Cultura
La mostra “Reversio” sui reperti di Timpone della Motta tornati in Calabria
Statuette femminili, brocche d’acqua, vasi e pissidi tra le scoperte riemerse in quest’area geografica
La storia del patrimonio archeologico calabrese è segnata da diversi episodi di furto di oggetti preziosi. Un caso interessante riguarda una serie di reperti appartenenti al sito di Timpone della Motta a Francavilla Marittima, nell’Alto Jonio cosentino, trafugati negli anni passati e ora ritornati a Sibari, grazie al lavoro congiunto svolto da alcuni esperti archeologi dell’Istituto Danese di Roma e dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Sabato 18 gennaio c’è stata l’inaugurazione dell’esposizione “Reversio” presso il Museo archeologico nazionale della Sibaritide a Cassano all’Jonio, finalizzata a narrare le storie dei saccheggi e dei recuperi che hanno riguardato il santuario di Timpone della Motta. A partire dagli anni sessanta timbaroli senza scupoli hanno depredato quest’area, rivendendo i manufatti prima in Svizzera e poi a famosi musei europei e americani. L’Arma dei Carabinieri ha condotto una serie di indagini, che hanno appurato la connessione esistente tra gli oggetti presenti sul mercato illegale estero e quelli riportati alla luce nello scavo calabrese. Dagli anni novanta e, a più riprese, dal 2001 al 2018 i diversi cimeli sono stati riportati a Sibari. L’esposizione presenta quei reperti che sono stati ricomposti, attraverso un’operazione di assemblaggio dei frammenti illecitamente rubati e di quelli riemersi sul posto. I pezzi che hanno viaggiato in Europa e in America, prima del loro rientro in terra calabra, hanno stazionato presso grandi musei tra cui l’Institut für Klassische Archäologie di Berna, il J. P. Getty Museum di Malibù e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Parliamo di statuette fittili di figure femminili, probabilmente immagini di Athena o di qualche sacerdotessa, di vasi di diverse fogge e decorazioni come aryballoi, oinochoe, lekythoi, brocche, pissidi, di resti di un toro in terracotta e di altro ancora.
Il sito archeologico di Timpone della Motta si trova a due chilometri a sud-ovest di Francavilla Marittima, un comune della provincia cosentina che vanta una storia plurimillenaria risalente all’epoca della Magna Grecia. Nel XII secolo questo territorio fu definito “Divisa” divisoria dei feudi di Cassano e Cerchiara, poi “Tenimento” perché ricoperto da boschi e selva, quindi “Casale” per la presenza di case di campagna dipendenti da un centro principale. Nel XV secolo Francavilla Marittima rientrò tra i possedimenti dei Sanseverino, i principi di Bisignano nonché feudatari di Cassano all’Jonio. Il Sito di Timpone della Motta porta il nome dell’omonima collina su cui sorge, situata sulla sponda sinistra del torrente Raganello. Registra frequentazione sin dall’epoca protostorica (secoli IX-VIII a.C.) quando l’area era abitata dagli Enotri che vivevano in delle capanne sui terrazzi, posti lungo la sponda sinistra del Raganello, e seppellivano i morti nella necropoli di Macchiabate. Questa popolazione italica fu ben presto influenzata dai coloni greci della vicina Sibari, che conquistarono il sito e l’accorparono alla chora (territorio) sibarita a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C. Sull’Acropoli di Timpone della Motta era presente un santuario dedicato alla dea Atena, venerata dagli abitanti del luogo con doni come brocchette (hydriskai) piene d’acque e fiocchi di lana. La scoperta di un’iscrizione attestante le offerte, devolute a questa divinità dall’atleta olimpionico Kleombrotos, confermerebbe la funzione rituale del luogo. Portare acqua ad un dio richiama alla memoria la leggenda di Epeo, che abbeverò gli eroi durante la guerra troiana con il soccorso della stessa Atena. Il sito di Timpone della Motta è stato identificato con la città di Lagaria, antica città della Lucania, situata tra Sibari e Policoro, citata da Strabone, in cui sostò lo stesso Epeo, costruttore del cavallo di Troia. In quest’area archeologica le abitazioni greche erano disposte lungo i terrazzi della collina, sull’acropoli svettavano invece tre templi e c’erano anche sistemazioni per i pellegrini. L’aggiunta di uno strato di ghiaia, per creare un terrazzo artificiale che permettesse l’edificazione di un nuovo tempio, rappresenta la fase successiva dello sviluppo di questo territorio. Molto probabilmente, al culto di Atena si aggiunsero altre pratiche rituali destinate al dio Pan e alle ninfe, ma l’arrivo dei Brettii portò alla distruzione del santuario. Questi ritrovamenti tornati a casa forniscono informazioni utili alla comprensione dell’arte, dell’artigianato, della religione, del commercio e della moda dell’alta età arcaica. Il rinvenimento di pezzi di telaio sarebbe prova dell’intensa attività tessile che caratterizzava questa località, in aggiunta alla presenza di resti di animali e di ceramica. La mostra deve indurre a riflettere sull’importanza della tutela del patrimonio culturale, da cui derivano la custodia e la prosecuzione della memoria e delle nostre radici. “Uno dei danni più gravi prodotti dagli scavi clandestini è la distruzione dei contesti di provenienza, che rende definitivamente irrecuperabili le informazioni storichedi cui gli oggetti sono portatori – ha dichiarato Filippo Demma, direttore dei Parchi archeologici di Crotone e Sibari e curatore della mostra -. Il caso che si presenta a Sibari è importante anche perché costituisce un recupero di conoscenze, reso possibile dall’infaticabile lavoro dei Carabinieri e di colleghi come Jan K. Jacobsen ed il suo gruppo. È importante anche sottolineare che il tema dell’indagine e dei conseguenti rientri, e tutte le storie di arte, commercio, religione, moda, che possiamo raccontare attraverso i reperti si avvalgono di un allestimento che sfrutta molto la comunicazione visuale: ricostruzioni virtuali ed animazioni contenute in brevi e curatissime animazioni video collegate a ciascuna vetrina spiegano al visitatore le principali tematiche, rendendo il percorso stimolante ed anche divertente”.