Cultura
Il “QI” del Presidente Usa
Il ritornello di ogni tornata elettorale per decidere l’inquilino della Casa Bianca.
Ma quanto deve essere intelligente il presidente degli Stati Uniti? Forse, per noi europei, la domanda potrebbe risultare alquanto bizzarra. Oltreoceano, invece, essa costituisce il “refrain” di ogni tornata elettorale per decidere chi sarà l’inquilino della “White House”. Per le prossime elezioni del 2016, il dibattito sul quoziente intellettivo (Qi) “presidenziale” è già iniziato. Hillary Clinton, favorita per la candidatura democratica, è “abbastanza intelligente da gestire l’incarico” e “potrebbe avere un Qi più elevato di quello di Bill”, mentre tra i pretendenti repubblicani Jeb Bush “è il fratello intelligente” e Ted Cruz svetta come “il candidato più intelligente di tutti”. Insomma, l’argomento è così di moda tra il popolo statunitense che circolano diverse tesi su quali dovrebbero essere le capacità cognitive e il quoziente intellettivo ideali per un candidato alla poltrona presidenziale. Secondo una teoria, quanto più il candidato è intelligente, tanto più sarà un valido presidente. La pensa così, ad esempio, Gary Hart, senatore degli Stati Uniti ed ex candidato alla presidenza. Egli sostiene che una gran parte del successo di un presidente è legato alla sua capacità di scegliere persone intelligenti per le posizioni cruciali di “governance”. “Occorre una mente brillante – afferma Hurt – perfezionata dallo studio, dai viaggi, dall’esperienza, e dall’esposizione a idee diverse e tra loro opposte per riuscire a sviluppare una corretta capacità di giudizio e per sapere a chi affidarsi per i problemi più complessi”.v Un’altra teoria, invece, suggerisce che per essere presidenti basti essere “abbastanza” intelligenti. A fondamento di questa posizione il presupposto che il Qi sia una variabile “a soglia”, superata la quale esso perde il suo valore predittivo. Ne è convinto Malcolm Gladwell, giornalista e sociologo canadese, che in un suo libro (“Fuoriclasse”, 2010) scrive: “La correlazione tra successo e Qi è valida solo fino a un certo punto . Una volta raggiunto un Qi oltre 120 (ndr: il Qi medio per la popolazione generale è 100), valori superiori non sembrano tradursi in alcun vantaggio reale misurabile”. Anzi, un presidente “troppo intelligente” potrebbe non essere capace di comunicare ad un livello comprensibile ai colleghi ed elettori meno intelligenti. In questa impostazione, in definitiva, si enfatizza più la capacità di relazione interpersonale che l’intelligenza dei candidati. Per il cittadino americano medio, in fondo, il presidente ideale è qualcuno con cui vorresti bere una birra o andare a giocare a bowling. Ma la scienza cosa dice in proposito? Non potendo, per ovvie ragioni, testare direttamente il Qi dei 43 presidenti degli Stati Uniti, i ricercatori hanno tentato altre vie. È il caso di Davis Dean Keith Simonton, psicologo dell’Università della California, che in uno studio del 2006, ha utilizzato un approccio di ricerca “istoriometrico” per stimare la correlazione tra Qi e successo presidenziale. Convenzionalmente, la misurazione del Qi si effettua sottoponendo il soggetto a un test standardizzato (es. la Wechsler Adult Intelligence Scale). Nell’approccio istoriometrico, invece, il Qi di una persona è stimato sulla base di altre variabili correlate ad esso, come il più alto livello di scolarità, i titoli accademici, i punteggi negli esami di ammissione, l’occupazione lavorativa e le attitudini. Nel suo studio, Simonton ha scoperto che le stime del Qi dei primi 42 presidenti (da Washington a G. W. Bush) variavano tra 118 – valore medio di un diplomato al college – e 165 – molto oltre il valore soglia di un genio. I tre più elevati, in ordine decrescente, sono John Quincy Adams, Thomas Jefferson e John F. Kennedy. Va da sé che il lavoro del presidente degli Stati Uniti richiede un’ampia gamma di conoscenze, competenze e capacità. Perciò il Qi non può essere l’unico predittore del successo in questo ruolo. Sono in gioco molti altri fattori, tra cui l’esperienza, la personal ità, la motivazione, le capacità relazionali e, soprattutto, la “fortuna”. Tuttavia, ciò che la scienza conferma è che un alto livello di capacità intellettiva si traduce in un vantaggio misurabile per chi occupa lo Studio Ovale. “La Costituzione – rileva simpaticamente Gary Hart – non prevede alcun test del Qi, e probabilmente non lo prevedrà mai. Nonostante ciò, vorremmo che per la carica di presidente corressero persone intelligenti, per poter augurare al vincitore tutta la fortuna del mondo”. Verrebbe da chiedersi cosa accadrebbe in Italia, applicando questi criteri!