Il ritorno della fantascienza

Con “The Martian” Ridley Scott torna al genere che gli è più congeniale.

Il regista britannico Ridley Scott torna al genere che gli è più congeniale: la fantascienza. “The Martian – Il sopravvissuto”, infatti, è un altro capitolo della riflessione che Scott sta portando avanti sull’umanità attraverso le sue pellicole fantascientifiche. Con “Alien”, nel 1979, aveva raccontato la paura dell’Altro negli spazi immensi del cosmo, con “Blade Runner” aveva disegnato un futuro distopico per l’uomo in una terra morente, con “Prometeus” era tornato a riflettere sulle origini della vita sulla Terra e sul senso dell’esistenza. Tutte e tre le pellicole avevano un elemento in comune: una visione pessimistica, o per lo meno cupa, della condizione degli individui nel futuro e in rapporto all’universo immenso. Con “The Martian”, Scott cambia completamente prospettiva e ci consegna una pellicola che è un inno all’ottimismo e alla fiducia nell’uomo e nella sua razionalità. L’equipaggio della missione Ares 3 sul suolo di Marte si trova nel mezzo di una tempesta che non lascia scampo. Il botanico Watney viene colpito da un detrito: credendolo morto, il comandante Lewis ordina alla squadra di abortire la missione e tornare sulla Terra. Ma Watney è vivo e, mentre cercherà di prolungare il più possibile la sua sopravvivenza sul Pianeta Rosso, la Nasa ricorrerà a ogni stratagemma per provare a riportarlo a casa. Scott, alle prese con una sceneggiatura non sua (e forse si deve a questo il cambio di tono della pellicola), racconta una storia che, più che di fantascienza (fantascientifica è solo l’ambientazione, di fatto) si richiama a grandi miti classici, come l’Odissea, per esempio. Il protagonista, infatti, è un post-moderno Ulisse che cerca di tornare a casa dai suoi familiari e deve affrontare mille avventure. E, ancora, il protagonista, come un po’ gli altri astronauti suoi colleghi, incarnano bene quello che da sempre è il desiderio dell’uomo di esplorare il mondo, il cosmo, alla ricerca del senso delle cose. Ma il protagonista, forse, è , ancor meglio, un contemporaneo Robinson Crusoe, che tiene un diario in immagini (ogni giorno registra con una videocamera il resoconto delle sue giornate) e che si ingegna per sopravvivere. E che grazie alla sua intelligenza, alla razionalità propria dell’uomo, riesce a farlo. Un inno quasi illuminista alla ragione, facoltà che distingue il genere umano, lo rende libero e capace di vivere ovunque. Siamo ben lontani, perciò, dal pessimismo razionalista di “Alien” o “Blade Runner” in cui gli individui, pur avendo realizzato tecnologie fantastiche con la loro ragione scientifica (su tutti, i replicanti, robot assolutamente uguali agli esseri umani), ne sono diventati schiavi, ne sono stati soggiogati, hanno creato, in realtà, un mondo disumanizzato, post-umano, inabitabile. Scott racconta il trionfo (molto americano) dell’uomo che, da solo, riesce a vincere contro ogni avversità e, in questo, il personaggio interpretato da Matt Damon assomiglia agli eroi classici del western del passato, che si muovevano negli spazi immensi della Monument Valley, civilizzando terre inospitali. Damon è il nuovo eroe postmoderno che “civilizza” addirittura Marte, con la sua forza di volontà, la sua intelligenza, la sua pazienza, il suo senso della vita e della morte. “The Martian” è un’opera che sembra un po’ fuori contesto rispetto al cinema americano contemporaneo, dominato per lo più da anti-eroi e da un’etica nichilista. Un’opera che finalmente fa respirare un’aria di speranza e ottimismo.