La serva di Dio Irma Scrugli testimone di amore

A trent'anni dalla morte brilla ancora meglio la figura di questa donna santa

Il 22 settembre del 1994 si spe­gneva a Tropea la serva di Dio Irma Scrugli. Terminava così, a 87 anni, la vita terrena di una donna straordinaria che ha se­gnato in maniera indelebile la vita ecclesiale e sociale della cittadina tirrena, conosciuta in tutto il mondo per la bellezza del suo mare e del suo borgo. Nonostante la mestizia che la morte porta con sé, quel tardo pomeriggio, in tutti coloro che si trovavano presenti attorno al suo letto si avvertiva una sensazione di pace e di gran­de serenità. La morte di Irma, infatti, non era il tramonto tri­ste e senza speranza della sua vita, ma l’aurora di un nuovo giorno: iniziava il giorno senza fine, da lei sempre atteso e so­gnato, ossia il momento di ri­splendere dinanzi allo “Sposo che viene”. La storia di Irma è stata la vicenda umana e spi­rituale di una giovane donna, dallo sguardo luminosissimo e penetrante, dai gesti signorili e da uno spiccato senso ar­tistico che a 23 anni incontrò un santo sacerdote tropeano, don Francesco Mottola, bea­tificato dal Papa il 10 ottobre 2021, dando così inizio ad una avventura di fede e di carità che lascerà nel tessuto sociale e religioso calabrese una trac­cia indelebile.

Sostenuta dal Beato, Irma comprese che il Signore la chiamava non a consacrarsi nel segreto di un Monastero, ma a fare della cella interiore della sua anima “il Carmelo” e continuare a vivere per la strada dove il Signore le chie­deva di andare per incontrare e servire i fratelli più poveri e bisognosi.

Così dall’intuizione profetica di don Mottola e di Irma nascerà quello che nel 1975 diventerà un istituto secolare di diritto Pontificio, le Oblate del Sacro Cuore. Di questo istituto, Irma sarà non solo la cofondatrice, ma anche la sorella maggiore fino a pochi anni prima della sua morte, vivendo in modo unico e profondo, con una dolcezza e tenerezza speciali, il dono della maternità spiri­tuale e aprendo il suo cuore a tutti coloro che bussavano alla sua porta. Nascono così le pri­me opere di carità sociale fin quando la Provvidenza divina non rese possibile la realizza­zione di un sogno: quello di una casa grande, una casa per accogliere tutti, una casa bella prospiciente il mare, dall’oriz­zonte largo e profondo, come il Cuore di Dio. E sarà proprio la prima Casa della Carità, aperta l’8 dicembre del 1936 a Tropea, lo spazio e il luogo dove Irma vivrà il suo aposto­lato oblato servendo la carne franta dei malati, degli anzia­ni e dei sofferenti e donando loro il fuoco della carità splen­dente. E pian piano, il mira­colo dell’amore comincia ad allargarsi perché la povertà è sempre più grande e i bisogni sono tanti. Sorgono altre case della carità nei paesi limitrofi e nel 1956 si apre a Vibo Valen­tia anche la casa per disabili, divenuta oggi, a distanza di 68 anni, un importante centro di riabilitazione estensiva, con­venzionato S.S.R. (servizio sa­nitario regionale). Nelle case, tutti troveranno il pane mate­riale, ma soprattutto il sorri­so e il conforto di una carezza materna.

A guidare le case sarà sempre Irma, con la sua dolce fermez­za, dando conforto, calore e affetto agli anziani ammalati, ai bambini di strada, alle bam­bine abbandonate, lasciando dopo la sua morte una ere­dità preziosa per la famiglia Oblata e per la Chiesa intera. Il compianto teologo calabre­se, Mons. Ignazio Schinella, non ha dubbi quando scrive: “In Irma, diviene storia quo­tidiana il dono della fede, la luce della fede, che diventa come la lampada eucaristica, una luce che splende per gli altri, a cominciare dai “nuju du mundi”, fino al fiore del campo che quando viene calpestato non risponde con gli aculei, ma con l’effluvio e il sospiro del profumo”.

E un altro sacerdote del vibo­nese, lo storico don Pasquale Russo evidenzia: “Se non ave­te potuto mai ascoltare Irma, avete certamente perduto un incrocio con Dio nella vostra vita. Sembrava che leggesse altrove, tra spazi infiniti, narra­zioni di speranza, con gli occhi trasparenti che si adagiavano sulle miserie umane per di­vinizzarle, come ripeteva se­guendo l’insegnamento mot­toliano. Dentro la sua voce abitava un’anima contemplati­va, che non leggeva l’esterno, ma l’interiore della sua vita, delle persone, delle realtà vi­sibili e rivelava ciò che agli altri non appariva, ciò che gli altri non sapevano decifrare”.

La fama di santità di una testi­mone di fede e di amore come Irma non è rimasta nascosta, anzi dopo la sua morte è cre­sciuta sempre di più e il suo sepolcro presso il Cimitero locale è meta di pellegrinag­gi e di preghiera. Proprio per questo il Vescovo Luigi Renzo, nel 2014 ha aperto la Causa di beatificazione, affinché sia ri­conosciuta dalla Chiesa la san­tità di questa donna del Sud, che è stata umile con gli umili e grande con i grandi perché ha saputo amare tanto.