Il dolore dell’abbandono

La narrazione dello psicoterapeuta in "Dieci giorni. Storia di un amore".

“Comunicarsi il dolore conseguenza dei comportamenti dell’altro. E non solo il dolore vissuto dal partner che ha danneggiato, ma anche quello vissuto dall’offensore”.Uno psicoterapeuta riflette sul dolore di un abbandono. Già solo questo elemento ci dice quale sia la differenza nascosta in “Dieci giorni. Storia di un amore” (Città Nuova, 113 pagine), scritto da Fernando Muraca, regista e sceneggiatore,  con la collaborazione di Rino Ventriglia, analista e neurologo che da molti anni si interessa dell’uomo e delle sue relazioni. E’ una differenza fatta di comunione, nel senso che supervisore, autore, personaggi fanno parte di un insieme  che non potrà mai essere scisso, analizzato come una parte separata, perché è l’umano, nella sua complessità relazionale, a essere in gioco. L’analista esce dal suo studio e depone la distanza terapeutica per entrare in questo gioco reale e narrativo, dove il dolore della separazione è dentro ognuno. Per chi lo attraversa, per chi, pur chiamato alla cura, ne conosce il morso. All’inizio era l’amore. Anna e Carlo si sposano, hanno una bambina.  All’improvviso –così sembra a tutta prima – Anna decide di lasciare l’uomo con cui aveva progettato una vita comune e per sempre. Da qui parte la storia narrata da Muraca, accompagnata puntualmente dalle riflessioni dello psicoterapeuta. Ogni decisione è una frattura con il prima, è un momento di passaggio di una soglia che dà sul non consueto, sul perturbante, come lo avrebbe chiamato Freud, che nasconde malessere, attese frustrate, incapacità di comunicare e di ascoltare. Diciamocela tutta: la stessa Anna non riesce a comunicare a chi legge le ragioni del suo addio. Sì, è vero, siamo in un contesto in cui nulla è davvero chiaro e preciso, e le scelte sono dettate da accumulazioni psichiche. Ma trattandosi di una narrazione, forse il lettore sarebbe stato aiutato a capire meglio i meccanismi sottesi ad una scelta così radicale. Rimane il fatto che Carlo non riesce a comprendere i motivi di Anna, ed è proprio questa incapacità di penetrare nell’animo della moglie una delle ragioni dell’abbandono. È un uomo sicuro di sé. E questo sembra bastargli. Ma convivere non è un programma razionale del genere “si fa questo o si fa quest’altro”, non è solo capacità decisionale, incontro tra una personalità strutturata e una dipendente. E’ molto altro. E questo altro è uno degli elementi fondanti del libro. Il terapeuta li segue. Partecipa al loro muto interrogarsi e riflette, senza dare ricette valide per tutte le stagioni. Perché lo sa che anche l’apparente colpevole attraversa il dolore del rimorso e della solitudine. Ma alla base di tutto c’è anche  una nostra falsa idea dell’amore che ci ha abituato a immaginarlo sotto il segno del romanticismo, del sogno,  del due cuori una capanna: “Tutti, donne e uomini, cresciamo nel falso mito dell’amore romantico destinato a durare per sempre, e non sempre comprendiamo che, perché sia così, non basta la fortuna, ma forse più ancora serve il coraggio”.  Senza fatica, senza umiltà, senza mettere da parte alcune nostre salde convinzioni, quella capanna rischia di crollare trascinando nella rovina i due cuori. Il libro lascia aperte le porte, come accade nella vita stessa. Ci potrà essere una riconciliazione, che costerà sudore e lacrime, perché l’elaborazione dell’aggressività non è un giochetto da niente, ma potrebbe accadere che le forze centrifughe dell’amor proprio e del rancore prendano il sopravvento. Rimane il senso di una singolare esperienza di vita che insegna molto a tutti noi, perché ci sono, e come, i momenti no, di gelo e nebbia, come scrive lo stesso Muraca, che fanno la differenza, ed è allora che coloro che si amano debbono “cercare  di tenersi la mano”. Ma non si deve per questo rinunciare all’ideale, al sogno,  a patto però che si combatta nel qui e nell’ora quando essi si calano nella realtà e talvolta questo scendere viene confuso con la banalità, ment re invece, e fa bene l’autore a citare Borges, ‘questo è il tempo dell’eterno. Un tempo in cui lo stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo’”.