Chiesa
La bellezza, via per un nuovo umanesimo
Ecco il testo di una lectio magistralis tenuta da monsignor Luigi Renzo nei giorni scorsi all'Università della Calabria. L'intervento del presule è avvenuto all'interno di un ciclo di seminari voluti dai docenti cattolici di ateneo. La riflessione tende la mano al prossimo convegno ecclesiale di Firenze.
Premessa
Il tema “Ripartire dalla bellezza via per un nuovo Umanesimo” si inserisce nel ciclo dei Seminari Interdisciplinari “Riflessioni sull’umano” dell’Unical nel contesto della riflessione che la Chiesa Italiana sta facendo a vario livello in preparazione al Convegno Ecclesiale Nazionale su “In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo” (Firenze 9-13 novembre 2015).
La scelta del tema è abbastanza intrigante per una riflessione che oggi sta diventando sempre più necessaria ed urgente. Quando parliamo di bellezza non vogliamo solo intendere l’arte, la musica, la letteratura, tutto ciò che l’uomo produce, ecc., ma tutto l’insieme della sua esistenza che circola dentro e fuori di lui, che struttura i suoi rapporti e le relazioni con l’esterno di sé e che lo pone come soggetto protagonista in un complesso ampio e globale anche a livello cosmico.
Una riflessione significativa deve chiaramente essere libera da pregiudizi, aperta alle soluzioni possibili, capace di mettere in discussione e di mettersi in gioco in vista di una bellezza non solo soggettiva, ma anche oggettiva, espressione della dignità trascendente della persona umana.
Papa Francesco, nel discorso tenuto a Strasburgo davanti al Parlamento Europeo il 25 novembre 2014, volendo rispondere alla domanda: Come ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri? si è così espresso: “Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa, continua il Papa, dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona”.
In questo processo di rilancio di un nuovo umanesimo che si basi non sulla “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”, quale apporto può venire dalla bellezza, dalla contemplazione con stupore e commozione davanti all’armonia del creato e del bello, che l’uomo riesce ad esprimere e comunicare partendo dal suo mondo interiore appassionato? E’ la domanda a cui tenterò di rispondere con la mia riflessione ad alta voce.
1. Ripartire dalla Bellezza
Dovendo parlare sul tema “Ripartire dalla Bellezza via di un nuovo Umanesimo“, mi piace introdurmi con una citazione di Oscar Wilde: “La Bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del tempo è vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l’una sull’altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed un possesso per tutta l’eternità”. Il poeta polacco Cyprian Norwid aggiunge in un suo componimento: “La bellezza è per entusiasmare al lavoro, il lavoro è per risorgere”. Bellezza e risurrezione camminano a braccetto.
Ma che cos’è la bellezza? E’ opportuno partire con qualche chiarimento concettuale.
a) Concetto di bellezza
Il pensiero antico ha definito la bellezza come “Id cuius apprehensio placet”, una cosa il cui apprendimento arreca spirituale diletto. Dinanzi alla bellezza, cioè, l’anima trova la quiete ed in essa si rifugia per ammirare con occhi sereni se stessa e il cosmo che la circonda. La bellezza, potremmo dire con S. Agostino, si può cogliere se si percepisce la verità a partire dal proprio mondo interiore: “In interiore homine habitat veritas”. Bellezza e verità, unite alla bontà, si coniugano in unità e simbiosi profonda e generano pace e serenità nello spirito. In questa linea si muove anche Kant.
“La bellezza, scrive ancora il teologo Hans Urs von Balthasar intorno alla metà del Novecento, è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. E’ la bellezza disinteressata (pura) senza la quale il vecchio mondo era incapace di comprendersi e che, dice, ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli affari per abbandonarlo alla sua cupidigia e alla sua tristezza. E’ la bellezza che non è più amata e custodita”. (cf. Gloria, Un’estetica teologica, Milano 1975, I, p. 10). Dove viene meno la bellezza, viene meno l’amore e con esso il senso della vita. Interesse primario oggi è il benessere materiale, non importa se questo significa sacrificare l’habitat dell’uomo: pensiamo ai disastri ambientali, al degrado dei nostri bellissimi centri storici, agli inquinamenti vari, alle cementificazioni selvagge delle coste, alle brutture di cui ci stiamo circondando.
