Il pallio per vivere la comunione con il papa

Questa mattina papa Francesco ha consegnato al nostro Arcivescovo Giovanni il pallio di Metropolita. Una delegazione di sacerdoti, religiosi e laici e 10 giovani che andranno con monsignor Checchinato a Lisbona per la Gmg© Foto di Debora Ruffolo

La Basilica splendeva per il suo aspetto solenne. Preparata di tutto punto per la festa più importante che riguarda anche lo stesso pontefice. Trentadue i metropolita e fra loro due italiani: il nostro Arcivescovo Giovanni e quello di Perugia Maffeis. Alla celebrazione, presieduta dal santo Padre presenti i capi dicastero e molti vescovi. Ad accompagnare il presule bruzio una rappresentanza di sacerdoti, religiosi, laici, guidati dal Vicario generale, per far da corona a questo momento che riguarda la nostra Chiesa diocesana.

L’Arcivescovo Giovanni ha ringraziato il santo Padre Francesco “per questo simbolo che richiama la forte comunione della Chiesa di Cosenza con il santo Padre e che evidenzia la cattolicità del nostro cammino fatto insieme, in uno stile di sinodalità e di ricerca costante del bene”.

Il santo padre ha benedetto i pallii che erano sta collocati la sera prima sotto l’altare della Confessione, in corrispondenza con la tomba dell’apostolo Pietro e poi ha ricevuto la professione di fedeltà dei metropoliti.

Poi l’omelia e il commento alle letture, con la raccomandazione di essere testimoni e discepoli nelle loro chiese. “Ha lasciato tutto, Pietro, per mettersi alla sequela del Signore. E il Vangelo sottolinea ‘subito’: Pietro non disse a Gesù che ci avrebbe pensato, non fece calcoli per vedere se gli convenisse, non accampò alibi per rimandare la decisione, ma lasciò le reti e lo seguì, senza chiedere in anticipo nessuna sicurezza. Avrebbe scoperto tutto di giorno in giorno, nella sequela, seguendo Gesù e camminando dietro a Lui”. Lo ha detto il Papa nell’omelia della Solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo nella Basilica Vaticana dopo la benedizione dei Palli. “È mettendoci alla sequela del Signore che impariamo ogni giorno a conoscerlo; è diventando suoi discepoli e accogliendo la sua Parola che diventiamo suoi amici e facciamo l’esperienza del suo amore che ci trasforma”, ha proseguito Francesco: “Se possiamo rimandare tante cose nella vita, la sequela di Gesù non può essere rimandata; lì non si può esitare, non possiamo accampare scuse. E attenzione, perché alcune scuse sono travestite di spiritualità, come quando diciamo ‘non sono degno’, ‘non sono capace’, ‘cosa posso fare io?’. Questa è un’astuzia del diavolo, che ci ruba la fiducia nella grazia di Dio, facendoci credere che tutto dipenda dalle nostre capacità”. Quindi il Santo Padre ha invitato a “distaccarci dalle nostre sicurezze terrene, subito, e seguire Gesù ogni giorno: ecco la consegna che Pietro ci fa oggi, invitandoci a essere Chiesa-in-sequela. Chiesa che desidera essere discepola del Signore e umile ancella del Vangelo. Solo così sarà capace di dialogare con tutti e diventare luogo di accompagnamento, di vicinanza e di speranza per le donne e gli uomini del nostro tempo”.

