Il terremoto e la fede viva

Dalla statuetta della Madonna intatta al Crocifisso pendente fino alle cappelle nelle tendopoli. Tanti i segni del sacro tra i terremotati. Quando la fede ha ancora uno spazio pubblico.

Ci sono momenti in cui il desiderio del sacro emerge in maniera naturale, attimi in cui le mani giunte uniscono come niente altro. Il terremoto lacera il cuore, impasta empatia, ispira solidarietà. Apre gli spazi di una fede che troppe volte qualcuno pretende di confinare nelle sfere intime e che invece – come è per il cristianesimo – ha forza proprio perché comunicata, dialogata, vissuta. Tra le macerie, una statuetta della Madonna rimasta quasi a vigilare, intatta, su quelle rovine. Un piccolo ostensorio, di fianco allo stipite della porta spezzato, con quella particola bianca che è il segno reale, vivo e vero, dello spezzarsi di un uomo per ogni uomo. Nelle tendopoli, una piccola cappella, una lampada accesa nel tempo del buio, della notte della paura. La luce del cammino che da’ qualità a un tempo che sembra essersi fermato al dolore e che pure lì, trasfigurato tra le cose sfigurate, parla di eternità. Non c’è vergogna, per la giovane moglie, a raccontare ai giornalisti di aver preso in mano il rosario, ancora con le lacrime agli occhi, ancora scossa da quella botta tremenda. Ci sono spazi delle fragilità dell’uomo dove parlare di fede, di preghiera, di Dio trova ancora diritto di residenza. Dove veramente nessuno si offende, se attaccato a una croce, in una delle tante case diroccate dalla magnitudo, pende il Crocifisso che magari sta lì solo con un piede. E quel segno – evidentemente pubblico – ritrova la sua liceità, il posto che tante volte, in tanti dibattiti, gli vuole essere tolto artificialmente. Nel cuore dell’uomo batte forte, naturale, il desiderio della preghiera, quel senso di Dio che accompagna tutta l’esistenza e di essa ogni momento, bello o brutto. Che non siano solo le tragedie a manifestarcelo.