In questi ultimi tempi stiamo assistendo, inoltre, a qualcosa di peggio: si arriva a distruggere orridamente tutto ciò che gli antichi ci hanno trasmesso come espressione del proprio mondo ideale e religioso. Pensiamo allo scempio dei talebani di Bin Laden che – malgrado la protesta del mondo – quasi come una sfida alla cultura occidentale, hanno abbattuto a colpi di cannone i busti dei Budda in Afganistan. E se questo non fosse bastato, in questi giorni i seguaci dell’Isis stanno abbattendo e distruggendo tutto ciò che è contrario al loro fondamentalismo islamico (statue e quant’altro dovunque si trovino: Musei o nell’abitato), non escluso il massacro delle migliaia di vite umane, non esclusi giovani e bambini.
Ma senza andare molto lontano, ricordiamo quello che è successo di recente in Piazza di Spagna a Roma e come i tifosi olandesi del Feyenoord, da veri teppisti, hanno trattato la Barcaccia, il gioiello del Bernini, conosciuta nel mondo come una delle icone più belle del barocco italiano.
L’arte, la bellezza rischiano di restare mute, rivelando la loro fragilità a causa di una povertà culturale e di una umanità malata che ha bisogno urgente di risollevarsi e di proporsi con la sua forza comunicativa ed umanizzante. L’odio e l’incuranza della bellezza, dei monumenti, dell’archeologia sono il segno dello squallore culturale e della involuzione totale che sta portando perfino all’odio verso la stessa razza umana.
Ci deve essere un modo per reagire a tutto questo e la bellezza può dare il suo apporto benefico. Si tratta di alzare lo sguardo, di uscire dall’ignoranza profonda, senza ridurre il mondo ad una discarica e la bellezza ad un cassonetto. La bellezza è come guardiamo il mondo, è l’amore che
posiamo sulle cose. La bellezza è qualcosa di più e di meglio del proprio esclusivo individualismo esacerbato ed introverso. Appartiene a tutti e tutti devono saperla leggere e capire.
b) Oggettività della bellezza
Il nostro mondo – c’è proprio da riconoscerlo – ha inflazionato l’uso del termine bellezza, cambiando gli stessi criteri valutativi delle cose. Ciò che è bello per me non importa che non lo sia per gli altri. C’è la convinzione che il bello sia qualcosa di assolutamente soggettivo. C’è da chiedersi se la bellezza è una realtà sensibile o spirituale, se è possibile realizzare giudizi estetici che siano universalmente riconosciuti (oggettivi), o se sia sufficiente che un’opera soddisfi interiormente solo chi la produce.
La cultura di oggi, definita post-moderna, liquida, del pensiero debole, in teoria sembra interessarsi alla bellezza. Ma di quale bellezza parliamo se a trionfare è il soggettivismo, l’individualismo? Tutto è relativo ed in funzione di sé. La bellezza in sé, la bellezza universale, non conta perché ogni espressione è strumentalizzata per i propri fini. Decido io ciò che è bello, buono, etico. Io divento la misura di tutto, al punto da far dire a qualcuno che oggi gli artisti non cercano, nè coltivano la bellezza, ma tendono ad inseguire il sensazionale, a rischio peraltro di suscitare disgusto e riprovazione.
Senza volere esagerare o esasperare le cose, credo sia doverosa un’altra puntualizzazione concettuale sulla bellezza come fatto oggettivo, prima che soggettivo.
La bellezza: – è ordine, armonia, equilibrio
– allarga e riscalda il cuore
– apre circuiti comunicativi all’esterno di sé con immediatezza di significati.
Pensiamo alle sensazioni che si provano davanti ad una sinfonia di Beethoven, ad un’alba, o ad un bel tramonto, ad una tela di Mattia Preti o di Antonello da Messina, alla Pietà di Michelangelo o alla Gioconda di Leonardo da Vinci.
