In Italia la battaglia sull’Aids non è stata ancora vinta

Bisogna tenere la guardia sempre alta. Ecco i numeri dell'epidemia. Occorre una sinergia a livello comunitario istituzionale.

Aids, una minaccia ancora reale e temibile per la salute pubblica. Pur di fronte a numeri globali in diminuzione, di sicuro non è ancora giunto il momento di abbassare la guardia nei confronti di questa grave sindrome patologica. Anzi, il campanello d’allarme per una ripresa della sua diffusione ha già ricominciato a suonare. Tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), tra i suoi attuali obiettivi di rilievo, annovera proprio l’eliminazione a livello mondiale, entro il 2030, dell’epidemia di Aids. Negli ultimi anni, infatti, il numero delle infezioni, soprattutto in alcune regioni del pianeta, ha ricominciato a crescere costantemente. Al tempo stesso, la percezione del rischio da parte della popolazione (soprattutto occidentale) tende pericolosamente a diminuire. Questo il quadro d’insieme che emerge dai dati ufficiali (riferiti al 2014), diffusi in occasione della Giornata mondiale di lotta contro l’Aids, celebrata anche quest’anno (per la prima volta nel 1988) all’inizio del mese di dicembre.

I numeri nel mondo. Dal 1981 (anno di individuazione dell’Aids) ad oggi, si calcola che, a livello mondiale, circa 78 milioni di persone abbiano contratto l’infezione da Hiv; mentre le morti conseguenti al diffondersi di quest’epidemia sono state oltre 39 milioni. Numeri che confermano questa patologia come una tra le maggiori problematiche concernenti la salute pubblica mondiale. I dati Oms rivelano che nel 2014, nel mondo, ben 36,9 milioni di persone risultavano affette dal virus Hiv; di queste, circa 2 milioni erano nuove infezioni. L’area più colpita rimane purtroppo l’Africa Sub-Sahariana, dove quasi 1 adulto su 20 vive con un’infezione da Hiv (si tratta del 71% dei contagiati in tutto il mondo).  Numeri in continua crescita, dunque, anche a causa del fatto che, globalmente, aumentano coloro che hanno accesso alle terapie anti-retrovirali, potendo vivere quindi più a lungo e in modo più sano. Tuttavia, l’attuale livello di copertura terapeutica risulta ancora insufficiente a debellare il diffondersi dell’epidemia Aids nel mondo. Nel giugno 2015, infatti, a livello mondiale solo 15,8 milioni di persone risultavano aver accesso ad un trattamento contro l’Hiv. Ma altri 21 milioni di soggetti che ne necessitano non hanno ancora la possibilità di usufruirne. Se non si interverrà presto e con decisione per colmare questo gap, le previsioni dell’Oms indicano un deciso aumento di casi d’infezione nei prossimi 15 anni.  In ogni caso, la percentuale globale di nuovi casi d’infezione, dal 2000 al 2015, è diminuita del 35%; ma va anche rilevato che, secondo stime recenti, il 46% (circa 17,1 milioni) delle persone affette da Hiv non sa nemmeno di esserlo. Permane invece un inaccettabilmente alto numero di morti – solo nel 2014, 1,2 milioni di persone – che, ogni anno, si verificano in correlazione con i nuovi casi d’infezione da Hiv e di Aids, nonostante la loro percentuale globale, dal 2000 al 2015, sia diminuita del 24% (7,8 milioni in più di vite salvate).

I dati in Italia. Ma qual è la situazione nel nostro Paese? Secondo i dati recentemente diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), nel 2014 sono state 3.695 le persone che hanno scoperto di essere Hiv positive, con un’incidenza pari a 6,1 nuovi casi per 100mila residenti. Il dato, che conferma la tendenza registrata nei tre anni precedenti, dimostra che il numero delle nuove diagnosi di infezione da Hiv è stabile, collocando il nostro Paese al 12°posto tra quelli dell’Unione europea. Le regioni che hanno l’incidenza più alta sono il Lazio, la Lombardia e l’Emilia-Romagna. La quasi totalità delle persone con infezione da Hiv (92,6%), seguita presso i centri clinici di malattie infettive, è in terapia antiretrovirale, e di questi l’85,4% ha raggiunto la soppressione virale. Le percentuali, inoltre, indicano che il virus colpisce prevalentemente gli uomini (79,6% dei casi del 2014), mentre continua a diminuire l’incidenza delle nuove diagnosi nelle donne. L’età media per i primi è di 39 anni, per le donne di 36 anni. Quanto alla fascia di età, maggiormente colpita risulta quella dei 25-29 anni (15,6 nuovi casi ogni 100mila residenti). Circa le cause, poi, la principale è attribuibile a rapporti sessuali senza preservativo, che costituiscono l’84,1% di tutte le segnalazioni (maschi che fanno sesso con maschi: 40,9%; eterosessuali maschi: 26,3%; eterosessuali femmine 16,9%). Dall’inizio dell’epidemia (nel 1982) ad oggi, sono stati segnalati inoltre 67mila casi di Aids, di cui circa 43mila hanno condotto alla morte. Negli ultimi tre anni, tuttavia, il numero dei casi di Aids risulta stabile (1,4 nuovi casi per 100mila residenti), mentre diminuiscono i decessi dovuti a questa sindrome. Colpisce poi il dato che, tra il 2006 e il 2014, si sia registrato un forte aumento (dal 20,5% al 71,5%!) della percentuale di persone che arrivano allo stadio di Aids conclamato, ignorando del tutto la propria sieropositività.

La strada da percorrere. Alla luce dei numeri, dunque, tanto in Italia quanto nel mondo, la strada da percorrere per raggiungere l’obiettivo di azzerare le infezioni da Hiv e sconfiggere l’epidemia di Aids è ancora lunga e faticosa. Una strada che, indubbiamente, esige una decisa azione a livello comunitario-istituzionale. Ma che, insieme, richiede un più profondo impegno di responsabilità personale da parte di ciascuno, una maggiore qualità etica nei comportamenti che possono incidere sulla diffusione di questa grave patologia, nel rispetto di se stessi e degli altri.