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La Deposizione dalla Croce con storie della Passione della chiesa delle Cappuccinelle di Cosenza
La chiesa e il monastero sorsero nel 1580 su edifici preesistenti grazie all’opera dell’arcivescovo Petrignani e della “compagnia della Santa Croce in Gerusalemme”. Al suo interno alcune opere d’arte richiamano il titolo originario e i misteri della Passione di Cristo.
Nella pietà popolare, in particolare nel Meridione, la Quaresima e la Settimana Santa rivestono da sempre un ruolo centrale nell’anno liturgico. Il ricordo degli ultimi giorni della missione terrena del Cristo, della sua Passione e Resurrezione ha dato vita in molti luoghi a devozioni, tradizioni ed eventi, lasciando tracce significative anche attraverso opere d’arte e monumenti legati alla celebrazione di questi temi. Non mancano esempi anche in Calabria e nella stessa città di Cosenza, dove, tra i luoghi meno noti, merita qualche cenno la presenza della chiesa originariamente dedicata alla Santa Croce in Gerusalemme, oggi conosciuta anche come chiesa delle Cappuccinelle e curata dalle suore di S. Maria della Provvidenza o Guanelliane. Più volte rimaneggiata, nonostante il trascorrere dei secoli conserva ancora al suo interno diverse opere legate alla commemorazione di episodi della Passione di Cristo. Presenze artistiche che si riallacciano alla stessa fondazione della chiesa, avvenuta alla fine del ‘500, utilizzando però strutture probabilmente già occupate dai padri Cappuccini e, prima ancora, da un luogo fondamentale per la storia della Cosenza medievale: il monastero cistercense di Santa Maria della Motta.
Pochi sanno che la chiesa e l’annesso monastero sorsero ad opera di una importante confraternita che si proponeva nel titolo e nelle opere di rendere omaggio alla Croce di Cristo e alla sua Passione, e che alla sua fondazione contribuì un arcivescovo che resse la cattedra cosentina per pochi anni ma che ricoprì a Roma incarichi di rilievo: mons. Fantino Petrignani, vescovo di Cosenza tra il 1577 e il 1585, noto per avere ospitato nella sua residenza romana anche il celebre artista Caravaggio.
Come attesta un documento del tempo, il 7 giugno 1580 un gruppo di uomini cosentini si riunì e, per la devozione che portavano alla “SS.ma Cruci et passioni d(omi)ni n(ost)ri Iesu Xsti qui eius sanguinem pretiosum effundere misericorditer volui pro nobis peccatoribus”, istituirono una “societas seu confraternitatis”. Della compagnia potevano far parte sia maschi che femmine, sia cosentini che dei casali, che si obbligavano a compiere particolari atti di pietà, tra cui recitare ogni giorno l’ufficio della Croce e il canto delle litanie, aggiungendo durante la Quaresima la recita dei sette salmi penitenziali.
Il ruolo dell’Arcivescovo fu centrale, tanto che nel documento viene indicato come “R.mo mons.re Fantino Petrignano arciv(escovo) de Cos(enz)a fondatore de la nova compagnia et confr(atri)a di S(ant)a Croce In Hierusalem”. Tra i compiti della confraternita vi era quello principale di essere “deputata alla cura del novo mon(aster)o et monache cappuccine”, in cui delle donne avrebbero potuto condurre vita molto austera, professando la regola riformata di Santa Chiara con elementi della spiritualità del ramo francescano dei Cappuccini. L’esperienza monastica si legava a quella avviata a Napoli dalla beata Maria Lorenza Longo nel 1535, con la fondazione del monastero delle Cappuccine di S. Maria in Gerusalemme, ma a livello locale “beneficiava” della vicinanza dei padri Cappuccini, un tempo insediati nello stesso sito e trasferitisi successivamente poco lontano.
Con il tempo il monastero di monache Cappuccinelle si consolidò e venne meno la funzione di supporto della confraternita, che dopo qualche decennio non lasciava più traccia di attività. Come detto, restano ancora però il titolo della chiesa e diverse opere a richiamare le antiche forme di devozione.