All’opposto c’è la bruttezza che
– provoca un istintivo senso di rifiuto e di disgusto
– chiude ogni rapporto
– non comunica e non apre dialogo con l’esterno.
Pensiamo, senza voler offendere nessuno, a certe pitture moderne che lasciano freddi e forse fanno storcere il muso.
Le reazioni che suscita una cosa bella è altra cosa rispetto a quanto provoca una bruttura. Un esempio. I fratelli Chapman che nella scena artistica di Londra ritraggono il volto umano sfigurato da un pene al posto del naso, o sostituiscono la bocca con un ampio buco, o mutilano ancora in tutti i modi la forma umana, certamente non comunicano sensazioni di benessere spirituale. Si può dire che oggi gli artisti sono più interessati ad esprimere quello che loro hanno dentro, che preoccuparsi delle reazioni che suscitano. Ma questo può essere sufficiente per parlare di bellezza? Come si possono combinare insieme bellezza e introversione se non vera e propria schizofrenia moderna? Se volete consideriamole pure opere d’arte, ma non parliamo di bellezza, che risponde ad altri canoni espressivi. Filosofi come Adam Smith o Immanuel Kant dicevano che non si può guardare il mondo solamente con gli occhi della scienza e della tecnica. Vi è anche l’atteggiamento della contemplazione incantata, dello stupore che l’uomo rivolge al proprio mondo cercandone il significato ed il messaggio giusto. Con questo atteggiamento si mettono da parte i propri interessi e non ci si occupa più delle mete e dei progetti personali. Si lascia invece che il mondo presenti se stesso e da questa autopresentazione si trae ispirazione e conforto. Questa è l’origine e la forza della bellezza.
Prendiamo un altro esempio semplicissimo di immediatezza quotidiana. La bellezza non riguarda solo la pittura e le altre arti nobili. Per esempio, voi apparecchiate la tavola perché aspettate degli ospiti. Quanta cura! Scegliete una tovaglia ricamata e pulita, sistemate i piatti, i bicchieri, il pane nel cestino con la caraffa del vino e dell’acqua. Lo fate amorevolmente, dilettandovi di quella vista, sforzandovi di creare un senso di accoglienza e di calore umano come una madre che aspetta il marito, i figli e gli ospiti. L’attenzione non è su voi stessi, ma su chi sta per arrivare, per cui quella tavola diventa il simbolo delle braccia aperte e dello spirito della bontà dell’accoglienza. Anche questa è un’esperienza di bellezza che ci riconcilia con gli altri e ci apre a chi entra. E’ il gusto oggettivo del bello. Più c’è amore, più c’è segno di umanità e di gioia spirituale.
Il nostro bisogno umano di bellezza non è una semplice aggiunta alla lista degli appetiti. Si tratta di un bisogno che nasce dalla nostra condizione di individui liberi che cercano il proprio posto in un mondo che continua fuori di noi. La reazione degli altri è importante, non è neutra. Anche questa è arte, è bellezza. L’arte e la bellezza sono un tributo umano alla forza creatrice che regola l’universo, un tentativo di rappresentare, entro confini umani, l’esperienza di un mondo che è sia creato, sia dato ed in cui noi troviamo posto.
2. Linguaggio universale ed umanizzante della bellezza
Lo scrittore Giovanni Papini nel suo “Il giudizio universale” fa parlare tra gli altri Sandro Botticelli che dice di sé: “Spesi tutta la mia vita nel disegnare e nel dipingere. Le opere di mia mano furono anche troppo lodate dagli uomini dei miei tempi, ma nessuno, credo, comprese il mio intenso tormento. A somiglianza di quelli che si dedicano all’arte fui sommamente attratto dalla bellezza esteriore delle cose e delle creature e tale amore delle apparenze leggiadre mi discostò più di quanto io volessi e sapessi dalla contemplazione delle cose e delle persone divine. Pensai che il vero compito dell’artista consistesse nel rivelare l’inestimabile bellezza del mondo. Questo atto mi sembrava che andasse ad accrescere non solo la gioia degli uomini, ma anche la gratitudine verso colui che aveva creato tanta bellezza”. La bellezza naturale, l’arte di ogni forma costituiscono la via per cogliere in profondità ed in maniera coerente la bellezza primigenia. La forma che dà voce alla bellezza, dobbiamo riconoscere, non permette che si rimanga fissi su se stessi; essa provoca ad entrare nell’intimo di ciò che essa esprime e rimanda alla fonte stessa della bellezza che richiede il silenzio della contemplazione e la capacità di trascendere dalla propria individualità esclusiva. Ciò che faccio mi fa comunicare con l’altro, mi mette in relazione col mondo.
