In missione per annunciare Cristo

Si è chiusa lo scorso mese di agosto l’esperienza missionaria di don Battista Cimino

“Ora la mia missione cambia volto, ma continuerà con lo stesso zelo e la stessa passione di prima”. Per don Battista Cimino, missionario fidei donum della nostra diocesi, è da poco terminata l’opera di annuncio del Vangelo ai poveri e agli ultimi nel continente africano. Lo abbiamo incontrato a Kiumby, in Kenya, dopo aver ricevuto il caloroso abbraccio della sua comunità avvenuto lo scorso mese di agosto, per raccontare questa sua lunga esperienza missionaria. Quasi un quarto di secolo quello che hai trascorso in Africa. Che continente hai trovato? Come pensi di lasciarlo?L’Africa sta migliorando nelle sue conquiste a tutti i livelli. I cattolici aumentano, così come il progresso in diversi paesi. Se guardo al Kenya, in questi ultimi dieci anni, le strade diventano l’esempio visibile dell’avanzare del progresso. Il definitiva lascio un continente migliore di quello che ho trovato e, anche io, sento di aver fatto la mia parte perché in 23 anni, grazie alla generosità degli italiani e dei canadesi, abbiamo fatto tanto per i poveri. Una prima esperienza in Burundi e poi quasi quindici anni a Kyumbi in Kenya. Quanto credi che la pastorale sia stata incisiva per le persone e le comunità che hai incontrato?Nel Burundi, terribilmente segnato dalla guerra, sento di aver portato avanti una pastorale molto incisiva anche se con molte difficoltà. Andavo a celebrare messa nelle succursali dove non si vedeva un prete da anni e, nonostante il mio scarso francese, mi sono interessato delle scuole e dei gruppi vocazionali. In Kenya, invece, uno dei problemi principali da affrontare è stato quello di raggiungere tutte le persone che ancora non parlano inglese, ma solo kamba o swahili. Ovviamente durante l’omelia domenicale grazie alle traduzioni siamo sempre stati in grado di raggiungere tutti, ma è stata comunque una difficoltà. Come credi sia cambiato nel corso degli anni il ruolo del missionario?Fino a non molto tempo fa si partiva per fondare le chiese. Tutte le congregazioni hanno avuto missionari che le hanno impiantate. Un poco alla volta si “occupava” uno spazio e si fondavano le parrocchie con una sorta di colonialismo buono sostenuto da una parte del vecchio mondo che aiutava generosamente le missioni. Chiaramente nell’ultimo periodo è cambiata la visione del missionario. Ora siamo nell’ottica dei sacerdoti diocesani con lo scambio e la cooperazione tra le chiese. Dato che ora esiste una chiesa, il missionario aiuta, appoggia, collabora. Quindi è ancora importante l’opera del missionario?Si, perché serve la nostra esperienza su come organizzare la comunità, nell’assistenza del povero e nel creare dei ponti con le organizzazioni che aiutano queste comunità a risollevarsi. È fondamentale nello scambio di personale, di esperienze, di come vivere la vita cristiana, di come vivere la liturgia, come fare la predicazione.Cosa ti mancherà di più dell’Africa?Il sorriso dei bambini. Anche perché da noi ce ne sono pochi, mentre qui sono a flotte. Li trovi ovunque che ti chiamano per nome, è meraviglioso. Tra le tante esperienze, quale metteresti al primo posto?Sicuramente la storia di Faustina. Si tratta di una bambina che abbiamo trovato nel suo letto con la nonna morente. Era cosparsa di feci e di pipì, aveva solo 5 anni. Era uno scheletro, mentre adesso è una bella signorina di 16 anni ed è stata adottata da una delle nostre assistenti sociali. Lei può essere il simbolo di tutte le cose belle che sono state fatte verso i poveri, uno ad uno. Dare dignità, risposte, uno ad uno. Dare assistenza uno ad uno, questa è stata la nostra missione. In Africa non lasci solo la tua gente e parte del tuo cuore, ma anche tante opere realizzate e un gruppo di persone che dovrà portare avanti strutture e progetti. Pensi che l’equipe di Stella Cometa Africa riuscirà a gestire tutto al meglio? Una delle caratteristiche dell’annuncio, così come ci ha insegnato Gesù, è quello di annunciare e poi lasciare alle singole persone la responsabilità di fare proprio quel messaggio. In questi anni ho cercato di impostare una linea, ho annunciato una visione, adesso sta al gruppo portarlo avanti. Ho fiducia che se i ragazzi non si faranno prendere dall’interesse personale potranno andare avanti e fare bene. E se fino ad ora sono stati abituati ad avere un sostegno anche economico è arrivato il momento di iniziare gradualmente a camminare con le loro gambe. Se avranno questo spirito di apertura, il Signore, così come ha fatto finora, continuerà a sostenere la nostra opera. Ora la tua missione cambia volto e dopo quasi venticinque anni torni in Italia in una parrocchia della tua San Giovanni in Fiore.Di sicuro cambieranno le persone e i luoghi, ma non cambierà lo spirito e la passione con cui voglio lavorare. Darò più spazio ad una pastorale fatta di attenzione alle persone, perché non mi dovrò concentrare nel costruire chiese o dispensari, o comprare una fuoristrada per spostarmi da una comunità all’altra. Qui da noi c’è una povertà diversa, che è la povertà del cuore. Un cuore che perde la fede, perde la fiducia, non è capace di amare, non è capace di perdonare. Cuori spezzati che chiedono un tipo di pastorale diversa. Misericordia, carità, bibbia ed ecumenismo; saranno queste le direttive sulle quali mi muoverò.

