Cultura
Il ricordo di Bergoglio, amante dell’arte, della poesia e della letteratura

Il defunto pontefice credeva nell’idea di un’arte semplice e accessibile a chiunque, capace di far conoscere al mondo le bellezze di Dio
“Anche i poveri hanno bisogno di arte e ora che Bergoglio non c’è più siamo tutti più poveri” ha scritto nelle scorse ore Arabella Cifani, storica dell’arte, su “Il Giornale dell’Arte”. Francesco è stato un Papa molto semplice e alla mano, un uomo che non vedeva la bellezza nello sfarzo delle grandi cattedrali addobbate a festa, né nelle sontuose cerimonie organizzate in occasione di qualche evento dalla forte carica mediale, come la riapertura di Notre-Dame a Parigi. Bergoglio proveniva da un’Argentina povera, da una terra di immigrati, da un territorio dove la povertà e la miseria erano, e continuano ad essere, il nodo cruciale di un’esistenza vissuta ai margini del mondo. Le sue umili origini, radicate in terra piemontese, hanno forgiato il carattere di questo grande pontefice, che vedeva la bellezza sublime di Dio con gli occhi di una fede profonda vissuta nella quotidianità di tutti i giorni, senza pretendere cose eccezionali e senza lodare stucchevoli magnificenze barocche. Lo stile di Chiesa che aveva in mente era la Chiesa senza troppi ornamenti, una Chiesa semplice com’era lui, una Chiesa simile alle baraccopoli della sua tanto amata Argentina. Tutto questo, però, non deve indurre a credere che all’ormai defunto pontefice non interessasse l’arte, avendo una cultura gesuita che ha lasciato grandi capolavori. Nel 1986, infatti, Francesco si recò a Francoforte per degli studi e qui si imbatté nell’immagine raffigurante “Maria che scioglie i nodi”, realizzata nel 1700 dal pittore tedesco Johann Georg Melchior Schmidtner, ora conservata ad Augusta.

La Vergine è posta al centro, con al lato destro un angelo che le porge un filo pieno di nodi intrecciati e, al lato sinistro, un altro angelo che raccoglie il filo libero dai nodi che la mamma celeste ha sciolto. Un quadro profondamente devozionale che ha avuto una larga fortuna in tutta l’Europa, perfino a Napoli dove esiste il rituale dell’Incendio dei Nodi. Come non citare la famosa Vergine “Salus populi romani”, la più importante icona bizantina mariana attribuita per tradizione a San Luca, che presenta Maria con addosso un manto azzurro scuro d’oro sopra ad una veste violacea, con Gesù in braccio che regge un libro nella mano sinistra (forse l’evangeliario) e, con la destra, benedice. L’icona è particolarmente cara alla pietà popolare e ad essa Papa Francesco è sempre stato molto legato, pregando dinnanzi a questa figura materna innumerevoli volte. Proprio sotto l’ombra di questa meravigliosa effige, conservata presso la Basilica romana di Santa Maria Maggiore, riposerà il compianto pontefice sudamericano. Nel libro La mia idea di arte (2015) Francesco parla, per la prima volta, di arte esponendo il suo personale pensiero in merito alle opere, ai musei e al rapporto di questi con il pubblico. Scrive infatti che “l’arte, oltre a essere un testimone credibile della bellezza del creato, è anche uno strumento di evangelizzazione. Guardiamo la Cappella Sistina: cosa ha fatto Michelangelo? Un lavoro di evangelizzazione”. In più sosteneva che i musei dovevano essere dei luoghi aperti democraticamente a tutti, strumenti di dialogo e di relazioni tra culture diverse, e non semplice appannaggio di pochi eletti né siti in cui vengono riposti vecchi cimeli del passato. Anche in questo modo – a suo avviso – poteva essere combattuta la “cultura dello scarto”. Molto conosciuto il bellissimo legame che Francesco ebbe con Alejandro Marmo, artista argentino originario di Caseros, nelle provincia autonoma di Buenos Aires, conosciuto con l’appellativo “lo scultore degli scarti”. In un mondo