Editoriali
Il circuito denuncia-indignazione mortifica, non risolve e deresponsabilizza
Se non è accompagnato da rimedi percepiti immediatamente come efficaci, alimenta un generalizzato senso di frustrazione e di protesta, una protesta a sua volta impotente perché, al di là degli effetti di trasversale delegittimazione, non produce a sua volta risultati. Hanno un bel da chiamarla antipolitica: il nesso è evidente.
L’Autorità nazionale anticorruzione, ci informa il presidente, è subissata di denunce a proposito di concorsi universitari: una corruzione diffusa che favorisce tra l’altro la fuga dei cervelli.
Segue mobilitazione mediatica, ulteriore delegittimazione della categoria, indignazione generalizzata, che tuttavia dura inevitabilmente lo spazio di qualche giorno.
In realtà, in questo come in altri campi, come ha ricordato lo stesso Raffaele Cantone, le norme giuste ci sono. Basta applicarle. Qui tuttavia sta il punto e per questo l’Autorità, unicum italiano non certo invidiabile, sembra diventata una sorta di ultima Thule dell’amministrazione e delle politiche pubbliche. La denuncia della corruzione è fondamentale, come si legge in uno dei grandi testi della letteratura universale, un celeberrimo passo del salmo 53, quando Davide cantava: “sono corrotti, fanno cose abominevoli: non c’è chi agisca bene”. Denuncia vibrante, che però è accompagnata necessariamente dall’indicazione del rimedio, che nel caso specifico è il ritorno a Dio, che poi è il ritorno di Dio. Senza scomodare il modello biblico, il vero punto della spirale denuncia-indignazione, affinché non resti uno schema retorico, è proprio il rimedio. Perché il circuito denuncia-indignazione non accompagnato da rimedi percepiti immediatamente come efficaci, altro non alimenta che un generalizzato senso di frustrazione e di protesta, una protesta a sua volta impotente perché, al di là degli effetti di trasversale delegittimazione, non produce a sua volta risultati. Hanno un bel da chiamarla antipolitica: il nesso è evidente.
Si potessero risolvere tutte le questioni attraverso processi di verticalizzazione e conseguentemente di delega, come pure ci vuol persuadere una ideologia modernizzante in fondo nichilista, che sta erodendo la democrazia, avremmo la ricetta per superare ogni situazione di crisi. Purtroppo la crisi incattivisce e rischia di essere crisi della democrazia. Il pur meritorio lavoro dell’Anac d’altra parte dimostra come non sia ovviamente possibile affidare tutta l’amministrazione e tutti i rapporti cittadini-amministrazione al controllo di una competente Autorità. L’efficacia di azioni “straordinarie”, come fu per l’Expo, di cui si attendono ancora i bilanci, si valuta proprio in relazione all’ordinario. Che è il vero problema italiano. Per questo ci vuole tempo e ci vuole un orientamento coerente, responsabilizzando tutti. L’effetto perverso del circuito denuncia-indignazione, qualora non ci siano soluzioni concretamente operative, è proprio una deresponsabilizzazione collettiva, per cui la “colpa” è sempre dell’”altro”. “Continuiamo così, facciamoci del male”, diceva sul grande schermo di “Bianca”, nel 1984, uno stralunato Nanni Moretti a proposito di Mont Blanc, Sachertorte e cannoli siciliani. Non rassegnarci ad una continua coazione a ripetere tuttavia richiede un investimento in cultura e in etica pubblica, di cui però non si intravvedono ancora i profili.