i figli, ma non è così”, dicono i ricercatori di Austin, che chiariscono: “c’è un nuovo senso di urgenza quando si tratta di questa generazione di adolescenti post-millenari, perché rappresentano un significativo punto di svolta nell’evoluzione della società. Le ricerche concordano sul fatto che questo perno generazionale in realtà è senza precedenti”. Questa generazione comunica quasi esclusivamente attraverso gli schermi touch degli smartphone e non ama le parole (preferiscono Gif, video e emoji). I “Gen-Z’ers” sono meno idealisti e più parsimoniosi dei “Millennials” perché sono cresciuti all’ombra delle grandi crisi economiche. Non si preoccupano troppo della loro privacy quando sono sui social e, comunque, non amano “Facebook”, un social che ormai è invaso da “vecchi”. Preferiscono Instagram, Snapchat, Tumblr o Twitter. Pensano che tutti dovrebbero avere uno smartphone all’età di 13 anni e che è accettabile usarlo praticamente ovunque, a messa, a scuola e anche nelle cene di famiglia. Le ricerche però sono solo all’inizio. I primi sondaggi si sono limitati a grattare la superficie. Ad Austin hanno così cominciato ad organizzare piccoli focus group con ragazzini delle scuole medie. Sperano di aggiungere una dimensione più personale ai propri dati. “Una volta ho aperto il mio telefono dopo essere stato via per un giorno, e ho trovato 219 messaggi di testo”, dice Kiera, dieci anni. “Ho perso il mio telefono per una settimana, una volta, e ho ricevuto tremila messaggi”, racconta con enfasi drammatica Molly, undici anni. Ma vorrebbero avere un po’ di tempo “liberato” dagli smartphone? Rispondono pronti. “Mi piacerebbe molto leggere un libro. O anche semplicemente lavorare a maglia”, dice Kiera.