La grande “fuga dei cervelli”

La Fondazione Nord Est analizza le cause di un fenomeno ormai annoso nel nostro Paese. 

Non è facile quantificare di preciso l’entità della cosiddetta “fuga di cervelli” dall’Italia all’estero, cioè quanti siano quei giovani fino ai 34 anni che fanno le valigie e se ne vanno all’estero a cercare miglior fortuna. Comunque, secondo uno studio presentato al Cnel dalla Fondazione Nord Est, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Il problema vero è che una fetta consistente di questa gioventù era assai ben formata: laureati di qualità (medici, ingegneri…) su cui il Paese aveva fatto un bell’investimento, ma i cui frutti saranno goduti da Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Francia. Queste le mete più gettonate.

Altro problema: questa diaspora non è compensata da altrettanti arrivi dall’estero. Sempre quel rapporto segnala che arriva un giovane straniero con ottima formazione ogni 8 italiani espatriati. La ragione è chiarissima: non ci sono in Italia le condizioni migliori per sviluppare una carriera lavorativa. Né per gli italiani, né per gli stranieri. Retribuzioni iniziali quasi offensive, zero spazio ai più giovani in azienda, carriere lentissime, tassazione asfissiante.

Giusto quindi cercare fortuna laddove si sa valorizzare sia la competenza che la freschezza. E chiaramente ha poco senso per un neo-medico tedesco venire a lavorare qui in Italia – a Bolzano ad esempio – laddove guadagnerà la metà che a casa propria.

Il tutto s’inserisce in una situazione che si sta facendo sempre più drammatica di semestre in semestre: mancano lavoratori nel Belpaese solitamente afflitto da disoccupazione cronica. Anche stimolando una maggiore partecipazione femminile al lavoro (già, ma con quali qualifiche?) o trascinando i celebri Neet (quelli che per varie ragioni non stanno facendo nulla) in fabbrica o negli uffici, il rapporto segnala un buco di 120mila lavoratori ogni anno. E da qui al 2028 – dopodomani – la voragine sarà complessivamente pari a un milione 300mila addetti. Un’immensità.

Il recente Decreto flussi ha aperto le porte a quasi mezzo milione di lavoratori stranieri in tre anni: il via libera più imponente da decenni, ma già valutato da subito come insufficiente. Ma qui stiamo facendo discorsi con lo spannometro: che tipo di lavoratori stranieri serviranno all’Italia del futuro?

Di tutti i tipi: solo che badanti e autisti in qualche modo si possono trovare o inventare. Infermieri e ingegneri no. E senza infermieri ad esempio non funzionano le case di riposo o l’assistenza domiciliare.

In una recente selezione ai corsi universitari per infermieri in una città del Nord, su 98 posti disponibili si sono presentati 80 candidati: la selezione quindi è stata totalmente inutile, è passato anche chi aveva preso un punto su 100 alla prova d’esame. E poi non tutti gli 80 arriveranno alla meta. Speriamo quindi nella rapida invenzione di robot che sappiano fare iniezioni e medicazioni.