Cultura
Ingrid Carbone, artista poliedrica

Un talento riconosciuto a livello internazionale, una vera e propria eccellenza, figlia della nostra terra, è Ingrid Carbone, pianista e matematica.
Ha iniziato i suoi studi in ambito musicale presso il Conservatorio di Cosenza, dove ha conseguito il diploma, per poi proseguire nella sua formazione in prestigiose accademie in Italia e all’estero.
Si è esibita in Europa, Cina, Israele, Palestina, Giordania, i suoi album, registrati per prestigiose etichette, sono venduti in tutto il mondo. L’artista è impegnata in conferenze e nella didattica pianistica in Italia e all’estero ed è spesso ospite su canali radiotelevisivi nazionali e internazionali.
La prestigiosa Fondazione IBLA di New York le ha assegnato due menzioni speciali, ha vinto diverse medaglie al concorso internazionale Global Music Awards ed ha ottenuto due nomination agli International Classical Music Awards.
Parallelamente, Ingrid ha portato a termine brillantemente i suoi studi in ambito universitario, laureandosi in Matematica presso l’Università della Calabria, dove attualmente insegna Analisi matematica.
Abbiamo incontrato la poliedrica artista che si è raccontata ai nostri lettori.
Come nascono la sua passione per la musica e per la matematica? Come ha scoperto di possedere questi talenti?
Devo entrambi alla mia famiglia, ai miei genitori. Per quanto riguarda il pianoforte, provengo da una famiglia di appassionati di musica, ma non di musicisti, non sono figlia d’arte. In casa si ascoltava sempre musica, che fosse classica, opera, musica da film, musica francese, ero abituata all’ascolto. Avevo otto anni quando i miei genitori, ebbero l’idea di acquistare un pianoforte, offrendomi questa opportunità, come avviene spesso in famiglie illuminate. Quel regalo, un pianoforte verticale che ancora conserviamo, ha cambiato la mia vita, aprendo scenari fino ad allora inimmaginabili, diventando il mio rifugio, il mio compagno e da allora lo è stato per sempre. Per quanto riguarda la matematica, mio padre insegnava matematica in Università e quindi, probabilmente, questo mio amore per la materia nasce da qualche confronto con lui, da qualche discussione, mi portava a volte con sé nei convegni, in qualche maniera questo mi ha permeata. Sicuramente la mia famiglia è stata determinante, a loro devo, non solo l’incontro iniziale con le due discipline, ma l’avermi insegnato a non cedere di fronte alle difficoltà, ad affrontare le sfide, eventualmente a perdere, ma a testa alta, con grande dignità e serietà, con coscienza, puntando in alto, sempre più in alto e cercando di tirare fuori il meglio di me.
Nel suo percorso di formazione ha avuto delle figure di riferimento, dei maestri, dei mentori?
Nella musica, che è la mia attività principale, i miei maestri di Conservatorio hanno sicuramente determinato il il mio futuro. Ho frequentato la classe che allora era considerata la più difficile, era difficile perfino riuscire ad entrarvi, il mio primo maestro è stato Maria Laura Macario, il secondo Flavio Meniconi. All’inizio non è stato facile per niente, nello studio del pianoforte i risultati arrivano dopo tanto, tanto tempo, Francesco Monopoli mi ha portato al diploma. Quello che ho imparato da loro mi è rimasto come tecnica, come gusto del bello, come tocco, come repertorio, come cultura musicale, come metodo di studio che utilizzo ancora adesso, dopo tanti anni.
C’è stato, però, un periodo in cui ho avuto delle perplessità riguardo alla mia carriera artistica e nel quale mi sono concentrata maggiormente a quella universitaria. Avevo deciso di dedicarmi alla musica da camera, ma il pianista Cristiano Burato, che è stato il mio mentore per un lungo periodo, mi ha spronato a ricominciare con il repertorio solistico ed a rimettermi in gioco, cosa per la quale gli sono grata, da lì, infatti, sono arrivate le vittorie ai concorsi internazionali, ho iniziato una produzione discografica che mi ha consentito di avere un’attenzione internazionale e di vincere tanti premi.
La musica e la matematica sono due ‘mondi’ che, solo in apparenza, potrebbero sembrare così distanti, in realtà c’è una stretta relazione tra loro…
Sì infatti, è così per diversi motivi. Chiunque abbia fatto qualcosa di musica, anche solo un po’ di solfeggio, sa che c’è la matematica dietro la musica, c’è un ritmo, la suddivisione delle note, fino ad arrivare poi alla musica di Bach, con le sue variazioni, le simmetrie, le traslazioni che rispettano senz’altro delle regole matematiche. Un fondamentale aspetto comune ad entrambe è il metodo di studio, per studiare la matematica e la musica bisogna avere lo stesso tipo di disciplina, di mentalità, bisogna costruire tutto piano, piano, quello che si fa oggi servirà poi per il resto della vita, un analogo approccio scientifico.
