Informarsi ai tempi del Coronavirus.

Se nelle strade, nelle piazze, è calato uno strano silenzio, le giornate si sono dilungate in assenza di occupazioni. Se fuori dalla finestra il frastuono quotidiano si è molto più che attenuato, c’è uno schiamazzo unito ad una profonda crisi di nervi che si produce nel mondo del web, sui principali social networks. Ritrovandoci anche subissati dalle “fake news”. Nelle chat di whatsapp ne continuano a girare in grande quantità e talvolta il governo ha ritenuto doveroso intervenire direttamente per smentirle, tale era la forza penetrativa.

Sono giorni di emergenza. Ma la chiusura, forzata, nelle case causa coronavirus è un modo anche di guardarci allo specchio. Le autorità governative in meno di una settimana si sono ritrovate a gestire un evento inaspettato, non calcolato. In una settimana la tranquilla quotidiana indifferenza alla vita pubblica di milioni di italiani è venuta meno. In una settimana, fogli di decreti della presidenza del consiglio dei ministri erano sulla bocca e nella mente di tutti. All’improvviso ci siamo resi conto cosa sia questo Stato, istituzione che viene data per scontata. Nella candida spensierata quotidianità. In una settimana, un intero paese si ritrova bloccato, chiuso causa rischio contagio. Una situazione del tutto nuovo per la generazione ’99 e i nuovi millenials. Troppo piccoli l’undici settembre duemilauno, troppo distanti le bombe di cinque anni fa a Parigi. Forse il conflitto libico, ma mai un evento, che sicuramente sarà storico, aveva impattato direttamente nelle loro vite. Un obbligo: restare a casa. Da giorni le foto delle principali città italiane del tutto vuote. Ma anche nel nostro piccolo, a Cosenza gira molto meno gente, molte meno macchine. Il messaggio è passato, anche perché la Calabria ha avuto i suoi “casi contagio da coronavirus” e la fragilità sanitaria fa preoccupare. Tuttavia, questa emergenza svela un’altra debolezza, della grande comunità digitale ai tempi del coronavirus. Se nelle strade, nelle piazze, è calato uno strano silenzio, le giornate si sono dilungate in assenza di occupazioni. Se fuori dalla finestra il frastuono quotidiano si è molto più che attenuato, c’è uno schiamazzo unito ad una profonda crisi di nervi che si produce nel mondo del web, sui principali social networks. Di punto in bianco ci ritroviamo ancora più soli. Siamo sempre una massa, all’interno di un labirinto virtuale, ma atomici, soli con il nostro smartphone, tablet, che seguiamo i quotidiani bollettini della protezione civile. Ritrovandoci anche subissati dalle “fake news”. Nelle chat di whatsapp ne continuano a girare in grande quantità e talvolta il governo ha ritenuto doveroso intervenire direttamente per smentirle, tale era la forza penetrativa. L’emergenza mette a nudo un’altra fragilità, quella comunicativa. Nell’Italia dove si legge poco, i giornali ogni anno retrocedono in diffusione. E dilagano messaggi sormontati dalla verbo inoltrato, quasi a far pensare di una info proveniente da una fonte accreditata, oppure di misteriosi audio recanti notizie roventi, che girano sottobanco perché scomode. Diffondere la notizia di presunti casi di contagio, come accaduto sul conto di un parroco della presila (poi rivelatasi del tutto infondata). Anche i giornalisti di professione incorrono in errori simili, ma un’altra cosa dovrebbe far riflettere: la basilare capacità critica che dovrebbe quantomeno indurre al dubbio su queste comunicazioni fittizie. Le false notizie, sia chiaro, non sono prodotte unicamente da qualche buontempone. Sono pieni i libri di storia di depistaggi, disinformazioni di organi statali o parastatali. E anche i grandi media tradizionali omettono alcuni fatti, ma questa è acqua calda. Il senso di questo ragionamento riguarda le persone, perlomeno la gran parte. Prima di condividere un messaggio, una nota vocale, un articolo, dubitate, confrontate con metodo comparato. Evitiamo in queste settimane di alimentare un’isteria diffusa nell’etere digitale. Anche così, il virus si batte.