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In Liguria si ricorda il partigiano calabrese Dante Castellucci.
Il comune di Santo Stefano di Magra (La Spezia) ricorda Castellucci, soprannome di Facio, partigiano nato a Sant'Agata d'Esaro e importante punto di riferimento della Resistenza al nazifascismo.
Dante Castellucci è stato una delle colonne, delle tante brigate, della resistenza italiana contro il nazifascismo. Lo scorso sabato 22 settembre, il comune di Santo Stefano di Magra (provincia di La Spezia), impegnato da anni nella missione del ricordo delle vicende che animarono l’Italia nel corso della seconda guerra mondiale (in particolar modo dopo l’8 settembre ’43), ha commemorato Castellucci con una targa affissa nella biblioteca Arzelà, sede della Biennale sulla Resistenza.
La storia di Castellucci è irta di contraddizioni, come tante altre che affastellano il panorama del secondo conflitto bellico globale, che portarono il partigiano, nato il 6 agosto 1920 a Sant’Agata d’Esaro, a vivere una serie di ritorsioni con esito la morte per fucilazione. E’ una vicenda di colpe attribuite senza le dovute verifiche e conferme, da parte dello stesso fronte nel quale militava Castellucci.
Rimasto nella cultura contemporanea con il soprannome di “Facio” (leggendario brigante calabrese), iniziò la lotta contro i tedeschi e i repubblichini di Salò nella brigata Cervi, impegnata tra Modena e Reggio nell’Emilia. Alcune fonti informarono il dirigente del Partito comunista di Parma Luigi Porcari, che Facio era una spia dei tedeschi. Queste notizie, non corredate con le dovute argomentazioni, ma, d’altronde, in guerra, i casi di processi sommari erano all’ordine del giorno, si rivelarono infondate perché, Castellucci, messo successivamente alla prova, nel gruppo armato “Guido Picelli”, dimostrerà tutto il suo valore e la ferma contrapposizione anti-nazista. Porcari aveva avvisato Fermo Ognibene, capo della banda, di tenerlo d’occhio e fucilarlo al minimo comportamento sospetto. Ma Facio si guadagnò la stima di tutti i partigiani, tant’è, che alla morte di Ognibene, divenne capo della brigata istallandosi nell’Alta Lunigiana. Con lui combatterà, anche, Laura Saghettini, compagna di Facio e figura chiave nel dopoguerra nella rivalutazione della figura del partigiano calabrese.
La storia di Facio non è fatta soltanto di devianze e disinformazioni, ma tutto questo meccanismo di sospetti e contro sospetti lo portarono a subire la fucilazione. Ad Adelano, frazione del comune di Zeri, nella provincia di Massa Carrara, alle prime luci del 22 luglio 1944, Dante Castellucci moriva sotto i colpi dei suoi stessi alleati. Secondo le accuse, il partigiano avrebbe rubato un bidone di sterline lanciato dall’aviazione britannica. Tuttavia, altre testimonianze, raccolte dalla Saghettini, attestano che Facio era molto lontano dal luogo di atterraggio dei rifornimenti degli Alleati, trovandosi dall’altra parte della vallata. Nell’immediato dopo guerra, Saghettini inizia la sua personale diatriba per avere giustizia del compagno defunto. Consultato Giorgio Amendola, il dirigente comunista informa la donna che a carico di Antonio Cabrelli, da cui erano partite le accuse nei confronti di Facio, in arte “Salvatore”, non ci sono prove per avviare un’incriminazione. Cabrelli, dopo essere passato al Partito socialista, muore in circostanze sospette in un incidente stradale. Secondo alcuni, Cabrelli faceva parte dell’OVRA, la polizia segreta fascista.
(la statua di Castellucci a Parma)
Non solo in guerra, Castellucci dovette, fin da bambino, compiere numerosi spostamenti. Nel 1922, la famiglia fugge in Francia dopo un litigio con il Podestà fascista di Sant’Agata. Rientra in Italia nel 1939, quando la presenza di italiani nel paese transalpino è poco gradita. Parteciperà alla spedizione di militari italiani in sostegno dell’Operazione Barbarossa, ovvero l’invasione tedesca dell’Urss. Come partigiano rappresenta un emblema della resistenza italiana. C’è un episodio particolare: tra il 18 e il 19 marzo 1944 con soli 9 uomini Facio riuscirà a disperdere le forze tedesche, in ampio vantaggio numerico, dopo un aspro assedio del paese di Lago Santo, nel modenese. Venne, nel 1963, onorato della medaglia d’argento al Valor Militare nella cui motivazione si può leggere: «scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente: sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto». In realtà, come poi è stato scoperto, venne fucilato da altri partigiani.