In Italia si contano più morti per polmonite che per incidenti stradali

La polmonite è tuttora la prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi Occidentali. In Italia nel 2012 si sono registrati 9.241 decessi. I risultati di una ricerca mettono in evidenza rilevanti incongruenze tra il percepito della malattia e le intenzioni di comportamento, in particolare negli anziani. In sintesi, emerge che pur riconoscendo la malattia come seria, le sue complicazioni sono largamente minimizzate.

Polmonite e vaccini, un binomio sconosciuto che si paga caro.  Nei giorni in cui parte la campagna antinfluenzale è utile esaminare i risultati di una ricerca che mette in luce la scarsa informazione degli italiani sull’influenza e, soprattutto, sulla polmonite, che ne rappresenta una delle complicanze più serie.

Partiamo dai dati epidemiologici. La polmonite è tuttora la prima causa di morte per malattie infettive nei Paesi Occidentali: secondo gli ultimi dati Istat disponibili, in Italia nel 2012 si sono verificati 9.241 decessi per questa specifica patologia, essenzialmente in persone con più di 65 anni. Le cifre acquistano un significato ancora maggiore se si pensa che nello stesso anno ci sono stati 3.911 decessi per incidenti stradali di soggetti di tutte le età.

Su questa basi si è mossa l’indagine, condotta nel mese di settembre 2015 da AstraRicerche per conto di Pfizer su un campione rappresentativo (1.010 interviste) della popolazione italiana di età compresa tra i 30 e gli 85 anni. I risultati mettono in evidenza rilevanti incongruenze tra il percepito della malattia e le intenzioni di comportamento, in particolare negli anziani. In sintesi, nonostante le migliaia di decessi annui, dalla ricerca emerge che pur riconoscendo la malattia come seria le sue complicazioni sono largamente minimizzate. La malattia è sì percepita come grave, ma solo il 18,4% della popolazione si sente personalmente a rischio: in altre parole la polmonite è una malattia che “colpisce gli altri”. Gli anziani sono tra quanti la conoscono di meno: ben il 22% dei 70-85enni non ne sa nulla e solo uno su tre sa che si può morire di polmonite, per essere precisi il 32% dei 70-85enni, contro percentuali doppie delle classi più giovani (39-59enni). Infine, con buona pace delle campagne di vaccinazione, il 33,9% del campione, con un picco del 56% dei 70-85enni, pensa che la polmonite non si possa prevenire e il 59,7% del campione non sa che esiste un vaccino. Interpellati nel merito, l’86% dei 70-85enni afferma di non conoscere il vaccino contro la polmonite (media campione 75,1%) e il 30% dei 70-85enni che ne erano a conoscenza erano informati solo grazie al fatto che era stato loro consigliato personalmente. Da questo consegue che nonostante il rischio cui sono soggetti, gli anziani sono quelli con le più basse percentuali di intenzione a vaccinarsi: tra i non vaccinati (92% del campione) il 70,3% non ha intenzione di vaccinarsi, con picchi tra i 60-69enni (79%) e tra i 70-79enni (86%). Eppure l’intervento di prevenzione attraverso il vaccino anti-pneumococcico è risolutivo nella lotta alla polmonite.

Scetticismo sui vaccini. Ma oltre al non sapere dell’esistenza del rimedio, si intercettano altri motivi legati alla mancata vaccinazione che, come anche per i vaccini pediatrici, scontano un certo qual scetticismo di fondo. Tra le motivazioni addotte, il “non considerarsi a rischio” emerge nel 30,8% delle risposte. Inoltre, il 26,5% degli intervistati ha paura degli effetti collaterali, ma più per i genitori/anziani (39,8%) e per i bambini/ragazzi (36,2%) di cui ci si occupa che per loro stessi (26,5%). Le prime tre condizioni per vaccinarsi/far vaccinare i familiari di cui ci si prende cura sono per l’80,1% la certezza della sicurezza del vaccino, per il 75% il consiglio del medico e per il 73,1% l’avere maggiori informazioni. A questi dati, già di per sé allarmanti, va unito il difficile lavoro dei medici di famiglia che, oberati di pazienti e in perenne rincorsa deficitaria nelle visite domiciliari, rischiano di non effettuare valutazioni tempestive consegnando i pazienti all’autodiagnosi o a terapie non utili. Tutti elementi che concorrono a incidere significativamente sulla spesa sanitaria. Secondo il Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero, nel 2013 ci sono stati più di 102mila soggetti dimessi a seguito di polmonite, con un costo stimato per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 500 milioni di euro.