In passato mi sono interrogata molto sulla mia persona, all’inizio vedevo la matematica come un impedimento alla mia carriera artistica, quasi come un errore e poi, invece, mi sono resa conto di quanto questa stia beneficiando della mia formazione universitaria.
Ogni cosa che riguarda la nostra quotidianità è intrisa di matematica e musica. Il mondo che ci circonda risponde alle regole fondamentali della prima e si lascia attraversare dalla seconda, in una sorta di armonia, di perfezione. Queste due discipline possono rappresentare un’opportunità per aprirsi al trascendente e per entrarvi in contatto?
Questo per me va al di là di ogni dubbio, condivido pienamente. La matematica ormai è dietro ogni cosa che facciamo, è alla base di tutta la tecnologia che utilizziamo nella nostra quotidianità, la musica d’altra parte è una compagna quotidiana, è dappertutto, è un linguaggio universale.
Vivere la musica per un musicista, o perlomeno per me, suonare, interpretare significa lasciarsi trasportare in un’altra dimensione. Quando suono, sono con la mente, con il mio essere, con l’anima e tutti i miei sensi, da un’altra parte, ovvero dove, secondo il mio studio di interpretazione, mi sta portando l’autore. La musica mi dà la possibilità di sperimentare una dimensione in più, una spiritualità che non so se, in assenza della mia musica, avrei raggiunto. Vivere questa dimensione ulteriore è un privilegio che desidero trasmettere al pubblico perché credo che il mio ruolo mi imponga di condividere più conoscenza possibile.
Tra i numerosi brani che ha inciso, ce ne sono due, composti da Franz Liszt, ispirati a San Francesco di Paola e San Francesco d’Assisi, potrebbe descriverceli?
La scelta di questi due brani è legata ad un mio interesse nei confronti di una parte della produzione pianistica di Franz Liszt poco proposta, ma che è di altissima spiritualità. Il compositore ha messo in musica le due leggende che descrivono San Francesco di Paola che attraversa lo stretto di Messina sul suo mantello ed il sermone di San Francesco d’Assisi agli uccelli. Sono due brani di una forza straordinaria, nei quali Liszt è stato in grado di riprodurre in musica, in maniera così forte e precisa, tutti gli elementi che compongono le due scene. Nella prima le onde del mare che si agita sempre di più, l’incedere del Santo, la tensione nella discussione con il barcaiolo che si rifiuta di accompagnarlo nella traversata, la violenza delle acque che colpiscono San Francesco, ma il tutto termina trionfalmente, con l’arrivo miracoloso all’altra riva, con delle note forti, isolate e dissonanti, che, secondo l’interpretazione che ne ho dato, rappresentano il suono delle campane a festa. Il secondo brano, ispirato a San Francesco d’Assisi, apre le porte a tutta la musica del ‘900, di cui Liszt è stato un precursore, in esso si sentono gli uccelli che inizialmente cantano da lontano e poi, quando il il Santo si avvicina, accorrono tutti intorno al lui con un frullo di ali. Il rincorrersi di voci è una sensazione così concreta e così reale, il compositore è stato in grado di riprodurre i suoni in maniera estremamente fedele, da emozionare l’ascoltatore.
Come vive il silenzio che si crea durante i suoi concerti e durante le lezioni che tiene in Università?
Il silenzio del pubblico mi trasmette interesse, è un silenzio che ci unisce, io ho bisogno di sentirne la presenza, la vicinanza, è come se io sentissi questo legame forte che si instaura.
Il silenzio che si crea è denso di aspettativa, di curiosità, di attesa, di sorpresa, per me è importante guardare il pubblico, vederne le reazioni, lo scopo delle mie presentazioni è quello di prendere il pubblico per mano e accompagnarlo nel mio mondo, attirarlo in quella dimensione ulteriore che abbiamo descritto in precedenza. Quando spiego la matematica, cercando di farlo nella maniera più accattivante e originale possibile, anche lì il silenzio di chi mi sta di fronte è conferma di attenzione, di un interesse che viene suscitato, di un coinvolgimento alimentato dal mio desiderio di condividere quello che so e di rendere partecipi gli altri di ciò che conosco.