La radio, amica discreta

Sottofondo discreto delle nostre giornate, voce che accompagna i pensieri.

Mi consegno, e con fierezza: faccio parte di quei 35 milioni di italiani che ascoltano la radio. Non possedendo la televisione, la modulazione di frequenza come sottofondo costante della propria vita è avere una persona in più in casa. Vuol dire che dovunque sei c’è sempre una voce, una melodia che ti accompagna senza pretesa di ascolto o di risposta. Con la radio si pensa, si sorride, ci si informa, ci si intrattiene, si prega persino.

Si ascolta la radio appena alzati. Il primo notiziario spesso coincide con la sveglia, quando le parole ci raggiungono mentre ancora dobbiamo capire che giorno è. Lo cantava già Eugenio Finardi nel lontano ’76: “Con la radio si può scrivere leggere o cucinare non c’è da stare immobili seduti a guardare, forse è proprio quello che me la fa preferire, è che con la radio non si smette di pensare”. La radio preserva la nostra indipendenza: non ci rende zombie ipnotizzati davanti a uno schermo, per quanto piccolo sia, ma ci accompagna in auto, al lavoro, davanti allo specchio del bagno. È quella cosa che fa cose da sola, ma con noi, mentre noi facciamo qualcosa d’altro. Una compagna discreta, al netto di conduttori dall’ego imbarazzante che strabordano dal microfono.La fruizione della radio è diversa da quella degli altri media. Basta pensare ai notiziari: non puoi saltare le pagine o cliccare alla notizia successiva, puoi solo ascoltare e aspettare, devi immaginarti le immagini che non vedi e saper cogliere l’essenzialità di un fatto necessariamente riassunto in una manciata di tempo, quando va bene pochi minuti, dove un editoriale vale cento secondi. Oppure, all’opposto, puoi goderti il tempo lungo di una trasmissione di approfondimento, con ritmi di un respiro così ampio che praticamente gli ospiti ti sembra di averli nel salotto di casa. E se ti perdi qualcosa cui tieni c’è sempre l’opzione di recupero, con il podcast da scaricare e ascoltare in momenti diversi.E poi, c’è un’altra cosa, non meno importante. In un volume di qualche anno fa ancora molto attuale, “Psicologia della radio” (Effatà editrice, 2003), Oddone Demichelis e Cinzia Manfredi scrivono: “La radio attiva in noi profonde emozioni: possiamo ascoltarla perché felici di un momento della nostra giornata e vogliamo condividerlo con altri, oppure l’accendiamo nel tentativo di evitare la solitudine in un periodo di tristezza, oppure ancora perché stanchi e annoiati, desideriamo qualcosa che ci stimoli”. È tutto vero.

Quando il veleno dell’inedia toglie desideri e appetito, quando la noia o il malessere si insinuano nel cuore, quando tutto sembra girare per il verso sbagliato o anche per quello giusto, c’è sempre una canzone che lo racconta e sembra partecipare della nostra vita. Sì, perché c’è l’informazione, la notizia, la conversazione, il dibattito, le telefonate degli ascoltatori, ma prima di tutto la radio è la colonna sonora delle nostre giornate. Più efficace di qualunque playlist da noi preconfezionata, ha il vantaggio dell’imprevedibilità: quale sarà la prossima canzone? Perché va detto che quando il Liga ha scritto e cantato che “la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei”, ha dato voce al pensiero di tanti. E non per Neil Young (ognuno ha il suo), quanto per il fatto che davvero la radio ha il potere di trasmettere la canzone giusta al momento opportuno, quella che trasforma il tuo vissuto di quel momento nella scena di un film. Per dire, un’inaspettata Norah Jones la mattina mentre fai colazione, spalmando la marmellata sul pane tostato mentre fuori il cielo promette l’ennesimo sabato di solitario azzurro, è un momento così Bridget Jones (no, non sono parenti) da dilatarsi molto oltre i tre minuti della canzone. Che se in quel momento si presentasse al citofono un mister Darcy qualunque ci si potrebbe persino credere. Ma tranquilli, dura poco. Meno male che poi passano i Rolling Stones.