Nel presbiterio della chiesa attuale è posta una imponente pala d’altare che sormonta il vecchio altare maggiore in marmo e domina la parete di fondo. È un’opera composta da un dipinto centrale, raffigurante la Deposizione dalla Croce, attorniato da diciotto piccoli dipinti raffiguranti scene della Passione. Il tutto è racchiuso da una cornice in legno intagliato, dorato e dipinto, sormontata da una cimasa che racchiude un ovale che rappresenta il volto di Cristo impresso sul velo della Veronica sostenuto da due angeli.
Generalmente la storiografia locale riconduce l’opera al pittore Gaetano Bellizzi (cfr. PdV. 01/03/2013) vista la presenza del cartiglio che recita “C. Franciscus Cosentini pro sua divotione restaure f. A. D. 1841 – Cajetanus Bellizzi pingebat”, ma questo attesta chiaramente che Bellizzi intervenne nel restauro dell’opera.
Il dipinto, infatti, manifesta uno stile nettamente più antico. Una interessante testimonianza, che potrebbe gettare luce sulla storia dell’opera, è la fugace descrizione che ne faceva il visitatore apostolico mons. Andrea Pierbenedetto nel 1628 nella sua relazione. Descrivendo l’altare maggiore della chiesa, infatti, Pierbenedetto accennava anche all’immagine che vi era venerata: “Icon cum Christo de Croce in sinum Matris fuit depositum, coloribus continet super telam expressum, mysterijsque passionis circum circa depictis fulcitur” (trascr. Tucci 2012). L’altare presentava dunque un dipinto su tela rappresentante Cristo deposto dalla Croce sul grembo della Madre, iconografia nota anche come “la Pietà” e che ancora oggi costituisce la parte centrale del dipinto. Tutto attorno ad essa, come oggi, erano rappresentate delle scene della Passione: “mysterijsque passionis”. Ipotizzando verosimilmente che si tratti della stessa opera, la sua realizzazione sarebbe dunque precedente al 1628. Anche la cornice lignea dell’opera, del resto, rimanda ai lavori di esperti intagliatori locali dei primi del ‘600.
Nel dipinto centrale, la Vergine con il corpo del Cristo sul grembo rappresentano il fulcro della composizione. Accanto ad essi sono disposte le altre figure che popolano l’opera: l’apostolo Giovanni e probabilmente la Maddalena sono chinati a sinistra e a destra mentre reggono le mani del Cristo morto. Dietro di loro sono presenti le altre pie donne in contemplazione e delle figure maschili, tra cui due soldati in armatura. Tutto è sovrastato dalla Croce che, seppur in secondo piano, domina la parte alta del dipinto, chiaro rimando al titolo della chiesa.
Meritano attenzione anche i diciotto piccoli dipinti che attorniano la scena principale e che illustrano vari momenti degli ultimi giorni della vita di Cristo. Dal punto di vista stilistico, nonostante le lacune, i dipinti piccoli hanno conservato meglio il loro aspetto originario e lasciano intravvedere la mano di un ignoto artista meridionale di buona qualità, mentre la tela centrale mostra tutto il peso dei restauri avvenuti nel corso dei secoli.
Quella presente sull’altare maggiore non è l’unica opera d’arte della chiesa a richiamare scene della Passione di Cristo. Lungo le pareti della chiesa sono presenti degli apprezzabili affreschi raffiguranti i misteri del Rosario con alcune scene superstiti dei misteri dolorosi. Tra questi sono ben conservate le rappresentazioni della Crocefissione e dell’agonia di Gesù nell’Orto degli Ulivi, cui si affianca una particolare e dettagliata Cattura di Cristo. Il piccolo ma importante museo recentemente allestito all’interno della struttura conventuale conserva inoltre ulteriori testimonianze, tra cui due busti seicenteschi raffiguranti l’Ecce Homo, una tela del ‘700 raffigurante l’Addolorata e l’Arcangelo Raffaele sulla quale è applicato un crocefisso in cartapesta, e soprattutto un altro pregevole Crocefisso ligneo che la storiografia accosta all’attività dello scultore francescano fra’ Stefano da Piazza Armerina.