“La natura che ci circonda, scrive Leone Magno, insegna ad andare a Dio. Infatti il cielo e la terra, il mare e quanto si trova in essi proclamano la bontà e l’onnipotenza del loro Creatore. E la meravigliosa bellezza degli elementi, messi a nostro servizio, non esige forse da noi, creature intelligenti, un doveroso ringraziamento?”. (cf. Discorsi, disc. 6 sulla Quaresima 1,2).
Su queste coordinate, per esempio, si muove don Tonino Bello, il santo vescovo di Molfetta, quando scrive che “La bellezza è il linguaggio universale. Noi vogliamo ringraziare il Signore e vogliamo chiedere che ci riconcili con la bellezza, perché noi non la sappiamo trattare bene. La manipoliamo, oppure, se ci mettiamo le mani sopra, subito la deturpiamo, non sappiamo sostenerla. Vogliamo ringraziare Dio perché ci fa capire che attraverso la bellezza salverà il mondo”.
Questa espressione “La bellezza salverà il mondo” è di Dostoevskij. Questi nel romanzo “L’Idiota” mette la frase in bocca al principe Myskin, malato di tisi e moribondo. Ma quando la bellezza salverà il mondo? Quando l’uomo saprà accoglierla dentro di sé. In altre parole la bellezza è una responsabilità che dobbiamo saper assumere. Allora salverà il mondo perché aiuterà l’uomo a ritrovare equilibrio e armonia dentro di sé per riversarli fuori di sé nell’ambiente, nella convivenza con gli altri, nel creato, nel bene comune.
Anche noi ripetiamo spesso che la bellezza salverà il mondo, ma dovremmo altresì chiederci se anche il mondo (l’uomo) salverà la bellezza. Fino a che punto la coltiva seriamente ed è disposto a difenderla nella sua integrità? E’ il discorso accennato prima. Quale considerazione e quale amore e tutela, per esempio, possiamo dire di avere verso i nostri beni culturali, se poi li abbandoniamo a loro stessi? Vedi la fine che stanno facendo gli scavi di Pompei o i nostri scavi di Sibari. E ci fermiamo qui.
Mi piace citare le parole dello scrittore statunitense Oliver Wendell Holmes nel suo romanzo “Il professore alla prima colazione“: “La saggezza è la sintesi del proprio passato, ma la bellezza è la grande promessa del futuro”. Oppure quello che scrive il teologo ortodosso Pavel Evdokimov: “La bellezza non ha bisogno di prove, ha solo bisogno di essere proposta con “verità”; nulla è più coinvolgente ed affascinante della verità”. Bellezza e verità, lo stiamo ripetendo, camminano a braccetto in perfetto connubio.
Così l’arte si trasforma in una vera creazione di universi nuovi dove le cose più semplici appaiono in una dimensione inedita e dove l’elemento estetico (il bello) più è emergente, più introduce in esperienze estaticamente appaganti. Arte, verità e bellezza, quindi, si cercano, si integrano ed interagiscono. Occorre reimparare a stupirci e a commuoverci davanti alle cose!