Santuario della Divina Misericordia

Nel nostro tour nella cittadina di Kyumbi non poteva mancare la visita al “Santuario della Divina Misericordia” che resterà una delle opere di evangelizzazione più importanti realizzate dal sacerdote di origini sangiovannesi. “Si tratta di un santuario particolare perché nasce con una sua visione – ci spiega don Battista mentre ci accompagna tra i tanti percorsi di catechesi che si snodano sulle pendici della collina che domina la cittadina di Kyumbi. Una collina che è diventata una bibbia a cielo aperto, punto di riferimento per migliaia di pellegrini che ogni anno vengono qui per pregare, meditare, vivere momenti di catechesi, fare esperienza di Dio”. Sono infatti diversi i percorsi di catechesi pensati per far scoprire ai pellegrini, in tappe differenti, la storia della salvezza insieme ad alcuni percorsi di redenzione e di preghiera. In cima al colle la grande aula liturgica a cielo aperto che può ospitare più di mille persone e la cappellina al coperto dove celebrare la santa messa con piccoli gruppi. “Ogni luogo, ogni albero, ogni roccia di questo monte è stato reinterpretato in chiave catechetica” ci tiene a sottolineare don Battista che ripercorre con la mente i lunghi anni di lavoro serviti a dissodare questa collina rocciosa. Così questo luogo si è mostrato adatto non solo per i grandi pellegrinaggi che arrivano dalle cittadine limitrofe e da Nairobi, ma anche a piccoli gruppi o singoli che usano questo colle per fermarsi a pregare e ritemprare lo spirito. (RDC)

I progetti promossi da Stella Cometa Africa

Nata nel 2004 l’associazione che ha sede in Italia e con una sua costola anche in Africa, ha avuto il grande merito di sostenere le opere realizzate in Kenya. “Quello che siamo riusciti a fare qui a Kyumbi è stato possibile grazie al sostegno e alla generosità di tanti” sottolinea don Battista mentre ci fa visitare la casa di accoglienza Madre Elena Aiello, gli uffici e le costruzioni nate per sostenere i diversi progetti portati avanti dall’equipe di Stella Cometa Africa e un’altra struttura, ancora in fase di ultimazione, che accoglierà un centro di riabilitazione. Quindi opere di sostegno ai poveri, di formazione, di sostegno alla salute e di sviluppo sociale. Sono queste le realtà che ci vengono raccontate durante la nostra visita con passione e professionalità dai diversi responsabili dei progetti portati avanti da Stella Cometa Africa. Il primo è quello legato al sostegno allo studio, unico strumento di crescita e riscatto per l’intera comunità. A questo si affiancano i diversi progetti di sostegno alla salute “perché sono ancora tante le persone e i bambini affetti di Aids e molte sono le famiglie che non possono assistere in nessun modo quanti hanno una disabilità o hanno bisogno di fisioterapia” – ci spiega il responsabile dell’area salute. “Al momento ci occupiamo di 70 bambini e di 34 adulti e per chi non può raggiungere le nostre strutture abbiamo previsto degli interventi a domicilio. Insieme a questo cerchiamo anche di formare le mamme su come fare una parte della terapia a casa”. Mamme, donne, malate di Aids, che grazie ad un altro progetto chiamato “Mama smile” vengono aiutate a produrre degli oggetti da mettere in vendita (rosari, saponi) in modo da creare un piccolo circuito economico di sussistenza.Tra le tante attività portate avanti c’è anche il progetto “Peace and reconciliation” con “il quale cerchiamo di aiutare le persone a ritrovare il buon senso quando nascono dei conflitti o ci sono delle discordie” – ci racconta uno dei responsabili. “Soprattutto cerchiamo di difendere le donne e i loro bambini facendo in modo da non dover ricorrere necessariamente a vie legali ma trovando soluzioni amichevoli”.