emarginato e ai limiti della globalizzazione, Marmo ha lavorato il marmo usando materiali di scarto raccolti nelle periferie, in quei luoghi contraddistinti da degrado ed estrema povertà. Proprio con Bergoglio, quand’era ancora arcivescovo di Buenos Aires, Marmo condivise il concetto di “cultura dello scarto”, che pretende di buttare via tutto, dai materiali agli anziani, dai malati ai diseredati, in generale una tendenza a dimenticare le persone poste al grado più basso della scala sociale, meno in vista e più soggette ai mali del mondo. L’incontro tra il Papa e l’artista riportò alla ribalta le periferie, luoghi apparentemente dimenticati da Dio ma dove Dio vive realmente. Le creazioni di Alejandro hanno ricevuto il giusto riconoscimento e, molte di esse, oggi si trovano nei Giardini Vaticani. Celebri sono le sue opere in cui ritrae persone che si abbracciano, anziani delle periferie che stringono bambini orfani simboleggiando la Speranza e il conforto per una vita migliore. “Mi piace l’idea di un’evangelizzazione fatta con gli operai e i poveri, quei poveri che Alejandro fa lavorare sul ferro scartato per lasciare la testimonianza di Cristo crocifisso nelle strade e rendere visibili gli invisibili”, le parole di Papa Francesco. Quest’ultimo era consapevole della grande forza pervasiva e visionaria dell’arte, capace di propagare il messaggio evangelico facendolo giungere a tutti, e comunicando la bellezza del volto di Dio. “L’arte ha in sé una dimensione salvifica e deve aprirsi a tutto e a tutti, e a ciascuno offrire consolazione e speranza. Per questo motivo la Chiesa deve promuovere l’uso dell’arte nella sua opera di evangelizzazione, guardando al passato ma anche alle tante forme espressive attuali. Non dobbiamo avere paura di trovare e utilizzare nuovi simboli, nuove forme d’arte, nuovi linguaggi, anche quelli che sembrano poco interessanti a chi evangelizza o ai curatori ma che sono invece importanti per le persone, perché sanno parlare alle persone” scrisse il Sommo Pontefice. Lanciò anche la provocazione “di chi è l’arte e per chi è”?. Superando le chiusure della logica dello scarto e dell’autoreferenzialità, che non giovano certamente alla cultura, il successore di Pietro ha sempre sottolineato che l’arte è di tutti e per tutti, perché la bellezza di Dio non privilegia pochi a discapito di molti. Esemplare il gesto compiuto da Beroglio un po’ di tempo fa, quando spalancò le porte dei Musei Vaticani e della Cappella Sistina, permettendo ai senzatetto di accedervi e di gustare delle meraviglie in essi contenute. Un segno fortemente rivoluzionario con cui diede visibilità ai poveri, cuore del messaggio di Dio. Francesco era convinto che la creatività dell’artista consistesse nel “partecipare della passione generativa di Dio”, e che gli artisti erano un po’ profeti in grado di “guardare le cose sia in profondità sia in lontananza, come sentinelle che stringono gli occhi per scrutare l’orizzonte e scandagliare la realtà al di là delle apparenze”. In occasione dell’Udienza agli artisti del 23 giugno 2023 Francesco espresse i suoi più alti pensieri sull’arte, ricordando agli artisti che essi erano “sentinelle del vero senso religioso” e che arte e fede cambiano e convertono le cose. Non bisogna dimenticare l’amore di Bergoglio per altre forme di espressività come la musica e la letteratura. Amava Mozart, Wagner, l’opera e il tango, era appassionato di Dostoevskij e di Borges, era legato alla poesia così come al cinema d’autore. Questo Papa moderno, aperto al dialogo, rivoluzionario, vicino alla gente, che si è spento nelle scorse ore lasciando un vuoto incolmabile, ha sempre ricordato l’importanza dell’arte come linguaggio universale capace di far conoscere le bellezze del creato, di unire i popoli e di contribuire a far tacere le guerre.