Il giovane Balzano racconta il Sud Tirolo nel ventennio fascista

Presentato a Cosenza il libro di "Resto qui"

 

Verso i confini nordorientali con l’Austria, in un estremo della provincia di Bolzano, c’è un paese sommerso. Ma non del tutto. C’è un campanile che sovrasta le acque del lago. Questa è la storia, non proprio conosciuta, di questo pezzo del Sud Tirolo coinvolto in una delle vicende più intricate, complesse e incresciose d’Italia, ovvero il ventennio mussoliniano e il secondo conflitto bellico globale. Il paese si chiamava e si chiama tutt’ora Curon. Marco Balzano, giovane scrittore e professore di liceo, con “Resto qui” (Einaudi), secondo finalista al premio Strega, ha tolto il velo su questa parte di storia italo austriaca. Nel corso di una serata presso la Mondadori di Cosenza, Balzano ha raccontato che prima della marcia su Roma, i fascisti occuparono Bolzano. Qui la comunità, molto istruita, tedesca viene sottoposta al dominio delle camice nere. “Agli abitanti – spiega lo scrittore – viene imposto una regola ferrea: chi conosce l’italiano, si tiene la casa. Chi si tiene il tedesco, perde la casa”.

Ma come si arrivo all’immagine sopra illustrata, del campanile fuori dal lago? La vecchia Curon, paese dove è ambientata la storia del romanzo, era collocata in una vallata. La Montecatini, un tempo società chimica italiana, voleva costruire, come poi ha fatto, una diga che avrebbe comportato, come poi è realmente accaduto, la sommersione del villaggio. Questo libro, tramite le vite, di persone che restano a difesa del piccolo borgo, di Trina (la protagonista), Erich, Michael, padre Alfredo, Mà e Pà (genitori di Trina), è un libro di resistenza politica al nazifascismo. Un libro, che è, anche, un monito a scontrarsi “contro – come dice lo stesso Balzano – quelle zone grigie, che in una democrazia, si vengono a creare nel momento in cui i diritti sono sentiti come un qualcosa di acquisito definitivamente, senza la preoccupazione che essi possano esserci tolti e l’appiattimento dall’azione ne è una conseguenza”. Ma torniamo alla vicenda. L’idea di fare la diga, la Montecatini ce l’aveva da tanto tempo, dall’occupazione della cittadina sudtirolese. Nel mentre si avvicendano le dittature in Italia e Germania, le guerre, prima in Spagna e poi in tutto il mondo, e i lavori subiscono una serie di rinvii. Tant’è che nel dopo guerra, a Curon ci sono poche persone (alcuni torneranno a casa dalla guerra addirittura nel 1951), stanche, vecchie, che non credono più alla costruzione della struttura. La Montecatini riprende i lavori. Una volta ultimati, divulga in italiano l’avviso di sgombero del paese e “aperti i rubinetti gli abitanti di Curon scoprono della costruzione della diga quando si ritrovano l’acqua in casa”. Balzano ha sentito i protagonisti, ancora in vita di quell’accaduto, scoprendo la storia “mentre ero in vacanza con mia figlia. Ho un ricorso tragico – afferma – del campanile, perché vedevo una moltitudine di turisti che facevano la fila in canoa per farsi il selfie. Ho voluto riportare ciò che era sotto, sopra”.

Infine, intorno all’argomento centrale della diga ruotano le storie di “resistenza femminile fatta in modo silenzioso, dove Trina, per mantenere la inalterata l’identità della sua lingua e della sua cultura, organizza scuole clandestine subendo, per molto tempo, le percosse repressive della polizia fascista”.