La Natività come umanizzazione del divino e atto di amore per la vita

La madre che tiene in braccio il suo piccolo è l’immagine più tenera da cui scaturiscono tutti gli affetti

Il Natale è la solennità che ci ricorda l’importanza della vita, grazie a quel meraviglioso atto che è la maternità, la più umana delle condizioni. Nella Natività la maternità assume una valenza religiosa, perché segna l’arrivo di quel neonato che irradia luce, è segno di speranza e porta la salvezza. Nel suo nuovo libro intitolato “Natività. Madre e Figlio nell’arte” (La nave di Teseo) Vittorio Sgarbi si cimenta nel racconto della storia più antica e più bella di tutta la cultura cristiana, quella storia che si fonda sul rapporto tra la Vergine Maria e Gesù. Lo storico d’arte intraprende un vero e proprio viaggio nei secoli, mostrando come la Natività sia stata illustrata da tanti maestri aventi stili e tecniche diverse. Da Duccio di Buoninsegna a Giotto, da Ambrogio Lorenzetti a Piero della Francesca, da Leonardo da Vinci a Raffaello, da Correggio a Moretto da Brescia e a Carlo Maratta, fino ai pittori dell’otto e novecento, la nascita viene dipinta come essenza generatrice di ogni cosa, come semplice atto che riassume il legame affettuoso tra una madre e il proprio bambino, di cui la religione cattolica si fa paladina innalzandolo al rapporto dell’uomo con Dio. Nel momento stesso in cui vive la maternità, Maria non si erge a divinità suprema simile alle grandi sacerdotesse del mondo pagano, ma si presenta come un’umile madre che coccola il suo piccino. “La maternità di Maria non è un tema religioso ma un tema umano. Ed è qui la forza del cristianesimo: la nostra religione coincide con la vita, si sovrappone alla vita fin dalle sue origini” scrive Sgarbi nell’introduzione del libro. L’autore rammenta che la Natività è anticipata da due momenti fondamentali: l’Annunciazione, che è l’inizio di tutta la storia, e la Concezione che è lo stato implicito in cui si trova ancora il bambino prima della sua venuta al mondo. La Madonna del Parto (1455) di Piero della Francesca raffigura una ragazza con un’aria semplice e spavalda, con la pancia rigonfia e la mano che indica ciò che sente. Il pittore mostra lo scorrere del tempo, che porta all’aumento della pancia. La figura è emblema di tutte le donne e simboleggia la vita. Da quel momento in poi si genereranno, nella lunga storia dell’arte, tante “Madonne col Bambino” aventi una sacralità assoluta. Anche nell’atto finale della Passione di Cristo ritroviamo il tema della maternità, con una madre che sta sotto la croce e non abbandona il figlio morente. È il caso della Crocifissione (1513) di Gaudenzio Ferrari nella cappella più alta del Sacro Monte di Varallo, ma anche alle varie Pietà di Michelangelo. Accanto a grandi nome quali Giotto, Cimabue, Rubens e Perugino, Sgarbi focalizza la sua attenzione sulle opere di artisti meno conosciuti. Vogliamo citare solo alcuni degli esempi proposti dall’autore. Duccio di Buoninsegna (Siena 1255 – Siena 1318) ritrae la maternità divina nell’opera Maestà (1308-1311), nella quale è riscontrabile il riferimento alla tradizione bizantina. Il suo intento è quello di perfezionare sempre di più la forma come via per glorificare Dio. Quella di Duccio è “la più fedele riproduzione della natura sacra della madre di Dio, icona suprema” riferisce Sgarbi. “La sua pittura divinizza la maternità” si legge ancora. Ambrogio Lorenzetti (Siena 1290 – Siena 1348) dipinge la “Madonna del latte” (1325), definita dal pittore preraffaellita, Charles Fairfax Murray, “la più bella tavola di Ambrogio esistente”. Il pittore senese rappresenta Maria a mezzo busto e in atteggiamento serio, con il bambino che succhia il latte dal suo seno e volge uno sguardo scherzoso a chi lo sta osservando. Riprendendo la tradizione bizantina della Vergine Galaktotrophousa, Ambrogio effettua quell’operazione di umanizzazione delle immagini sacre per affermare l’umanità di Cristo attraverso la maternità. Carlo Maratta (Camerano 1625 – Roma 1713) dipinge nel 1650 la “Natività” intesa come momento di intimità. In un’atmosfera notturna la donna avvolge, protegge e accoglie dolcemente Gesù, mentre cinque angeli osservano la scena. Il buio fa risaltare i colori di Maria (blu e azzurro) mentre i cherubini ricevono la luce del Messia venuto al mondo. “L’immagine è essenziale, è la pura emozione della Vergine, la sua beatitudine nell’abbraccio, il farsi luce diffusa, che rende il suo corpo fisico il centro di un fuoco che non si può spegnere” scrive Sgarbi. “Non è la realtà, è il sogno della maternità annunciata” continua il critico. Ciò che l’angelo le aveva predetto sta per verificarsi, per cui la natività diventa realizzazione di un sogno. Nella maternità il divino diventa umano e l’umano racchiude in sé segni della divinità. Qui sta il segreto della vita che combina entrambe le dimensioni.