La Stauroteca, il tesoro della cattedrale di Cosenza

Si è svolta nei giorni scorsi ‘Incroci Preziosi’ la giornata studio interamente dedicata alla preziosissima croce bizantina

Ottocento anni è un tempo davvero lungo in cui è racchiusa gran parte della storia della comunità cosentina, dove la Cattedrale riveste un ruolo centrale e attivo. Ricostruirne la storia, ampliare la conoscenza ed accrescere la consapevolezza dell’importanza del patrimonio culturale è anche l’obiettivo degli appuntamenti di questo importantissimo compleanno, che offrono spunti multidisciplinari di studio e di approfondimento. E, proprio venerdì pomeriggio al teatro Alfonso Rendano si è svolta ‘Incroci Preziosi’ una giornata studio sulla stauroteca, inserita nel fitto calendario di eventi programmati dalla Cattedrale di Cosenza e dall’associazione 8centoCosenza aps, a cura degli architetti Tiziana Pulice e Nicola Ruggieri e con la collaborazione di don Salvatore Fuscaldo, direttore del Museo Diocesano, dove la croce bizantina è al momento custodita. All’incontro sono intervenuti il sindaco Franz Caruso, la consigliera Pina Sturino per la Provincia di Cosenza, la prorettrice dell’Unical Patrizia Piro, l’architetto Nicola Ruggeri per la Soprintendenza e la presidente dell’associazione 8centoCosenza aps Antonella Salatino.

Dopo i saluti istituzionali ad introdurre i lavori l’amministratore apostolico mons. Giuseppe Piemontese, alla sua prima uscita ufficiale che, ringraziando i relatori e i presenti, ha rivolto «un pensiero grato e affettuoso a monsignor Nolè che non è più tra noi e avrebbe dovuto guidare questo momento perché tanto si è adoperato per l’ottavo centenario e per tutte le iniziative ad esso collegate». «La comunità di Cosenza, la sua cattedrale, la stauroteca, sono tre parole che si incrociano, come dice il tema dell’incontro, e che nei significati manifestano il senso di questa grande ricchezza che la città e la diocesi vivono da 800 anni: 800 anni di storia, di fede, di orgoglio e gloria» – ha aggiunto. «Stasera la stauroteca verrà analizzata soprattutto nella sua ricchezza e nella sua dimensione di bellezza artistica, ma a noi – ha sottolineato monsignor Piemontese – interessa anche per la reliquia della croce di Cristo che è in essa custodita e che viene presentata all’adorazione dei fedeli» – ha concluso.

A seguire l’intervento della professoressa Stefania Paone, associato di Storia dell’arte medievale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, che ha ripercorso la storia delle vicende costruttive della cattedrale consacrata nel 1222, ma con un’origine ben più antica risalente all’età paleocristiana, da sempre ostacolata sia dalla penuria dei dati documentari sia dalle molteplici manomissioni di epoca moderna, e ha illustrato poi tutti i successivi interventi di restauro cominciati con la campagna della fine dell’Ottocento, la più invasiva, e proseguiti a più riprese fino al 1945.

Il cosentino Giuseppe Petralia, professore ordinario di Storia medievale nell’Università di Pisa, nella sua relazione ‘La Chiesa, il Regno, la città: Cosenza in età sveva’ ha invece tracciato, a ottocento anni di distanza dal 30 gennaio del 1222, le premesse storiche e ricostruito il contesto dell’avvenimento.

Marco Collareta, professore ordinario di Storia dell’Arte Medievale all’’ Università di Pisa nel suo intervento ha evidenziato il valore iconografico del prezioso reliquiario, analizzando con suggestivi rimandi iconografici delle rappresentazioni presenti nella croce cosentina. Il normalista ha svolto un racconto della stauroteca attraverso il punto di vista attento dello storico dell’arte, sottolineando le relazioni dell’opera e il contesto storico in cui venne realizzata.

A chiudere l’incontro Paolo Belluzzo, restauratore dell’Opificio delle Pietre Dure, che nel suo intervento ha illustrato il restauro condotto sulla Stauroteca negli anni ‘80 secondo l’ approccio tecnico  individuato  da Umberto Baldini   che ne  fu direttore dal 1975 al 1983. E, lo studio tecnologico sui materiali grazie allo smontaggio integrale, ha avvalorato ancor di più l’ipotesi della sua collocazione nella produzione delle officine reali palermitane, del XII-XIII secolo