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La rinascita di Palmira non solo materiale, ma morale
L'antica città romana immersa nel deserto siriano è stata liberata. Daesh è stata messa in fuga dall'esercito di Bashar al Assad e dall'aviazione russa. Ora è tempo di recuperare e ricostruire tutto ciò che la furia cieca dello Stato Islamico ha distrutto. Ma non basta. Isber Sabrine, giovane archeologo siriano, fondatore dell'ong "Heritage for peace" è convinto: “La ricostruzione di Palmira non dovrà essere solo materiale ma anche morale”. Il suo pensiero, infatti, è anche per la popolazione della città, 70mila persone che oggi hanno bisogno di aiuti concreti. La cura e la difesa del patrimonio siriano "è un atto dovuto a chi è morto per mano dei terroristi. Il loro ricordo non può essere cancellato così come le nostre radici storiche comuni”.
Ci sono volute tre settimane di campagna militare condotta dall’esercito del presidente siriano Bashar al Assad e dall’aviazione del suo alleato russo Vladimir Putin, per liberare l’antica città romana di Palmira, caduta nelle mani dei miliziani dello Stato islamico nel maggio dello scorso anno. Millenni di storia razziati, polverizzati dalla furia dell’Isis, antiche vestigia trafugate e vendute al mercato nero per finanziare una violenza senza senso. Così come era accaduto mesi fa in Iraq a Mosul, Nimrud e Ninive. Uno sfregio mai visto fino ad oggi. Le immagini di Palmira restituite dai droni mostrano templi abbattuti, tombe a torre romane fatte esplodere, l’arco di trionfo cancellato. Un lavoro di ‘pulizia’ che poteva essere ancora più drammatico e devastante se Khaled Asaad, storico direttore del sito archeologico e tra i massimi esperti siriani di antichità, non avesse avuto il coraggio di difendere Palmira, fino alla decapitazione, rifiutando di rivelare ai suoi aguzzini il luogo dove aveva nascosto molti reperti prima dell’arrivo del Califfo.
Simbolo dell’identità siriana. “Cancellare le radici del passato come Palmira significa minare il futuro della Siria – dichiara senza mezzi termini Isber Sabrine, trentunenne archeologo siriano – Palmira è un simbolo dell’identità siriana, dunque rappresenta un valore che trascende la dimensione culturale e artistica”.
“Entrato in un perverso gioco di poteri contrapposti” il sito archeologico immerso nel deserto siriano viene oggi celebrato in tutto il mondo e “sono in tanti – dice l’archeologo, fondatore dell’ong “Heritage for Peace” con sede a Girona (Spagna) – a rivendicare il merito di averlo salvato. L’Onu, l’Unesco, la Russia e il presidente Assad che in questo modo ha distolto l’attenzione della comunità internazionale dalla guerra civile in corso nel paese e dalle atrocità commesse”.Ricostruzione materiale. La liberazione di Palmira ha destato grande emozione e già si parla di ricostruzione. Sabrine è certo: “la sua ricostruzione non dovrà essere solo materiale ma anche morale”. Ogni proposta di recupero e conservazione resta valida, come per esempio “la tecnica del 3D con cui si potrebbe ricostruire i templi di Bel e Baal Shamin che hanno subito danni gravissimi”. La sfida alla barbarie iconoclasta di Daesh si vince anche con “il dispiegamento dei ‘caschi blu’ della cultura italiani, una task force composta dai carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale e da civili specializzati”. Un’idea, approvata dall’Unesco, lanciata dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che in tal modo intende responsabilizzare la comunità internazionale nei riguardi di siti artistici e culturali nel mirino del terrorismo internazionale. “Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere il sito in piedi ammette il giovane archeologo siriano – ma serve subito capire con esattezza cosa è stato distrutto e pensare a un primo intervento”.
Ricostruzione morale. Ma c’è anche una “ricostruzione morale” che sta a cuore a Sabrine e alla sua ong “Heritage for Peace”, nata alla fine del 2011, con lo scopo di proteggere il patrimonio della Siria, facendo dialogare le parti in lotta chiedendo loro di preservare l’eredità comune di arte e di storia. “Tutti vogliono contribuire al recupero di Palmira – sottolinea l’archeologo quasi a togliersi dei sassolini dalle scarpe – ma trovo vergognoso che nessuno, a partire dai media internazionali, abbia parlato di dare sostegno concreto alla gente di Palmira, ai suoi 70mila abitanti. Molti sono fuggiti dalla città e ora devono rientrare nelle loro case e nelle loro terre. Hanno bisogno di aiuto materiale. Giusto recuperare il sito, ancora più giusto e urgente è curare la gente di Palmira. La riconquista di Palmira – ribadisce con voce ferma – ha dei risvolti umani che non dobbiamo dimenticare. Riedificare Palmira significa anche ricostruire il cuore della sua gente”.
Non solo Palmira. Il patrimonio artistico e culturale siriano non è solo Palmira. Sabrine lo ripete senza sosta: “Ci sono delle zone che sono in condizioni peggiori di Palmira, sito che l’Isis ha usato molto bene come propaganda per la sua risonanza mondiale. È urgente proteggere tutto il patrimonio siriano ma senza strumentalizzazioni politiche. Esso appartiene alla Siria e fa parte dell’eredità di tutti i popoli, senza distinzione alcuna”. “Spero che questo punto sia tenuto in debita considerazione, nei colloqui in corso a Ginevra, sia dal Regime che dall’Opposizione. Palmira non può essere strumentalizzata per giochi di potere. La tregua in atto sta dando dei frutti ma serve intensificare gli sforzi per salvaguardare tutto il nostro patrimonio artistico. La nuova Siria nasce anche da qui”. Da Palmira giunge un insegnamento: “i terroristi attaccano il mondo distruggendo il suo patrimonio, la sua cultura, le sue radici. Ciò che è successo in Siria può accadere in Nigeria, in Somalia, in Kenya, nelle Filippine o altrove.
Difendere il nostro patrimonio – conclude Sabrine – è un atto dovuto a chi è morto per mano dei terroristi. Il loro ricordo non può essere cancellato così come le nostre radici storiche comuni”.