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La storia del mediano di Mauthausen
L'ultimo libro del giornalista cosentino Francesco Veltri ripercorre la vita del mediano torinese. Dalla giovanili granata all'esperienza in maglia viola fino ai tre anni in rossoblù, prima del tragico epilogo di Mauthausen.
Inverno 1915. C’è un uomo, a bordo di un campo, che osserva un ragazzino correre appresso un pallone. Ha notato qualcosa di diverso rispetto agli altri, un di più tale da valergli la sua attenzione. Fa freddo, ma sui campi di periferia non si arresta la voglia di calcio, agli albori del suo successo planetario. Chi guarda è Heinrich Bachmann, capitano del Torino del secondo decennio del Novecento. L’osservato è Vittorio Staccione, poco più che undicenne. Bachmann si avvicina e gli propone: “vorresti giocare con i granata”. E cosa risponderebbe uno in tenera età innamorato di questo sport? Questa è il racconto iniziale del libro del giornalista cosentino, Francesco Veltri, “Il mediano di Mauthausen” (Diarkos, 16 euro, 224 pagine). Il titolo vi ha fatto capire il finale. Vittorio Staccione concluderà la sua “ingenua, ma buona” (copyright Eraldo Pecci) vita su un campo di un centro di concentramento, quello austriaco di Mauthausen. Non dopo aver giocato le sue ultime partite, le più orribile e surreali della sua carriera, che lo ha visto varcare l’appennino calabro e calare su Cosenza. Il libro di Veltri narra, anno dopo anno, stagione dopo stagione, con l’organizzazione del giornalista, che ha ricercato materiale orale (dai familiari) e scritto presso gli archivi delle biblioteche come gli articoli di giornale, e la bravura del narratore capace di definire una prosa asciutta, ma non austera e senza ghirigori retorici, ma evidenziando con efficacia il profilo di Staccione.
Vittorio nasce nella Torino di inizio secolo e cresce attraversando il periodo bellico della “grande guerra”. In un’Italia martoriata, divisa dalla “vittoria mutilata”, debole e alla deriva fascista. In famiglia la proposta di Bachmann viene accolta freddamente. Il padre Achille, operaio, lavora duramente ogni giorno per portare il pane a casa. La madre, anello di congiunzione, Clementina Trivero è una donna profondamente cattolica. La famiglia è molto ampia, ma sono altre due le figure rilevanti dell’esistenza di Vittorio, Eugenio e Francesco. Eugenio, anche lui calciatore, è stato portiere del Torino e della Juventus, il primo ad aver militato nelle due squadre. Francesco è quello che ha contribuito nella formazione culturale e intellettuale di Vittorio. Militante antifascista e vicino ai movimenti comunisti, che nel 1921, a Livorno, si erano costituito nel Pci. Nel 1924 ha la sua prima occasione. Alla quattordicesima giornata Staccione esordisce in maglia granata. Avverso l’Hellas Verona. E sfrutta l’occasione per dare un assaggio di quel che sarà: un mediano forte fisicamente, grintoso, ma anche dotato di ottima capacità di ricercare la profondità. Nella gara contro gli scaligeri, il mediano di Madonna di Campagna commette un grave errore: rimedia un autogol, ma senza rassegnarsi diventa decisivo per il pareggio finale. A parta la gara successiva contro la Novese, farà sempre poi panchina, in un calcio dove ancora non erano contemplate le sostituzioni in corso d’opera.
Vittorio, però, non pensa solo al calcio. Nella sua vita c’è l’opposizione politica al nuovo regime in via di istaurazione, quello di Benito Mussolini. Per le sue iniziative e frequentazioni, viene, a più riprese, fermato, interrogato e picchiato duramente (anche senza una motivazione convincente) dalle squadriglie in camicia nera.
Va a Cremona, nel ’25, a svolgere l’anno di leva obbligatoria. Gioca alla Cremonese. Le sue idee sono ben conosciute, tant’è che il ras locale, Roberto Farinacci, imporrà alle testate di indicare con una X il calciatore nei tabellini. Una volta di nuovo a Torino riuscirà, nel 1927 a conquistare il titolo nazionale, che verrà poi revocato per presunte “combine” alle quali Staccione non c’entra niente. Scaricato dal Toro, passa alla Fiorentina del marchese fascista Luigi Ridolfi. Nella città di Dante diverrà un idolo della tifoseria. Qua conosce Giulia, donna con la quale convoglierà a nozze e da cui riceverà il suo più grande dolore. Infatti, Giulia nel mentre di mettere al mondo la loro creatura muore insieme a lei, lasciando Vittorio ad un immane sconforto. A rilevarlo è il Cosenza, squadra “improntata a una schiettezza tutta fascista”, scrive Il Littoriale. Gioca tre stagioni, 77 presenze. E’ la sua ultima da professionista, anche se in C, dato che l’anno seguente a Savoia dovrà ritirarsi per un problema al ginocchio. Torna a Torino, l’ultimo soggiorno italico prima della partenza verso l’ignoto.