Io sono Ingrid

Un documentario di Stig Bjorkman dedicato alla Bergman.

Nel firmamento delle star che il cinema hollywoodiano ha regalato agli spettatori di tutto il mondo un posto d’onore spetta, senz’altro, all’attrice svedese Ingrid Bergman. Indimenticabile protagonista di “Casablanca”, dove affiancava il duro Humphrey Bogart, in una storia d’amore e guerra. Una pellicola d’immenso successo, considerata la migliore realizzazione del sistema produttivo e narrativo classico, a cui anche uno studioso come Umberto Eco ha dedicato un saggio in cui analizza i motivi di quella fortuna e di quella “grandezza”. E ancora volto femminile di due pellicole di Alfred Hitchcock: “Notorius” al fianco di Cary Grant, film passato alla storia per il bacio più lungo visualizzato in un’opera del periodo, e “Io ti salverò”, dove interpretava una psicanalista che liberava Gregory Peck dai fantasmi del suo passato. A questa diva bellissima e irraggiungibile (come Audrey Hepburn o Marilyn Monroe) che ormai fa parte del nostro immaginario collettivo è dedicato il documentario “Io sono Ingrid”, diretto dal regista e critico cinematografico svedese Stig Bjorkman.Un documentario che può contare su del materiale fino ad oggi inedito riguardante la diva: i suoi diari scritti e filmati. La Bergman ha fotografato e ripreso, infatti, la sua vita dall’infanzia fino alla morte, lasciando un immenso bagaglio di ricordi cristallizzati. Oltre a questi materiali, che ci permettono di conoscere un altro volto dell’attrice (non la diva ma la donna: figlia, moglie, madre, amica), ci sono i film, i backstage, un incantevole primo provino che ce la mostra timidissima e irresistibilmente fotogenica, le interviste, le premiazioni (compresi i tre Oscar, il primo per “Angoscia”, il secondo per “Anastasia”, il terzo per “Assassinio sull’Orient Express”), e le testimonianze delle persone a lei più care: i quattro figli Pia, Roberto, Isotta Ingrid e Isabella. E poi le lettere, innumerevoli, indirizzate al primo marito, ai figli, al secondo marito Roberto Rossellini (memorabi le quella, presciente, in cui chiedeva al regista mai incontrato di lavorare con lui anche se in italiano lei sapeva dire soltanto “Ti amo”), alle amiche di sempre.Il documentario procede in ordine cronologico ricordando l’infanzia triste di Ingrid, orfana di entrambi i genitori, ma anche il suo entusiasmo e il suo ottimismo incrollabili, la sua avventura nel cinema mondiale – dalla Svezia agli Stati Uniti, all’Italia, alla Francia – e quella vita sentimentale tumultuosa che l’ha spinta a “cambiare tutto ogni dieci anni”, lasciandosi dietro figli, mariti, case, carriere.”Non ho alcun rimpianto”, ha detto Ingrid a chi cercava di strappare da lei un mea culpa per la disinvoltura con cui aveva gestito la sua esistenza, in particolare i rapporti con gli uomini. Ed è tangibile il dolore della figlia Pia, cresciuta dal padre a migliaia di chilometri di distanza dalla madre, per essersi sentita poco interessante agli occhi di quella mamma così ricca di fascino e di glamour. Ma Pia ammette che Ingrid Bergman era una delle donne più divertenti, vitali e irresistibili che sia mai vissuta, e che il problema era che, di una così, non se ne aveva mai abbastanza.Un documentario che scava nell’anima della sua protagonista e ce ne lascia un ritratto a tutto tondo, contraddittorio com’è la vita, che permette allo spettatore di ammirare con ancora più forza questa diva di un mondo del cinema e di una società ormai irrimediabilmente passati.