La Corte di Strasburgo strappa sull’eutanasia. Intervengono i Vescovi franceci

Il segretario generale della Conferenza episcopale francese, monsignor Olivier Ribadeau Dumas, affida al quotidiano cattolico La Croix il suo commento: "Questa decisione di diritto non ha nulla da dire sul piano etico". Poi la denuncia: "Questa decisione avviene proprio nel momento in cui il Senato sta esaminando di nuovo il progetto di legge sul fine vita".

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha dato il via libera all’eutanasia di Vincent Lambert, il cittadino francese di 39 anni, tetraplegico in stato vegetativo, a cui potrà essere interrotto il trattamento medico che lo tiene in vita. Il tribunale di Strasburgo ha respinto così l’appello dei genitori dell’uomo, confermando il pronunciamento del giugno 2014 del Consiglio di Stato francese, che aveva autorizzato i medici a mettere fine all’alimentazione artificiale. Erano stati infatti i genitori del ragazzo a chiedere alla Corte di sospendere la decisione del Consiglio di Stato e di far trasferire il paziente in una unità di cura a Oberhausbergen, cittadina francese nella regione dell’Alsazia. Nel ricorso, i genitori esprimevano la loro preoccupazione che il figlio Vincent potesse essere trasferito in Belgio per procedere alla sua eutanasia. A chiedere invece l’eutanasia per Vincent era stato il suo medico curante in accordo con la moglie. La corte di Strasburgo ha giudicato conforme ai diritti umani la sentenza del Consiglio di stato, che in Francia è la massima giurisdizione amministrativa. La storia, soprattutto delle persone che si trovano tra la vita e la morte, ha sempre risvolti molto tristi. Nel caso di Vincent Lambert, lo è ancora di più dal momento che la famiglia è divisa in due: da una parte la madre che si è sempre battuta contro l’interruzione dei trattamenti; dall’altra la moglie e il suo medico curante che hanno sempre chiesto di lasciarlo morire. Le reazioni quindi alla sentenza di Strasburgo sono diametralmente opposte. La madre del ragazzo Viviane Lambert parla di “uno scandalo” e aggiunge: “sono triste, ma ci batteremo ancora”. Chi invece esulta è il dottor Eric Kariger che ha sempre ritenuto che continuare ad alimentare Vincent è accanimento terapeutico. Oggi usa parole di vittoria definendo la decisione della Corte di Strasburgo “un piccolo passo per Vincent Lambert, ma un grande passo per la nostra umanità”. Secondo invece i vescovi francesi la decisione della Corte di Strasburgo è un’occasione per “ricordare che non c’è vita che sia utile o inutile e che non si può dire che una vita ha più valore di un’altra. Battiamoci per affermare che la vita, qualunque essa sia, deve essere difesa”. A parlare è il segretario generale della Conferenza episcopale francese, monsignor Olivier Ribadeau Dumas, che affida al quotidiano cattolico La Croix il suo commento. Tre sono i punti ribaditi dal segretario generale: il primo è che non si tratta di una questione di “eutanasia in generale” ma di una persona umana che ha un nome e un cognome. “Non dimentichiamoci che è in gioco la vita di una persona”. Il secondo punto è che “il ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo è quello di giudicare nel diritto ma non di qualificare i fatti dal punto di vista etico. Questa decisione di diritto non ha nulla da dire sul piano etico” e rivela “la complessità della situazione”. La terza questione sollevata dai vescovi francesi è che “questa decisione avviene proprio nel momento in cui il Senato sta esaminando di nuovo il progetto di legge sul fine vita”. Si tratta del progetto di legge presentato dai parlamentari bi-partisan Claeys-Leonetti. “I dibattiti in corso alla Commissione affari sociali del Senato – puntualizza mons. Ribadeau Dumas – riguardanti soprattutto l’alimentazione artificiale, dimostrano che siamo in presenza di un argomento estremamente complesso”. Da qui un invito: “Non si può assolutamente generalizzare casi che sono strettamente individuali. La Corte non dice che dobbiamo fermare le cure di tutte le persone in stato di ‘coscienza minima’. Attenzione a non dedurre dalla sentenza della Cehd conseguenze che non ci sono. In tali casi, il medico ha una responsabilità essenziale così come la famiglia del paziente, che viene consultata dal corpo medico. Questo giudizio non eroga conclusioni generali circa la fine della vita”. I vescovi affidano la loro riflessioni a padre Bruno Saintôt, gesuita, responsabile del dipartimento di etica biomedica del Centre Sèvres di Parigi che tiene subito a precisare che la decisione della corte europea di Strasburgo ha un valore di tipo giuridico e non etico. “Il giudice – spiega il gesuita – dice solamente se la decisione è legale o no. Non dice se è morale o etica”. Nel momento in cui un paziente non è cosciente, spetta al medico decidere in seguito ad “una procedura collegiale che permette una pluralità di punti di vista per affinare il giudizio”. Quello che però si deve assolutamente evitare – mette in guardia padre Saintôt – è quello di generare “l’idea di una decisione giuridica di far morire”.