Secondo la filosofia scolastica il bello appartiene all’ordine dei “trascendentali”: si tratta cioè di una proprietà fondamentale dell’essere in quanto tale, per cui è una qualità universale applicabile a tutti gli esseri, al contrario degli “accidentali”, che si riferiscono all’essere singolo e particolare. Il “bello”, inoltre, come stiamo sottolineando, fa unità nell’essere con il “vero” e il “buono”, evidenziando in esso l’originalità di perfezione e la maggiore intelligibilità delle opere che l’esprimono. La bellezza, cioè, è insieme fatto estetico ed etico: riprende e unifica i concetti della filosofia aristotelico-cristiana del “kalòs” (bello), “agathòs” (buono) e “kresiòs” (piacevole). In altre parole la bellezza deve poter essere gustata e goduta nel suo splendore dal soggetto fruitore anche con partecipazione fisica. L’opera bella, qualunque essa sia (una pittura, una scultura, una poesia, un’opera musicale, ecc.), deve poter mettere in relazione proficua l’autore ed il fruitore. Platone direbbe che “la potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello”. (cf. Filebo, 65 A)
Ecco perché l’esperienza estetica viene messa in parallelo con una vera e propria esperienza estatico-mistica, quasi come una “sacra rivelazione”. “Le cose belle, scrive S: Tommaso, sono quelle che una volta viste danno piacere”. Così oggi si comincia a parlare di una “via pulchritudinis” come “via veritatis”, di una “teologia estetica” e di una “teologia della bellezza” con funzione teologico-sacramentale: l’arte è rivalutata come strumento pastorale di annuncio della storia della salvezza. “La pittura – scrive S. Gregorio Magno nel 599 – è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici”. (cf. Epistulae, IX, 209, al vescovo di Marsiglia Sereno).
La creazione artistica, cioè, scopre l’intima, segreta bellezza del mondo e dell’uomo: senza identificarsi con la fede ricrea in qualche modo il mondo trasfigurandolo. L’arte, pertanto, si pone come sapiente mediazione tra l’orizzonte dell’Assoluto e del contingente. La comunicazione e la comunione intima tra opera raffigurata e mistero non si crea fuori di questa intima mediazione e di questo contesto iniziatico. Ha ragione, perciò, Dostoevskij quando scrive “L’arte ha il divino valore di non servire a nulla”, se la fruizione non respira il soffio della fede e non si allarga ad una visione universale. L’opzione per una bellezza oggettiva e universale, non annulla chiaramente il soggetto individuale (l’artista, il fruitore), ma lo coinvolge, pur con la sua introversione e problematicità, in un mondo più complessivo ed universale. Lui stesso diventa uomo universale.
Conclusioni
Mi piace concludere con un passaggio del “Messaggio agli artisti“, uno degli 8 messaggi finali che il Concilio Vaticano II lanciava al mondo l’8 dicembre 1965 nella sua seduta di chiusura: “A voi tutti artisti, che siete innamorati della bellezza e per essa lavorate; poeti e uomini di lettere, pittori, scultori, architetti, musicisti, gente di teatro e di cinema… A voi la chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici…. Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette gioia nel cuore degli uomini… Ricordatevi che siete i guardiani della bellezza del mondo: basti questo a liberarvi da gusti effimeri e senza valori veri, a rendervi capaci di rinunciare ad espressioni strane o malsane”. Da un po’ di decenni a questa parte, bisogna dire che il rapporto tra Chiesa e artisti è ripreso con grande beneficio anche per l’annuncio cristiano.
Il messaggio del Concilio ha trovato piena risonanza e sottolineatura anche nella “Lettera agli Artisti” di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000: “La società ha bisogno di artisti, come ha bisogno di scienziati, di tecnici, di lavoratori, di professionisti, di testimoni della fede, di maestri, di padri e di madri, che garantiscano la crescita della persona e lo sviluppo della comunità attraverso quell’altissima forma di arte che è <l’arte educativa>. Nel vasto panorama culturale di ogni nazione, gli artisti hanno il loro specifico posto. Proprio mentre obbediscono al loro estro, nella realizzazione di opere veramente valide e belle, essi non solo arricchiscono il patrimonio culturale di ciascuna nazione e dell’intera umanità, ma rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio del bene comune”. (n. 4)
E la ricerca del bene comune, manifestazione visibile di una bellezza armonica del creato, è la strada percorribile e la condizione valida per tutti in vista di un umanesimo integrale rispondente alle esigenze dell’uomo di oggi e di domani.
* Vescovo di Mileto – Nicotera – Tropea