“Se la risposta di Pietro consisteva nella sequela, quella di Paolo è l’annuncio, l’annuncio del Vangelo”. Nell’omelia della Solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, Papa Francesco ha ricordato che Paolo “dedica la vita a percorrere terra e mare, città e villaggi, non curandosi di soffrire stenti e persecuzioni pur di annunciare Gesù Cristo”. L’apostolo non vive “una religiosità intimista, che ci lascia tranquilli senza scalfirci con l’inquietudine di portare il Vangelo agli altri” ma “ci insegna che cresciamo nella fede e nella conoscenza del mistero di Cristo quanto più siamo suoi annunciatori e testimoni”. “Questo succede sempre – ha ribadito il Santo Padre -: quando evangelizziamo, restiamo evangelizzati. La Parola che portiamo agli altri torna a noi, perché nella misura in cui doniamo riceviamo molto di più. Questo è necessario anche alla Chiesa oggi: mettere l’annuncio al centro”. “È bello crescere come Chiesa della sequela – ha proseguito Francesco -, come Chiesa umile che non dà mai per scontata la ricerca del Signore. È bello se diventiamo una Chiesa al tempo stesso estroversa, che non trova la sua gioia nelle cose del mondo, ma nell’annuncio del Vangelo al mondo, per seminare nei cuori delle persone la domanda su Dio. Portare ovunque, con umiltà e gioia, il Signore Gesù: nella nostra città di Roma, nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nei quartieri, nella società civile, nella Chiesa, nella politica, nel mondo intero, specialmente là dove si annidano povertà, degrado, emarginazione”.

Molto bello anche l’Angelus nel quale ha parlato principalmente di Pietro che ha indicato come roccia, pietra e sasso, per tracciare la sua figura umana fatta di fedeltà e fragilità. L’Arcivescovo con la delegazione cosentina si è fermata in piazza per accogliere le parole del papa. Presenti anche dieci giovani di Mendicino che comporranno il gruppo diocesano per Lisbona 2023 e saranno accompagnati dal Vescovo Giovanni.

Il mondo oggi non ha bisogno di superuomini, ma di “persone vere”, come lo sono state gli apostoli Pietro e Paolo, di cui il 29 giugno si celebra la solennità e di cui il Papa, all’Angelus, sottolinea l’”umanità vera”. Francesco parla di Pietro, colui sul quale Gesù ha edificato la sua Chiesa, il cui nome “può voler dire roccia, pietra o semplicemente sasso”. Tre aspetti che l’Apostolo, con la sua vita, ha rappresentato: “la forza della roccia, l’affidabilità della pietra e la piccolezza di un semplice sasso”.

Ma proprio così in Lui – come in Paolo e in tutti i santi – appare che è Dio a renderci forti con la sua grazia, a unirci con la sua carità e a perdonarci con la sua misericordia. Ed è con questa umanità vera che lo Spirito forma la Chiesa. Pietro e Paolo sono state persone vere, e noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di persone vere.

C’è in noi l’ardore, lo zelo, la passione per il Signore e per il Vangelo, o è qualcosa che si sgretola facilmente? E poi, siamo pietre, non d’inciampo ma di costruzione per la Chiesa? Lavoriamo per l’unità, ci interessiamo degli altri, specialmente dei più deboli? Infine, pensando al sasso: siamo consapevoli della nostra piccolezza? E soprattutto: nelle debolezze ci affidiamo al Signore, che compie grandi cose con chi è umile e sincero?

Pietro con la sua vita è stato roccia, in molti momenti “forte e saldo, genuino e generoso”, arrivando fino al martirio per seguire Gesù. È stato anche pietra, che offre “appoggio agli altri”, che “fa da sostegno ai fratelli per la costruzione della Chiesa”, che è “punto di riferimento affidabile per tutta la comunità”. Ed è stato sasso, quando “emerge spesso la sua piccolezza”, uomo che si fa “prendere dalla paura”, che rinnega Cristo, che “poi si pente e piange amaramente”, che “non trova il coraggio di stare sotto la croce”, ma che infine, nel tentativo di “fuggire di fronte al martirio”, incontrando Gesù “ritrova il coraggio di tornare indietro”. La speranza di Francesco, in conclusione, è che la forza, la generosità e l’umiltà dei Santi Pietro e Paolo possano essere, con l’intercessione di Maria, imitate dall’umanità.